La RDC (Repubblica Democratica del Congo) sull’orlo della crisi politica

La RDC (Repubblica Democratica del Congo) sull’orlo della crisi politica

Joseph- Kabila

Joseph Kabila

Si parla poco del Congo sui giornali come se questa importante zona dell’Africa fosse totalmente pacifica, dove non esistono contrasti. Non è esattamente così e, come tutto il resto dell’Africa a sud del Sahara, ha contrasti interni molto gravi.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Il 19 dicembre è scaduto il secondo mandato del presidente Joseph Kabila, figlio dell’ex presidente Laurent Désiré Kabila, succeduto al padre nel 2001 e in carica ormai da quindici anni. Mentre tutti si aspettavano pacifiche dimissioni, Kabila passava al contrattacco affermando di non voler lasciare la poltrona fino alle nuove elezioni previste ad aprile 2018. Tale manovra ha suscitato il malcontento popolare sfociato in manifestazioni violente e dure repressioni soprattutto nella capitale Kinshasa.

Il 14 novembre 2016 si era dimesso il primo ministro Augustin Patata Ponyo, mossa che faceva pensare a un lento smantellamento del potere di Kabila. Il 19 dicembre, invece, le attese dimissioni presidenziali lasciano il posto alla nomina di un nuovo governo composto da 68 membri – il precedente ne contava appena 32 – giudicato però poco inclusivo dalle opposizioni poiché la maggioranza dei membri proviene da partiti fedeli al presidente. Nel frattempo, a Kinshasa e a Lubumbashi, capitale del Katanga, le manifestazioni popolari sfociano in violenza provocando una quarantina di morti, un centinaio di feriti e oltre 400 arresti.

Il piano di “slittamento” di Kabila

Le elezioni presidenziali erano state fissate inizialmente a novembre 2016 ma grazie a quella che i congolesi definiscono la stratégie du glissement (strategia dello slittamento) le elezioni sono state rinviate al mese di aprile 2018 per mancato censimento. La CENI – Commissione Elettorale Nazionale Indipendente – che d’indipendente ha poco quanto niente essendo legata al governo, ha dichiarato che le operazioni di censimento della popolazione cominciate a luglio necessitano di almeno 13 mesi per essere completate. In questo modo, il governo si è rifatto alla Costituzione del 2006 che dichiara che il presidente uscente deve rimanere in carica fino all’elezione di un nuovo presidente. Un piano ben architettato, secondo l’opposizione, e non solo. Nel frattempo le manifestazioni continuavano e il 20 dicembre l’ONU comunica il decesso di altre 13 persone a Kinshasa e 10, di cui 2 bambini, a Lubumbashi.

La crisi politica alle porte

In un paese grande e ricco come il Congo, la gestione degli interessi economici ha sempre costituto un grave problema. Nel 2012 le forze ribelli dell’M23 avevano creato scompiglio nel Kivu, con la necessità d’intervento da parte della MONUSCO (The United Nations Organization Stabilization Mission in the Democratic Republic of the Congo) e le mediazioni di ONU e UE che portarono agli accordi di Addis-Abeba. Ma la zona est del paese non ha mai conosciuto la pace. Gli interessi di Rwanda e Uganda sono sempre presenti e gli scontri etnici fuoco che cova sotto la cenere. La frontiera terrestre tra Gyseni in Rwanda e Goma, capitale del Nord-Kivu, costituisce da sempre una via di passaggio di milizie vecchie e nuove, attacchi ai campi profughi, violenze sulla popolazione civile. Già nel mese di novembre a Goma una granata lanciata contro i caschi blu indiani aveva ferito 31 soldati e ucciso una bambina di 8 anni. Altri episodi di rappresaglie si sono registrati in tutto il paese per opera di gruppi più o meno conosciuti. L’attuale situazione di malcontento popolare e instabilità al potere rappresenta terreno fertile per tutte quelle milizie che hanno lottato e intendono ancora farlo per contrastare il governo centrale nel controllo delle risorse naturali.

Breve cenno dei principali gruppi armati

M23

Il Movimento del 23 marzo, scioltosi ufficialmente nel novembre 2013, era composto da membri dell’ex ribellione pro-tutsi del CNDP (Congres National pour la Défense du Peuple) di Laurent Nkunda, arrestato in Rwanda nel gennaio 2009, e reclamava l’applicazione di un accordo di pace stipulato il 23 marzo con le autorità congolesi secondo cui il governo di Kinshasa avrebbe dovuto integrare gli ex combattenti nell’esercito regolare congolese, le FARDC. L’M23 aveva occupato Goma nel 2012 e minacciato ripetutamente attacchi durante il 2013 fino alla sua dissoluzione avvenuta grazie all’intervento della MONUSCO. Lo scioglimento dell’M23, alleato con altri gruppi Mai Mai, ha dato vita ad altre milizie tra le quali la UPCP (Union des Patriots Congolais pour la Paix), LDF (Local Defences Forces), ecc.

