Armenia,Russia, Stati Uniti: l’analisi di un grande esperto armeno

Armenia,Russia, Stati Uniti: l’analisi di un grande esperto armeno

 

S.E. L'ambasciatore Rouben Karapetian

S.E. L’ambasciatore Rouben Karapetian

Abbiamo il piacere e l’onore di ospitare una intervista di grande interesse fatta dal nostro collaboratore Paolo Zucconi all’Ambasciatore Rouben Karapetian. Una intervista a 360° che presenta l’analisi di un profondo conoscitore della situazione. Karapetian è professore di Relazioni Internazionali e Politica globale presso l’Università russo-armena di Yerevan. Già ambasciatore di Armenia in Egitto (2004-2009) e in Italia (2009-2013). Autore di sette monografie e più di trenta articoli su giornali e riviste a diffusione mondiale. Il suo ultimo studio su ‘The place and role of Syria in Arabi-Israel conflict 1946-2000′ è stato pubblicato a Roma nel 2012. E’ Ambasciatore di rango.

Il Direttore Scientifico di Osservatorio Analitico ringrazia sentitamente l’ambasciatore Karapetian, sperando di poterlo avere ancora ospite su questo sito, magari con qualche sua riflessione.

(Intervista in esclusiva per questo sito. Originale in lingua inglese. Traduzione di Paolo Zucconi)

Professor Karapetian, come sono le relazioni tra Armenia e Occidente, in particolare con Europa e Stati Uniti?

L’Armenia è una parte inseparabile dell’Europa. Essendo la prima nazione cristiana e che parla una lingua indo-europea, gli armeni, attraverso secoli di forti legami commerciali, religiosi e culturali con l’Europa, si considerano sempre membri-chiave della famiglia europea e di quelle nazioni che appartengono da sempre all’Europa.
Con l’indipendenza dell’Armenia, ottenuta nel 1991, le relazioni con i paesi europei si sono sviluppate costantemente sia a livello bilaterale sia multilaterale. Dopo più di 3 anni di intensi negoziati l’Armenia era vicina a firmare un accordo di associazione con l’UE nel 2014. Tuttavia la decisione inattesa della leadership politica armena di aderire all’Unione Eurasiatica, ha paralizzato non solo il processo verso una maggiore integrazione con l’Europa, ma ha reso più tesi i rapporti con Bruxelles. Inoltre, ciò ha anche influenzato la reputazione internazionale e la credibilità dell’Armenia. Ma ancora oggi la maggioranza del popolo armeno, a dispetto di questo fatto e della scarsa fiducia riposta nell’Europa, condivide la visione di un’Armenia come paese democratico europeo, con una forte identità nazionale e culturale nel crocevia strategico tra Europa e Asia.

Circa le relazioni con gli Stati Uniti, essi sono il partner vitale dell’Armenia. Gli USA sono stati il primo paese a riconoscere l’indipendenza dell’Armenia e a stabilire relazioni diplomatiche con Yerevan. L’Armenia è una delle più grandi destinazioni degli Stati Uniti in termini di assistenza internazionale pro capite nel mondo. Più di un milione di cittadini americani di origine armena servono come un ponte solido e significativo tra Yerevan e Washington. Personalmente credo che le relazioni bilaterali tra i due paesi abbiano un enorme potenziale di crescita nel prossimo futuro, quando vedremo un maggiore impegno degli Stati Uniti con l’Armenia e la regione. Sono sicuro, che è solo una questione di tempo e di priorità per entrambi i paesi.

Circa i rapporti con la Russia?

La Russia è un partner strategico dell’Armenia per motivi geopolitici, storici e culturali. L’Armenia è membro dell’Unione Eurasiatica e dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO). L’unica base militare russa nella regione si trova in Armenia, al confine con la Turchia. Oggi, la Russia non è solo un paese chiave per la sicurezza dell’Armenia, ma è anche il più grande investitore e partner economico di Yerevan. Anche se, a mio parere, nel corso dell’attuale periodo di trasformazione dell’ordine mondiale e riassetti geopolitici, soprattutto regionali, invece di un’appartenenza esclusiva all’Unione Eurasiatica, l’Armenia dovrebbe cercare di preservare al massimo la sua sovranità astenendosi da qualsiasi appartenenza a entità sovranazionali. E’ come gettare l’ancora in un mare in tempesta.

