AFGHANISTAN. NEGOZIATO TRA GOVERNO E TALEBANI

Il Presidente dell'Afghanistan Ashraf Ghani Ahmadzai

Il Presidente dell’Afghanistan Ashraf Ghani Ahmadzai

Lo stato dell’arte attuale in Afghanistan….quali sono stati i risultati dell’intervento contro i taliban…forse la stessa domanda che ci si pone per l’Iraq. Domanda decisamente amara, almeno per il momento.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini                                                                                                                                      

La Commissione quadrilaterale formata da Afghanistan, Cina, Pakistan e USA organizza a marzo il primo ufficiale colloquio con l’eterogenea galassia dei talebani.

La pubblicazione dell’ennesimo tentativo di incontro è stata preceduta da due attentati attribuibili ai talebani, uno nella capitale e l’altro a Kundar, in continuità con gli eventi dettagliati nel “Report 2015 on Protection of Civilians in Armed Conflict” della “Missione delle Nazioni Unite di Assistenza all’Afghanistan” (Unama), ufficio ONU di Kabul.

Il documento evidenzia una sensibile crescita di morti e feriti fra i civili.

I numeri inerenti all’anno in questione indicano 11.002 vittime civili, con 3.545 morti e 7.457 feriti, con un aumento del 37% tra le donne e del 14% fra i bambini e oltre 8 mila uccisi fra i militari afghani.

Gli anti-governativi – secondo il rapporto – hanno provocato il 62% delle vittime.

Sul terreno la situazione afghana è ancora ad alta instabilità per una serie di problemi politici, di sicurezza ed economico-sociali aggravati dall’invasione dell’ottobre 2001.

In primo luogo, le elezioni presidenziali di aprile – giugno 2014 si concludono con un feroce scontro fra i candidati che si accusano di brogli e rivendicano la vittoria.

Per superare la fase di stallo creata dai due contendenti intervengono gli americani che avevano imposto il precedente Hamid Karzai sin dal 2001 nominandolo amministratore transitorio afghano, presidente ad interim l’anno seguente sino a pilotarne la nomina a presidente il 7 dicembre 2004, incarico che avrebbe svolto sino al 29 settembre 2014.

Gli Stati Uniti convincono gli eletti a condividere il potere: presidente sarà Ashraf Ghani, di etnia pasthun, e, introducendo nel Paese il nuovo ruolo di premier, lo affiancherà il tajiko Abdullah Abdullah, per formare un governo di unità nazionale.

Il ruolo degli USA risulta fondamentale per impedire l’implosione del Paese.

Ma non cessa la rivalità fra i due che invece di gestire le problematiche afghane si scontrano sulle nomine dell’intero establishment politico, dai capi degli apparati di sicurezza ai governatori di regioni e province, senza alcun intervento contrastivo sulla corruzione endemica dell’amministrazione e il contrabbando di droga e persone.

Non meno importante è la sicurezza in seno alla quale se esercito e polizia, dopo 6 – 8 anni di addestramenti hanno raggiunto un livello di accettabile professionalità, manca un’adeguata forza aerea, quella che può fare la differenza nei confronti dei talebani.

I talebani sono abili a sostenere lo scontro su strade e montagne ma, privi di aerei, potrebbero essere affrontati con alta possibilità di vittoria con bombardamenti aerei, soprattutto in questi ultimi 6- 8 mesi nel corso dei quali aumenta la presenza del Gruppo del Khorasan.

L’Afghanistan resta dipendente sia dal supporto economico dei Paesi donatori che dalle forze straniere che oltre all’aiuto securitario costituiscono un valore aggiunto per la gracile condizione economico-sociale del Paese. Oltre 100 mila militari danno lavoro a personale d’ausilio nelle basi, nelle società che riforniscono i loro compound militari di cibo e acqua e la loro partenza, quando avverrà, costituirà un problema difficilmente risolvibile.

Le ragioni sono da ricercare nella mancanza di programmi, idee e strategie per la gestione delle emergenze del Paese.

Le promesse del presidente Ghani su sanità, istruzione, lavoro sono rimaste pura demagogia e solo la campagna in favore della condizione femminile può contare sui risultati conseguiti sul piano di sanità e istruzione.

In questo quadro, appare difficile non solo un accordo con i talebani ma lo stesso svolgimento dell’incontro.

Nonostante l’attuale capo dei Talebani, Mullah Akhtar Mohammad Mansour, sia in contatto con il Pakistan, l’ufficio politico del movimento aperto a Doha dichiara di non aver ricevuto alcuna notizia dell’iniziativa della Commissione.

Mansur in realtà è appoggiato solo da una parte del movimento, che in maggioranza sosteneva la candidatura del figlio di Mullah Omar, Mullah Yaqub.

Il movimento talebano, pur attivo militarmente, va perdendo la coesione mantenuta da Mullah Omar e oggi è insidiata soprattutto dall’emersione del Gruppo del Khorasan, che continua ad attrarre militanti e ha giurato fedeltà a Daesh di cui condivide la visione internazionalista per la fondazione di un Califfato nell’area compresa fra Afghanistan, India, Iran e Pakistan.

Come scritto in precedenza, l’agenda dei talebani è incentrata sul nazionalismo e collide con le mire internazionalistiche del Gruppo del Khorasan.

Un grave vulnus per il Paese viene dalle dimissioni presentate a dicembre 2015 dal capo della “National Directorate Security” (NDS), Rahmatullah Nabil, che lo guidava dal 2010. Le dimissioni avvengono per il contrasto con il presidente Ghani per il suo stretto rapporto con il premier pakistano Nawaz Sharif.

Nabil si dimette subito dopo la visita di Ghani nella capitale pakistana per partecipare alla V^ Conferenza Heart of Asia contro il terrorismo, nel corso della quale il presidente afghano ribadisce il necessario coordinamento fra i due Paesi per sconfiggere il terrorismo, mentre Nabil continua a sostenere che proprio il Pakistan alimenta il terrorismo.

Questo contesto, anche nella frammentazione e nella disparità delle relative agende delle diverse fazioni, di fatto mira al fallimento dell’incontro annunciato.

In tal senso va interpretata anche la posizione di Hekhmatyar, leader della formazione Hezb-e-Islami, che non ha ancora aderito all’invito della quadrilaterale.

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Rahmatullah Nabil, ex capo della National Directorate Security (NDS)

Rahmatullah Nabil, ex capo della National Directorate Security (NDS)

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