FDLR

Le Forces Démocratiques de Libération du Rwanda raggruppano i ribelli rwandesi hutu con lo scopo di difendere gli interessi degli hutu rifugiati in Congo a seguito del genocidio del 1994. Una parte di essi sarebbe responsabile dello sterminio dei tutsi. Nel 2009 il presidente Kabila aveva autorizzato truppe rwandesi a entrare nel paese per rintracciare le FDLR, ma questa iniziativa non ha reso pacifiche le relazioni fra i due paesi come si sperava, poiché il Rwanda accusa il Congo di sostenere i ribelli hutu mentre Kinshasa accusa Kigali di sostenere gli M23 o quello che ne resta. Da un recente studio condotto dal GEC (Groupe d’Etude sur le Congo) si evince come le FDLR siano responsabili di numerosi attacchi, l’ultimo (noto) dei quali avvenuto a Miriki, a nord di Goma, che ha provocato 14 morti tra la popolazione civile.

Maï Maï

I gruppi armati Maï Maï, divisi in molteplici milizie che prendono il nome dal proprio leader, sono combattenti formati e manovrati dai signori della guerra, dai capi delle tribù tradizionali e da politici locali. Sono responsabili di molteplici stupri di massa.

APCLS

L’Alliance des Patriotes pour un Congo Libre et Souverain è uno dei gruppo più strutturati. Questa milizia nasce nella comunità Hundé e segue il generale Janvuìier Karairi. Il loro scopo è eliminare la presenza ruandese nella zona, il che si traduce in combattimenti contro i tutsi nei territori di Masisi e Walikale. Per questo motivo sono spesso alleati con le FDLR e Nyatura.

NYATURA e VUTURA

Sono gruppi di hutu congolese che combattono al fianco di FDLR e APCLS, mentre i Vutura sono alleati con le FDDP nella zona di Masisi, sempre con lo scopo di eliminare i tutsi dal paese.

NDC – Sheka

Nati attorno al territorio di Walikale, questo gruppo armato Mai-Mai è tra i brutali del Kivu. Sebbene mal strutturati, prendono e sfruttano le miniere che, secondo il loro leader, dovrebbero essere libere dal controllo dello stato,. Sono responsabili di crimini come stupro di bambini, rapimento e schiavitù di donne, mutilazioni e esposizione delle parti mutilate, costrizione ai lavori forzati della popolazione, reclutamento di bambini soldati.

RAIA MUTOMBOKI

Gruppo apparso nel 2005, combatte le FDLR e mira alla popolazione hutu della zona di Masisi. Anch’essi sono divisi in molteplici gruppi che seguono ognuno un leader locale.

FDC

Il Front de Défense du Congo si oppone alle FDLR e FARDC.

ADF e LDF

Le Allied Democratic Forces, ugandesi che agiscono nella zona di Beni, e il Lord’s Resistance Army, storico gruppo ugandese diretto da Joseph Kony, si aggiungono ai numerosissimi gruppi armati che devastano il Congo. L’ADF, secondo alcune ricerche, ha contatti con i militanti somali di Al-Shabab e con Al-Qaeda.

I nuovi mediatori: la Conferenza Episcopale

Il 30 dicembre dell’anno scorso il governo ha accettato gli accordi discussi durante la conferenza episcopale che ha svolto un importante ruolo di mediazione. La Chiesa cattolica, ancora influente nel Paese, ha deciso di prendere in mano le redini della questione per evitare ulteriori scontri, sostituendosi cosi alla comunità internazionale, molto spesso non efficace in simili situazioni di tensioni. Il dialogo, arbitrato dalla CENCO (Conference Episcopale Nationale du Congo) ha messo a confronto due delegazioni: la prima raggruppa i rappresentanti della maggioranza e di una frangia minoritaria dell’opposizione d’accordo con le elezioni del 2018. L’altra delegazione, invece, si oppone a questo accordo e si raggruppa attorno ad Etienne Tshisekedi, figura storica dell’opposizione congolese.

Kabila, che rimarrà in carica fino alle prossime elezioni, ha accettato finalmente l’instaurarsi di un governo di transizione fino a marzo 2017 e lo svolgimento delle presidenziali entro l’anno. In base all’accordo (e alla costituzione) Kabila non potrà candidarsi per un terzo mandato. Restano però le preoccupazioni dell’opposizione che il presidente possa modificare la costituzione in suo favore.

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Bandiera della Repubblica Democratica del Congo dal 2006.

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