Per quanto riguarda la crisi nel Nagorno-Karabakh, potrebbe dirci qualcosa sulla situazione attuale e del “cessate il fuoco” in vigore?

All’inizio di aprile, l’Azerbaijan ha ricorso all’utilizzo di mezzi militari per cambiare lo status quo della regione, scatenando una “guerra dei quattro giorni” con il Nagorno-Karabakh e provocando centinaia di morti da entrambe le parti. E’ stato il risultato della politica azera degli ultimi anni, orientata verso una militarizzazione, con le sue braccia che hanno già superato i confini nazionali fissati dal CFE / Trattato sulle Forze Armate Convenzionali in Europa. E’ stato il risultato finale di dichiarazioni bellicose continue da parte dell’Azerbaigian e della venerazione di coloro che promuovono una violenza anti-armena. L’Armenophobia e l’isteria anti-armena ha raggiunto livelli pericolosi in Azerbaigian. Mi ricordo che prima della guerra di Aprile, le violazioni del “cessate il fuoco” nel territorio del Nagorno-Karabakh avevano raggiunto un numero senza precedenti con il rifiuto del governo di Baku di ritirare i cecchini dalla linea di contatto e provocando la morte di soldati armeni, praticamente ogni settimana.
In questo momento ritengo che la questione più urgente sia che i meccanismi di controllo vengano messi in atto al fine di evitare ulteriori violazioni della tregua. Tuttavia l’ostacolo principale è il rifiuto da parte del governo azero, ma spero che i co-presidenti del Gruppo di Minsk riescano a costringere Baku a accordarsi su quelle misure che sono essenzialmente necessarie.

Quale soluzione si prospetta per la questione del Nagorno-Karabakh?

Al fine di trovare una soluzione globale e duratura al conflitto, si devono fare i conti non solo con il risultato di fatto del conflitto, ma anche con le radici che sono causa del problema.
Voglio ricordare che tali radici risalgono al 1918, quando il “problema del Nagorno-Karabakh” è stata creato artificialmente dall’appena nato stato dell’Azerbaijan, con il pieno sostegno politico, diplomatico e militare della Turchia. E’ stata la continuazione della politica genocida turca del 1915, finalizzata alla distruzione degli armeni dalla loro storica patria e l’eliminazione della possibilità concreta della creazione di uno stato armeno indipendente. Casualmente con l’accordo turco-sovietico l’Armenia è diventata una realtà, con la comparsa di Stalin nella politica sovietica. Però le due storiche province armene di Artsakh (Karabakh è il suo nome in lingua turca) e Nakhijevan furono annesse all’Azerbaigian. Sono diventate semplici colonie dell’Azerbaigian sovietico, dove la politica sistematica brutale di pulizia etnica ha portato alla scomparsa della popolazione indigena armena di Nakhijevan. Questo è stato un altro tentativo di risolvere i problemi con il metodo turco “senza armeni, nessun problema”. Nel frattempo in Artsakh la maggioranza armena della popolazione ha continuato la sua lotta contro i “colonizzatori” durante tutto il periodo del regime sovietico, che è entrato nella sua fase decisiva sotto Gorbaciov e la “perestroika” nel 1988.

Appena due settimane prima del crollo ufficiale dell’Unione Sovietica, il 10 dicembre del 1991, si è tenuto un referendum nel Nagorno- Karabakh, con la stragrande maggioranza della popolazione (99%, 107.648 elettori), che ha votato a favore della totale indipendenza della regione dall’Azerbaijan. Le elezioni parlamentari della Repubblica del Nagorno-Karabakh portarono alla costituzione del primo governo. L’indipendenza della Repubblica del NK è stata ottenuta nel pieno rispetto della Costituzione esistente dell’URSS ma considerata giuridicamente nullo. Infatti, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, due entità giuridiche emersero al posto dell’Azerbaijan sovietico: l’attuale Repubblica di Azerbaigian e la Repubblica del Nagorno-Karabakh. Quindi, giuridicamente parlando, il problema del Nagorno-Karabakh non ha nulla a che fare con l'”integrità territoriale” dell’Azerbaijan.

