Un mondo lontano, quello delle Coree di cui non conosciamo molto bene la storia. Ci stupiamo quando arriva la notizia che il giovane (?) capo della Corea del Nord ha ucciso qualcuno o ha lanciato missili….cerchiamo di capire qualche elemento in più!
Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini
(seconda parte)
La ventata di distensione tra le due Coree, iniziata nel 2000, prese a dissolversi già tre anni dopo, quando, nel 2003 scoppiò uno scandalo denominato “denaro per il vertice”. In sostanza, si scoprì che, tre anni prima, Kim Dae-jung era riuscito ad ottenere l’assenso del Nord al vertice intercoreano, promettendo, in cambio, 150 milioni di dollari fatti transitare verso Pyongyang attraverso un ramo della Hyundai. Le inchieste giudiziarie, che ne seguirono dimostrarono la colpevolezza del presidente di quel ramo della Hyundai, nonché quinto figlio del fondatore della conglomerata sudcoreana. Questi venne condannato nel giugno del 2003 a tre anni di prigione e ad inizio dell’agosto successivo si suicidò, gettandosi dall’edificio della filiale da lui presieduta.
Il successore di Dae-jung, Roo Moo-hyun, membro del “Partito Democratico del Millennio”, creato nel gennaio del 2000 dal suo predecessore per dare una base ideologica alla allora nascente “Sunshine Policy”, lo lasciò nel 2003, a causa di scandali, che avevano compromesso la credibilità di questa formazione politica, formando, insieme a suoi seguaci un nuovo partito, il “Partito Uri”. Nel 2004 Moo-hyun dovette affrontare anche un tentativo di “impeachment” da parte dell’Assemblea Nazionale sudcoreana, la cui maggioranza di eletti era detenuta dai partiti di centro-destra. Pur essendo riuscito a far fronte a quel momento, grazie al sostegno ricevuto dalla gente comune, che si riunì in un movimento contro la corruzione nella politica, Roo Moo-hyun non riuscì a portare avanti la politica di distensione con la Corea del Nord, inaugurata da Dae-jung nel 2000, essendo questa stata pesantemente condizionata dallo scandalo, che aveva coinvolto la Hyundai.
Alla anonima presidenza Moo-hyun, fece seguito dopo quindici anni, nel 2008, il ritorno dei conservatori al potere. Cosa che portò a un riaccentuarsi dell’indurimento dei rapporti tra le due Coree, già iniziato negli ultimi anni del quinquennato di Moo-hyun.
Questa politica di duro, intransigente confronto con la Corea del Nord è congeniale al principale partner e protettore della Corea del Sud, ossia gli Stati Uniti. La presenza militare americana in Corea del Sud è sempre stata molto cospicua. Anche nel periodo di presidenza di Dae-jung, gli effettivi dell’esercito americano non sono scesi mai al di sotto delle 35.000 unità. Nel 2003 si è toccato il più alto picco degli ultimi anni: poco più di 41.000. A questo aggiungasi le annuali manovre militari congiunte sudcoreano-americane, che vedono impegnate sia unità di terra che di mare.
Durante le due presidenze progressiste (Dae-jung e, in parte, Moo-hyun) si era vociferato nelle cerchie governative di Seul di richieste di riduzione delle truppe americane presenti in Corea del Sud. Tali proposte nascevano anche a seguito di inconvenienti collaterali provocati da membri dell’esercito USA, che si ripetono con regolare frequenza e interessanti la popolazione sudcoreana, come violenze su ragazzine ad opera di soldati americani o morti di cittadini sudcoreani travolti da mezzi blindati dell’esercito americano, durante lo svolgersi di manovre. In concreto, dal 2006, il numero di effettivi militari americani in Corea del Sud è stabile sui 28.500 – 29.300.
Gli ultimi due presidenti, di orientamento politico conservatore, Lee Myung-bak (2008-2013) e l’attuale, la signora Park Geun-hye hanno aumentato la stretta non solo nella politica adottata verso il fratello-avversario del Nord, ma anche per quanto riguarda la serie di riforme sociali, che interessano la società sudcoreana e rientranti nel novero di quelle già adottate, da alcuni anni a questa parte nei paesi occidentali, Italia inclusa.
Come messo di recente in evidenza dalla stampa transalpina (1), le ultime misure adottate da Park Geun-hye – figlia del generale Park Chung-hee, artefice della politica dittatoriale, che tra il 1962 e il 1979 interessò il paese – per un aumento della flessibilità nel mondo del lavoro e per la creazione di posti di lavoro precari, hanno generato, ad inizio dello scorso dicembre in una massiccia manifestazione di protesta organizzata dalla Confederazione coreana dei sindacati, violentemente repressa con cannoni ad acqua, dopo che la stessa Geun-hye l’aveva tacciata di essere una “riunione violenta e illegale”. Un leader sindacale sudcoreano, tra gli organizzatori di quella manifestazione, dopo essersi rifugiato per tre settimane presso un tempio buddista, si è costituito alle forze di polizia, dalle quali era ricercato.
