Il Qatar nel Golfo. Soluzione definitiva di una crisi militare e finanziaria?

Il Qatar nel Golfo. Soluzione definitiva di una crisi militare e finanziaria?

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Atmosfera di riconciliazione, dunque, nel Golfo tra Riad e Doha, con la mediazione del Kuwait (che, insieme all’Oman, non aveva partecipato al boicottaggio del 2017), e così l’ArabiaSaudita ha riaperto i cieli per i velivoli qatarioti e le frontiere navali e terrestri.

Infatti, nel giugno 2017 il regno wahabita, con i suoi alleati, cioè gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein e l’Egitto, aveva rotto i rapporti diplomatici con il Qatar, imponendo un blocco navale, chiudendo lo spazio aereo e sigillando i confini terrestri.

Le accuse rivolte al Qatar erano pesanti (e forse nonostante tutto lo sono ancora, sotto sotto) : connivenza e supporto finanziario a gruppi terroristici jihadisti e una eccessiva ‘amicizia’ con l’Iran shiita; accuse chiaramente negate da Doha con veemenza, che vedeva in questo attacco congiunto, in realtà, un attacco alla propria sovranità nell’area.

Per ben tre anni il Qatar è riuscito a by-passare il blocco, portando a un punto morto la situazione, anche se molti dei suoi tentativi di riavvicinamento sono stati continuamente respinti dagli altri sunniti.

Con il tempo però le divergenze si sono appianate (forse), tanto che nell’incontro di questi giorni del GCC (Gulf Cooperation Council, istituito nel 1981) sembra che tutto sia andato nella giusta direzione di un rinnovato accordo tra quelle potenze petrolifere.

La voce più importante è stata quella del principe ereditario saudita Mohamed bin Salman che aveva già alcuni giorni prima dichiarato come il summit del GCC poteva essere il momento adatto per gli stati partecipanti per arrivare a una rinnovata riunificazione e solidarietà e fronteggiare le difficoltà della regione.

Per meglio comprendere alcuni aspetti di questa ‘riconciliazione’, ricordiamo che la pandemia globale ha colpito duramente anche il settore petrolifero, facendo scendere in maniera rilevante gli incassi delle varie realtà politiche locali, con riflessi forti anche sulle popolazioni, abituate a tutt’altro genere di vita e a un benessere sociale, garantito dallo Stato.

Il Ministro degli Esteri del Kuwait, Ahmad Nasser al Sabah, mediatore principale nella contesa, ha rilasciato dichiarazioni circa la volontà di Riad di riaprire i confini con il Qatar. Parallelamente il suo omologo saudita principe Faisal bin Farhan al Saud confermava che la crisi diplomatica del Golfo sembrava essere giunta al capolinea con l’accordo di tutti i Paesi coinvolti.

Tutto questo dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) comportare decisamente un allontanamento del Qatar dall’Iran con una perdita secca di Teheran di un progressiva influenza sul Golfo oltre alla perdita di un cospicuo indennizzo finanziario che il Qatar versava per sorvolare i cieli iraniani.

Il l 5 gennaio scorso, dopo molte dichiarazioni, i leader dei Paesi del Golfo hanno raggiunto un accordo di ‘solidarietà e stabilità’ per allentare le tensioni tra i vari componenti di quell’area. I rappresentanti dei Paesi del Golfo, riuniti a Al Ula (Saudi Arabia), presente anche l’Egitto, hanno firmato l’accordo diplomatico nella regione che comporta in concreto la ripresa delle relazioni diplomatiche, compreso il ripristino dei voli sui cieli sauditi e degli altri Paesi partecipanti.

Interessante la dichiarazione dello sceicco del Qatar, Al Thani, che ha ringraziato per l’ospitalità i sauditi e i rappresentanti del Kuwait per i loro sforzi nel risolvere la difficile questione, ritornando a usare, nel caso specifico, la parola ‘fratelli’ che è normalmente in uso in quelle regioni ma la cui valenza non è così scontata come potrebbe apparire.

Il reale concreto scopo dell’accordo emerge dalle parole di Mohammad Bin Salman: promuovere economicamente la regione (in evidente affanno finanziario per via della pandemia) e confrontarsi con le sfide che circondano quei territori.

Il Segretario Generale della Lega Araba aveva a sua volta dichiarato che la gran sfida attuale diffusa a livello globale, vissuta anche dal mondo arabo, ha bisogno di una seria stabilità e solidarietà fra i ‘ fratelli arabi’ e quindi ogni disaccordo tra essi deve essere risolto per la ‘stessa sicurezza araba‘.