Il governo azero ha poi scatenato “una guerra dei quattro giorni” nell’aprile scorso, per cambiare lo status quo stabilito, inviando mezzi militari, e provocando centinaia di morti da entrambe le parti. La decapitazione di soldati armeni e l’umiliazione dei cadaveri sono identici a quelli perpetrati dallo Stato islamico. In caso di proseguimento, da parte azera, della stessa politica e mantenendo la stessa posizione “massimalista”, la regione potrebbe affrontare lo scoppio di un’altra guerra più disastrosa con gravi implicazioni per la sicurezza regionale e globale.

Al fine di trovare una soluzione duratura, i mediatori dovrebbero, in primo luogo, affrontare la questione centrale del conflitto – lo status della regione contesa. Questa è la radice del conflitto. Lasciando questo problema vitale senza soluzione, i mediatori non saranno in grado di raggiungere alcuna forma di progresso su altre questioni, come il ritiro delle forze armene, il ritorno dei profughi, ecc… Offrendo un senso di “status provvisorio” e un tetro futuro voluto dai mediatori si spingerà la soluzione verso un ulteriormente stallo. Il NK ha raggiunto l’autodeterminazione, anche se non formale, il diritto all’autodeterminazione per il popolo di NK è riconosciuto dalla comunità internazionale. Avendo tutto questo in mente la comunità internazionale dovrebbe passare dal riconoscimento del diritto di autodeterminazione al riconoscimento giuridico e legale del Nagorno-Karabakh essendo già, de facto, indipendente da più di due decenni. Durante tutti questi anni una cosa è diventata molto chiara: che questa regione contesa non può mai essere parte dell’Azerbaigian. La comunità internazionale deve anche tenere a mente che ciò è l’unico mezzo per garantire la sopravvivenza del popolo del Nagorno-Karabakh.

 In Siria esiste una grande comunità armena. Cittadini che vi si rifugiarono dopo il genocidio del 1915 e che poi sono rimasti a vivere nel paese. Potrebbe parlarci dei rapporti armeno-siriani?

Sì, Lei ha assolutamente ragione. Durante il genocidio ottomano del 1915-1923, molti armeni hanno cercato rifugio nei paesi arabi vicini. Abbiamo una ben consolidata e organizzata comunità armena in Medio Oriente, stimata in circa 300.000 persone. Internamente, le domande di integrazione, coesione, conservazione e gestione delle istituzioni delle comunità armene sono tra i temi più dibattuti. Esternamente, la situazione della sicurezza e dei conflitti armati in corso, così come l’escalation del fondamentalismo religioso, in questi ultimi anni pongono seri dubbi sulla redditività futura delle comunità armene in Medio Oriente. Questi processi sono aggravati dal calo delle condizioni socio-economiche, che hanno causato la migrazione di massa dei cristiani in generale e degli armeni in particolare. La “primavera araba” del 2011 e la successiva la destabilizzazione dell’intera regione hanno portato queste comunità sull’orlo del collasso, soprattutto a causa della tragica situazione creatasi in Siria, dove gli armeni lottano ancora per la sopravvivenza insieme ad altri siriani. Molte migliaia di siriani armeni si stabilirono in Armenia e hanno iniziato una nuova vita nella loro patria, ma il patrimonio culturale e archeologico creato dagli armeni in Siria, nel secolo scorso, è stato distrutto e non potrà essere recuperato tanto facilmente, se mai sarà possibile.

La Siria di Assad riusciva a garantire stabilità e pace per la comunità armena presente?