Parallelamente, i due ultimi presidenti conservatori della corea del Sud hanno promosso una revisione dei manuali scolastici, che rilegge in positivo il dominio coloniale giapponese della Corea (1910-1945) in un’ottica modernizzatrice del paese e celebra il ruolo dei “chaebol” nella promozione dell’industrializzazione nazionale (2).
La stretta autoritaria in Corea del Sud è andata di pari passo con quelle che la stampa internazionale ha definito provocazioni militari messe in atto dalla Corea del Nord. A partire dal 2006, Pyongyang ha iniziato ad effettuare test missilistici nucleari, culminati nel più recente di una bomba ad idrogeno. Se, però, si guarda con attenzione alla storia più recente dei rapporti tra le due Coree, ci si potrà rendere conto che, al di là dello scalpore suscitato nella comunità internazionale da questi test, vi è un messaggio, una richiesta implicita e costante dietro gli stessi. Pyongyang da diversi anni, fin da prima del primo vertice intercoreano dell’estate 2000, vuole un dialogo diretto con gli Stati Uniti. Questi ultimi, però, continuano fermamente a ostinarsi nel vedere, come intermediari tra loro e la Corea del Nord, Corea del Sud e, in seconda battuta, Giappone, in alternativa alla loro partecipazione nei “colloqui a sei” (3). Solo nell’autunno del 2000 si era intravisto uno spiraglio nel possibilismo ostentato a mezza voce dall’allora Segretario di Stato dell’Amministrazione Clinton, Madeleine Albright. Tali speranze durarono, tuttavia, lo spazio di pochissimi mesi, perché il successore a capo della politica estera statunitense, l’ex-generale Colin Powell, emissario della repubblicana Amministrazione Bush, tornò alla politica di totale chiusura a qualsiasi richiesta di dialogo diretto proveniente da Pyongyang.
Un diplomatico sudcoreano osserva che “Vi sono nel cielo dell’Asia dell’Est due soli levanti [Cina e Stati Uniti]. La Corea del Sud dovrà fare una scelta.” (4). Ebbene, se Seul è combattuta tra l’enorme importanza commerciale del “gigante asiatico” e l’importante sostegno militare garantito dall’alleato americano, per quanto riguarda la Corea del Nord la scelta è diversa e altrui. Da un lato, la Cina non ha fretta di vedere la fine del regime che la contraddistingue, per paura di veder aumentare a dismisura il flusso di rifugiati nordcoreani, già presente, peraltro, in forma clandestina nelle tre regioni cinesi frontaliere – Heilongjiang, Jilin e Liaoning. Dall’altro, gli Stati Uniti, che potrebbero detenere le chiavi per lo scioglimento in senso pacifico del “nodo gordiano”, costituito nel 1953 in corrispondenza del 38° parallelo, continuano a restar fermi sulle loro posizioni, in passiva attesa di una implosione del regime di Pyongyang, che renda possibile un riassorbimento puro e semplice della Corea del Nord da parte del Sud, sul modello tedesco. Con la differenza che nella metà settentrionale della Penisola di Corea, la base militare, sulla quale poggia il primo regime comunista dinastico al mondo, è ben salda e lungi dallo sfaldarsi, come, invece, accadde nel 1989, nel giro di pochi mesi, nella ex-DDR.
Stando così le cose, le due Coree sono destinate a rimanere inesorabilmente, divise ancora per molto tempo.
Note al testo
1 V. Park Sung Ilkwon, “Virage autoritaire à Séoul”, in Le Monde diplomatique, janvier 2016, pp. 4-5.
2 Ibidem.
3 I “colloqui a sei” (nella terminologia tecnica internazionale, “six-party talks”) sono una formula adottata nel 2003 comprendente, accanto alle due Coree, Stati Uniti, Cina, Russia e Giappone. Lo scopo di questi incontri è di cercare di risolvere pacificamente i problemi relativi alla sicurezza nella regione della Penisola coreana. I sei partecipanti si riuniscono intorno a un tavolo esagonale. Questo tipo d’incontri è durato in maniera stabile sino al 2009. In seguito, a causa delle minacce derivanti dai test missilistici nordcoreani e alle conseguenti reazioni americane e sudcoreane, i tentativi, nel 2012 e 2014, per la loro ripresa non hanno sortito alcun effetto.
Per maggiori dettagli sui “six-party talks”, si invita a visionare la seguente pagina:
https://en.wikipedia.org/wiki/Six-party_talks
4 V. La réunification de la Corée aura-t-elle lieu?” in “La politique sud-coréenne n’a pas à choisir entre deux soleil, interview de Yun Duk-min, Korea Analysis n°7, juillet 2015” in Le Monde diplomatique, gennaio 2016, pp. 4-5.
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