Interessanti anche gli apprezzamenti positivi del Ministro degli Esteri egiziano sulla riconciliazione tra i paesi del cosiddetto ‘quartetto’ arabo (Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi e Bahrain) con il Qatar. L’Egitto ha bisogno di poter gestire il suo importante ruolo secolare nella regione mediorientale, anche a beneficio di una difficile stabilità interna.

Mohamad Jafar Zarif, potente Ministro degli Esteri iraniano, in un tweet sui social, come impone il garbo diplomatico si è congratulato in primis con il Qatar per aver nel passato resistito con coraggio a pressioni e minacce. Ha poi inviato un messaggio ai ‘vicini’ arabi, sottolineando che l’Iran non è loro nemico né costituisce una minaccia. Peccato però che l’Iran è sciita e tenderebbe a avere la supremazia su tutti i paesi musulmani della regione. Un interessante messaggio, comunque, nel quale, prendendo atto che il loro spericolato ‘padrone’ è in uscita (riferendosi chiaramente a Donald Trump e alla sua politica mediorientale), Zarif segnala che è arrivato il momento di accettare l’offerta iraniana per rafforzare strategicamente la regione petrolifera rispetto a altri potentati internazionali (videlicet: gli USA). Evidentemente l’Iran cerca di equilibrare a suo favore il potere di un importante territorio che può ritrovare una forza politica interna e soprattutto internazionale, con l’avvicendamento della Presidenza a Washington: l’Arabia Saudita.

Altri Paesi arabi hanno notato con soddisfazione la fine dei problemi nella regione del Golfo, anche in visione di un rafforzamento della solidarietà panaraba, ma quel che interessa molto è la reazione della Turchia che sta indubbiamente cercando un rinnovato moderno potere, anche se di stile ‘ottomano’ su quei territori, con una presenza attiva.

Il Ministro degli Esteri turco ha dichiarato ufficialmente che con la soluzione della disputa, la Turchia è, come sempre, in prima linea per sviluppare ulteriormente l’importante cooperazione istituzionale con i Paesi del Golfo; cooperazione nella quale la Turchia si dichiara ‘un partner strategico’.

E a ragion veduta. La Turchia ha interessi militari in Qatar: infatti, nel 2016, aveva installato una base militare, che doveva albergare personale turco per addestrare la polizia qatariota e forze speciali, ma non si limitò a quanto previsto. Questa cooperazione militare all’epoca non fu gradita dagli altri stati della penisola e contribuì alla rottura politica tra i vari emirati e sceiccati regionali. Nel 2017, infatti, l’Arabia Saudita e gli altri alleati chiesero al Qatar di chiudere la base turca, minacciando una invasione e come conseguenza alle minacce, il Qatar si è armato massivamente e ha rafforzato i legami militari con la Turchia: per questi precedenti, e non solo, la Turchia si definisce ‘alleato strategico’ del Qatar e dopo l’accordo di Al Ula, di tutta la regione.

L’opinione pubblica del Qatar sembra però essere molto scettica sul reale dissolvimento dei problemi con gli altri Paesi del Golfo anche se dichiara di esserne rallegrata.. ovviamente. Bisogna, infatti, considerare che durante gli anni del ‘blocco’, Doha ha speso miliardi di dollari per proteggersi in armamenti, aerei e navi militari. Il riarmo peraltro continua, conseguente alle ordinazioni fatte e gli armamenti già pagati. Un piccolo dettaglio da non dimenticare: in Qatar vi è una gigantesca base americana a Al Udeid, base avanzata americana del CENTCOM (United States’ Central Command), che ospita più di 10.000 militari. Questa base rappresenta un appoggio importante americano in Medio Oriente, rendendo il Qatar un alleato strategico nella regione mediorientale. Quali saranno le priorità del nuovo Presidente Biden?

La ritrovata compattezza di tutti gli Emirati presenti nella Penisola arabica fa pensare che forse l’influenza iraniana (che alimenta la guerra in Yemen sostenendo l’etnia Houthi) scemerà molto anche in questo conflitto al quale partecipano, oltre agli altri Paesi del Golfo, Marocco, Giordania, Sudan e Pakistan.

Potrebbe essere un momento nuovo nell’equilibro della Penisola. I fari debbono essere puntati soprattutto su Riad, principale attore della guerra in Yemen, territorio ormai distrutto dalla guerra, dalle malattie, pandemia inclusa.

Gli accordi andranno avanti fino a che gli interessi comuni petroliferi saranno in equilibrio e nessun potentato straniero cercherà di modificare quegli equilibri.

Un nuovo interessante periodo si apre a quelle latitudini. Il Re Petrolio è ancora colui che dà le carte…

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