IL FUTURO NERO DEL BURUNDI

IL FUTURO NERO DEL BURUNDI

 

Pierre Nkurunziza, Presidente del Burundi

Pierre Nkurunziza, Presidente del Burundi

Poche notizie arrivano dal Burundi…ma questo non vuol dire che tutto sia calmo…al contrario: la situazione anche in quello Stato africano diventa ogni giorno più complessa e difficile. Un sintetico aggiornamento. Possibilità di nuove emigrazioni?

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Da quando il presidente Pierre Nkurunziza ha giurato per il 3° mandato, illegale secondo gli accordi di Arusha, il Burundi è precipitato in una profonda crisi dalla quale sembra non esserci via d’uscita. Nkurunziza ha vinto le elezioni nel mese di luglio in assenza di candidati all’opposizione e da allora la ruota della vendetta si è messa in moto nei confronti degli oppositori in un botta e risposta che ha già provocato centinaia di morti. Il 3 agosto l’ex capo dei servizi segreti del presidente, il generale Adolphe Nshimirimana, viene ucciso in pieno giorno nella sua auto nel quartiere nord di Kamenge. Lo stesso giorno un giornalista burundese di RFI viene arrestato e torturato. Il giorno seguente, Pierre-Claver Mbonimpa, noto attivista per i diritti umani, viene gravemente ferito in un attentato e suo figlio sarà poi arrestato e il suo cadavere ritrovato in strada nel mese di novembre. Il 6 agosto un altro membro del governo viene ucciso e il 15 dello stesso mese l’ex colonnello Jean Bikomagu, noto oppressore negli anni della guerra civile, viene assassinato davanti alla sua abitazione nel quartiere di Kinindo.

A settembre l’ONU lancia l’allarme per la preoccupante escalation di omicidi e arresti nel paese ma ciò non suscita alcun effetto sul presidente che continua a negare le violenze. Il susseguirsi di manifestazioni e attacchi alla polizia, dichiaratamente a favore del governo rispetto all’esercito, da sempre più benevolo nei confronti dei civili, ha provocato oltre un centinaio di morti. Nel mese di ottobre un giornalista della Radio Televisione Nazionale Burundese è stato ucciso con la sua famiglia durante un’operazione per opera della polizia a Ngagara, quartiere dichiaratamente contro il presidente. In quell’occasione la popolazione civile dichiara che le forze dell’ordine hanno volutamente massacrato decine di civili accusati di aver manifestato contro il terzo mandato di Nkurunziza.

Nei quartieri contestatari la polizia e gli imbonerakure – giovane braccio armato del presidente – agiscono di notte prelevando ragazzi ed adulti maschi in strada o nelle proprie abitazioni col pretesto di interrogarli per poi farne ritrovare i corpi senza vita nei giorni seguenti.

Nel mese di dicembre la ribellione si inasprisce con la formazione delle Forze repubblicane del Burundi (FOREBU) guidate dall’ex generale putschista Niyombare. Cominciano così lanci di granate anche in pieno giorno, sparatorie anche nel centro di Bujumbura, fino allora rimasto tranquillo, e aumenta la frequenza di rappresaglie e attacchi nei confronti delle forze dell’ordine, la cui reazione però è sempre a danno della popolazione civile.

Dall’inizio della crisi ad aprile 2015 oltre 400 sono stati i morti di cui 200 soltanto fra i mesi di novembre e dicembre, e più di 200.000 persone hanno lasciato le proprie case rifugiandosi nei paesi limitrofi.

A novembre, dopo l’allarme sulla situazione in Burundi, una risoluzione ONU condanna le violenze nel paese susseguite dalle ammonizioni di altri stati africani tra cui il vicino Rwanda e alcuni tentativi di dialogo effettuati dall’Uganda, tutti falliti, e dalla Tanzania, boicottato il 6 gennaio dallo stesso Nkurunziza. L’ONU proponeva l’invio di caschi blu per proteggere i civili nella capitale ma il governo burundese reagisce con un secco rifiuto accusando l’ONU di voler invadere il paese. Stesso discorso per l’Unione Africana che preparava un dispiegamento di 5000 uomini nella Missione Africana di Prevenzione e Protezione del Burundi (MAPROBU) rifiutata ufficialmente il 21 dicembre. Nkurunziza ha sempre dichiarato che il suo paese non è in guerra e che nessun genocidio è in preparazione, di conseguenza non accetta l’ingerenza di nessun altro paese né organizzazione internazionale negli affari interni burundesi, e che qualora forze esterne al Burundi entrassero senza permesso nel suo paese questi sarebbe autorizzato a difendersi contro gli invasori.

L’ONU e l’UA hanno le mani legate e l’unica alternativa resta la via del dialogo. Il 21 gennaio un nuovo tentativo di negoziati è effettuato dagli ambasciatori dei paesi membri del consiglio di sicurezza dell’ONU giunti a Bujumbura per convincere il presidente a riprendere le trattative con l’opposizione.

La possibilità di una nuova guerra etnica è di fatto esclusa poiché tutsi e hutu hanno manifestato fianco a fianco contro il terzo mandato, ma ciò non esclude la possibilità di una guerra civile tra sostenitori e oppositori di Nkurunziza. Il suo regime ormai fondato sulla vendetta non porterà nulla di buono a questo piccolo paese già privo di risorse naturali e fuori da ogni interesse internazionale.

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