La comunità armena in Siria che contava in tutto 120.000 abitanti, prima dell’inizio della guerra civile, non ha mai affrontato alcuna politica discriminatoria da parte del governo siriano. E’ stata ed è tuttora una delle minoranze più rispettate e organizzate nel paese. Prima Hafez al-Assad e poi suo figlio Bashar al-Assad sono stati sempre sensibili e protettivi nei confronti degli armeni e delle loro esigenze. Non è a causa della attuale leadership che gli armeni stanno lasciando il paese. Ciò è dovuto al campo di battaglia che la Siria è diventata, scontri per gli interessi contrastanti di poteri regionali e non regionali, che ha portato alla distruzione di un fiorente e pacifico paese. Gli armeni siriani stanno lasciando il paese per proteggere le loro vite dagli insorti islamici che combattono contro lo Stato siriano. Devo sottolineare che una delle cause per cui Assad è ancora al potere è la fedeltà della maggioranza del popolo siriano, tra cui gli armeni, verso il loro leader. Nell’attuale parlamento siriano abbiamo anche una delle donne armene MP.

Lo Stato Islamico ha ucciso molti cittadini di origine armena in Siria. Lei ritiene che IS sia una minaccia anche la sicurezza armena in patria?

Gli armeni come gli altri cittadini della Siria hanno sofferto enormemente dalla guerra civile. Uno dei principali centri della comunità armena nella città di Aleppo è distrutto totalmente. Molti armeni hanno perso la vita, milioni di dollari investiti nel paese sono stati persi, case e proprietà distrutte ecc tanto quanto le altre minoranze cristiane e non cristiane in Siria. È per questo che l’Armenia è interessata a porre fine alla guerra nel più breve tempo possibile, nella conservazione dell’integrità e della sovranità della Siria, nel ripristino della pace e della sicurezza per il benessere di tutti i siriani, armeni compresi. Gli armeni in Siria sono di fronte all’enorme minaccia dello Stato islamico e di altri gruppi estremisti operanti in Siria. L’Armenia e altri paesi della regione potrebbero affrontare la minaccia indirettamente. Ma credo che non sia difficile da sconfiggere in Siria. Tuttavia alcuni paesi vicini non vogliono vedere la situazione in Siria finire con lo Stato islamico sconfitto. Le superpotenze regionali sono “scomparse”, lasciando Israele con un Hezbollah e Iran che hanno maggiori capacità”. Credo che IS sarà sconfitto quando gli Stati Uniti e i suoi alleati, tra cui Arabia Saudita, Turchia, Qatar e Israele (dietro le quinte) inizieranno a trattare lo Stato islamico come il loro nemico principale, invece di avere come obiettivo primario il rovesciamento del governo di Bashar al-Assad.

Pensa che IS si espanderà nel Caucaso com’è successo in Medio Oriente?

Certamente, vi è la possibilità di un’espansione nel Caucaso. L’intervento russo nel conflitto siriano potrebbe prima essere spiegato con la volontà di contenere e sconfiggere lo Stato islamico in Siria piuttosto che affrontarlo nel Caucaso del Nord. Questo autoproclamato stato potrebbe rappresentare un grave pericolo non solo per la regione ma, come stiamo assistendo, al mondo in generale. Devo ricordare che nel Caucaso meridionale ci sono stati tentativi in passato da parte dell’Azerbaijan di reclutare “Mojaheds” dall’Afghanistan per combattere contro gli armeni del Nagorno-Karabakh agli inizi del 1990. Spero che tutti i paesi capiranno ora che qualsiasi tentativo di uso di IS o di altri gruppi fondamentalisti per il loro stesso interesse in qualsiasi parte del mondo, tra cui nord e sud del Caucaso sarà, sicuramente, ingestibile e si ritorcerà contro, portando a esiti disastrosi. Al fine di evitare un’ulteriore espansione dello Stato islamico, la comunità internazionale dovrebbe unire gli sforzi e dare priorità allo sradicamento di IS nella sua culla, usando tutti i mezzi necessari. Questo è il compito principale: non solo la distruzione dello Stato islamico in sé, ma anche prevenire un’ulteriore diffusione della sua ideologia, mentalità e metodologia che sono molto più pericolose.

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Mappa fornita da S.E. Karapetian

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