PER UNA NUOVA INTELLIGENCE EUROPEA

Miguel Angel Moratinos

Miguel Angel Moratinos

Alcuni ricordi di una esperienza sul campo di un operatore del settore. Finalmente si parla di ‘intelligence europea’… esperimenti precedenti fallirono anche per scarsa fiducia da parte della stesse Agenzie d’informazione verso una coordinata intelligence europea….per verificare, dopo i fatti di Parigi dello scorso 23 novembre, che solo lo scambio d’informazioni continuo e coerente su una stessa piattaforma metodologica e operativa può arginare, se non fermare, il terrorismo di matrice religiosa, da qualunque parte esso provenga.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini               

I perduranti conflitti dispiegantisi nell’ “Arco Mediterraneo” da Rabat a Teheran dal 2010 (rivolta saharawi, ottobre) postulano un approccio in grado di oltrepassare barriere e limiti delle relazioni fra le Agenzie d’intelligence.

Un contributo in merito potrebbe essere fornito da un’esperienza realizzata sul terreno all’inizio del terzo millennio.

Lo stallo dei colloqui di pace israelo-palestinesi inaugurati a Oslo il 13 settembre 1993, il fallimento del tentativo statunitense di portarli a termine nel Vertice di Camp David (luglio 2000) e l’ingresso del Premier Israeliano Ariel Sharon con 300 militari sulla spianata delle Moschee a Gerusalemme (28 settembre 2000) dettero abbrivo a uno scontro che causò in un solo mese 123 morti e 5.862 feriti fra i palestinesi, 7 soldati uccisi e 30 feriti fra gli israeliani e la ripresa del conflitto armato tra i contendenti.

La Commissione d’inchiesta sugli eventi disposta dal Dipartimento di Stato americano che ne nominò a capo l’ex Senatore George Mitchell non raggiunse tangibili risultati determinando il ritiro della “Central Intelligence Agency” (CIA) dal ruolo di ponte fra sicurezza israeliana e palestinese.

Il vuoto creatosi venne colmato dall’ Inviato Speciale Europeo Miguel Angel Moratinos che, supportato dall’Alto Ministro per la Sicurezza Europea, Xavier Solana, dette incarico al suo political adviser di contattare gli agenti dell’intelligence europea presenti in Gerusalemme e proporsi come coordinatore in un innovativo lavoro di gruppo mostrando visibilità collettiva.

L’adviser sarebbe stato l’anello di congiunzione tra il livello tecnico-operativo degli agenti e quello politico.

Sul territorio l’attività del gruppo sarebbe stata discreta e gli agenti avrebbero fatto ricorso solo alle proprie risorse continuando a svolgere i rispettivi compiti ai quali andavano aggiunti quelli indicati dall’adviser per la preparazione degli incontri collettivi.

L’adviser avrebbe informato i suoi referenti politici ponendoli nella condizione di conoscere nell’immediato gli sviluppi del conflitto, le tendenze in atto, la possibilità di ridurre gli scontri, la realtà del territorio che andava spezzettandosi in particelle sempre più piccole e separate costellate da posti di blocco e di controllo.

Le regole erano minime: informare degli spostamenti il Gabinetto dell’adviser, massima discrezione, nessun contatto con la stampa, ricerca del consenso delle rispettive Agenzie di appartenenza, condivisione delle informazioni sulla sicurezza, riservatezza su nomi e Paesi di appartenenza.

L’adesione degli agenti fu immediata, spontanea, entusiasta pur essendo tutti consapevoli che avrebbero moltiplicato il lavoro, annullato il già scarso tempo libero, ricevuto solo problemi.

Prospettive e disegno, però, meritavano ogni sforzo: era uno schema appena accennato, solo uno schizzo, ma tutti avevano la consapevolezza di partecipare a qualcosa di nuovo, all’embrione dell’Europa, come auspicabilmente sarebbe divenuta. Che si trattava di un salto epocale: passare dal “need to know” al “need to share” fino alla condivisione dei referenti di fiducia.

Accantonarono le rigide regole della compartimentazione e sin dai primi incontri superarono gli ostacoli burocratici e dello scambio informativo ingessato in formule e schemi che ne svuotano il contenuto. Misero in comune contatti, conoscenze, esperienze, mezzi. Gli incontri erano quotidiani, dove capitava, a spese proprie.

L’attività durò 4 anni nel corso dei quali fu possibile ottenere dalle formazioni palestinesi combattenti anche periodi di tregua unilaterale, la cooperazione per favorire un sensibile affievolimento del livello di scontro, la risoluzione pacifica dell’occupazione della Chiesa della Natività di Bethlehem da parte di oltre 100 combattenti palestinesi.

Ma i tempi non erano – forse – ancora maturi, troppo forti erano i tabù da superare.

In seno alla Comunità politico-diplomatica l’appoggio non fu mai convinto.

Le Agenzie degli operatori reagirono con cautela: non vietarono i contatti e non li incoraggiarono, limitandosi a osservare pur riconoscendo l’eccellente collezione informativa prodotta.

L’adviser svolse incontri anche con il Corpo diplomatico europeo a Gerusalemme e con i responsabili dell’intelligence israeliana: dagli uni e dagli altri ottenne solo un’attenzione non sempre convinta.

Le stragi di Beirut, Parigi e Mali, eseguite tra il 13 e il 20 novembre, le prime due da Daesh (Al Dawul al Islamiyah fi Iraq wa Sham) e la terza dagli Al Murabitun, il gruppo fuoriuscito da Al Qaeda in the Islamic Maghreb, riportano la questione del coordinamento di sicurezza in tutto il mondo.

Riuniti a Bruxelles lo stesso 20 novembre, i ministri degli Interni e della Giustizia non trovarono l’accordo sulla creazione di un’Agenzia europea d’intelligence proposta dalla Commissione europea.

Nel corso dei lavori, il Commissario ricordò, però, che subito dopo l’attentato alla redazione del giornale Charlie Hebdo e all’uccisione dei giornalisti presenti, la sua proposta di formare un centro antiterrorismo in seno all’Europol era stata subito resa esecutiva. Ma la proposta neppure questa volta è passata. La questione dovrebbe essere rivista dai ministri in questo mese di dicembre… Forse neppure oggi i tempi sono maturi.

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Xavier Solana

Xavier Solana

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