Il complesso panorama politico iraniano.

Il complesso panorama politico iraniano.

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L’Iran è uno splendido Paese con una cultura millenaria che vive da più di un quarantennio una situazione molto particolare, molto difficile. Questo articolo offre una panoramica precisa della situazione attuale. Di grande interesse il riferimento al capitalismo mercantilistico del bazar: chi conosce l’Iran sa bene quale sia l’importanza economica di questa struttura che fa rete sociale con la moschea. E chi ha vissuto la rivoluzione iraniana sa anche che fu il bazar a dare il segno risolutivo per la cacciata della dinastia Pahlavi dall’Iran.

Il Direttore Scientifico

Uno strumento utile per cercare di capire la complessa e magmatica realtà iraniana, nonché le sue implicazioni a livello regionale e mondiale è, come sempre, l’analisi del panorama politico, in questo caso variegato, complesso e frastagliato in numerosi partiti, raggruppamenti politici ed organizzazioni della società civile.

Giocoforza in un Paese come l’Iran l’operazione è ancor più complicata poiché reperire letteratura aggiornata non è semplice, legata com’è alle varie ondate politiche che si susseguono, basti ricordare che al periodo di rinascita intellettuale dei primi anni duemila coincidenti con il periodo al potere di Muhhamad Khatami, è subentrato un lungo periodo d’oscurantismo e d’isolazionismo.

In quest’ultimi anni molti giornali sono stati chiusi, i redattori incarcerati, la censura è diventata opprimente e i prezzi dei libri sono schizzati alle stelle.

In Iran possiamo individuare cinque significative correnti politiche: l’islamista, la sinistra di stampo marxista, la nazionalista, il combinato di esponenti religiosi e politici di sinistra e, infine, i monarchici.

Partiamo da questi ultimi, che non possono certo rivendicare un passato glorioso. L’esperienza del governo monarchico non è mai stata facile basti ricordare che, dall’istituzione della dinastia Qajar nel 1780, solo tre dei nove re morirono in carica per cause naturali, gli altri sono stati uccisi o costretti ad abdicare.

Una particolarità che accumuna l’esperienza monarchica è una sorta di predisposizione a far sollevare le masse contro il re, com’è successo nel 1892 per le proteste legate alla concessione del tabacco, nel 1906 con la rivoluzione costituzionale, nel 1951 con la nazionalizzazione del petrolio, nel 1963 con le proteste del clero, finendo con la rivoluzione Khomeinista nel 1978.

Probabilmente il motivo del fallimento è da ricercare in un esasperato nazionalismo della dinastia Pahlavi che si è sempre sentita come la continuazione storica delle vecchie monarchie dei secoli precedenti.

Siamo concordi con la valutazione espressa dallo scrittore Ali Darabi nel suo libro pubblicato nel 2018 e dal titolo Understanding Political Current in Iran secondo cui, alla luce dei trascorsi monarchici, l’attuale corrente politica monarchica non sarebbe in grado sia politicamente, sia ideologicamente, di dimostrarsi resiliente in Iran.

C’è poi la corrente islamista, dominate in Iran, espressione di una profonda fede nei principi religiosi. La religione di stampo shiita è centrale nella vita politica e sociale del Paese, con legami interconnessi e solidi tra l’Islam, la politica e il clero cui sono riconosciuti i principi di Velayat, di tutela e Marjaiyat, di primato dell’autorità religiosa.

Il Velayat-e Faqih è il sistema di governo che caratterizza l’Iran dalla rivoluzione islamica e giustifica il ruolo del clero sullo Stato. Il Velayat-e Faqih è dunque al centro dell’islamismo sciita ed è fondamentale per comprendere non solo il funzionamento del sistema politico iraniano, ma anche come Teheran sia in grado di influenzare le reti sciite religiose e politiche oltre i suoi confini, in particolare nel vicino e martoriato Iraq.

In sintesi, il Velayat-e Faqih trasferisce tutta l’autorità politica e religiosa al clero sciita e tutte le decisioni chiave dello Stato sono soggette all’approvazione di un capo ecclesiastico supremo, il Faqih, che fornisce il Velayat, la tutela alla Nazione, assicurando nel contempo un’islamizzazione dall’alto verso il basso.

Il Marjaiyat è l’Ayatollah, il giurista e teologo più autorevole del Paese, figura centrale perché rappresenta l’Imam Atteso, el Mahdi, l’Iman nascosto che, secondo il credo sciita, un giorno ritornerà per salvare l’intera umanità.

Ciò che caratterizza l’Islam, a differenza delle altre religioni, è dunque il connubio tra la religione e la giustizia con l’Iman che incarna al tempo stesso sia il religioso, sia il giudice.

Nel corso del tempo il partito islamico ha subito delle mutazioni e si è adattato. Dal radicalismo intransigente e forzatamente antioccidentale di Khomeini si è passati ad una visione più moderata ed aperta sotto la presidenza di Ali Akbar Hashemi Rafsanjani e, con Mohammed Khatami, ancora più riformista, più conciliante con il mondo occidentale ed attento all’economia.

Economia che riveste un ruolo centrale anche in quella che possiamo definire la “destra moderna” iraniana che ha forgiato i leader del partito hezb-e Kargozaran-e Sazandegi, il partito dei lavoratori, sostenitore dello sviluppo economico attraverso una maggiore industrializzazione del Paese.

Negli ultimi anni il Partito si è identificato con la Presidenza di Hassan Rouhani, ben disposto nel cercare di ridurre le tensioni internazionali.

La destra “tradizionale” è invece legata all’establishment clericale conservatore di Qom, la capitale dello sciismo, con una visione particolare dell’economia che si fonda sul c.d. capitalismo mercantilista dei bazar, rifuggendo dagli investimenti stranieri.

Una destra dunque che si rifà ai principi originari della Rivoluzione Islamica e che ha visto nell’ex Presidente Mahmoud Ahmadinejad il suo massimo rappresentante.

Siamo dunque al cospetto di partiti non monolitici che nel tempo si adattano e si trasformano. Ciò in conseguenza di un contesto istituzionale e politico a dir poco farraginoso con l’intrecciarsi del ruolo dei citati Velayat e Marjaiyat che, inesorabilmente, hanno determinato e condizionato le fortune delle varie correnti politiche.

È emblematica a tal riguardo la rapida ascesa e l’altrettanto repentina caduta in disgrazia dell’Ayatollah Hussein Ali Montazeri, il “discepolo” prediletto di Khomeini, designato prima vice e poi suo successore.

L’errore di Montazeri è stato quello di criticare apertamente la politica dello Stato e, soprattutto, la condotta di alcuni personaggi molto vicini a Khomeini, in particolare quella di suo figlio Ahmad. Le tensioni crescenti portarono Khomeni, qualche mese prima di morire, a rimuovere Montazeri dal suo incarico, lasciando il Paese senza un successore designato.

Velayat e Marjaiyat che, peraltro, continuano a condizionare il Paese anche oggi, come dimostrato dalla figura dell’attuale Ayatollah Ali Khamenei, inizialmente una figura di secondo piano e di scarso carisma ma che si è rivelato scaltro e abile nel trasformarsi in poco tempo nel capo indiscusso di una Repubblica Islamica sempre più chiusa, conservatrice e centralizzata.

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