La nuova  presidenza USA e il ritiro delle truppe dall’Afghanistan.

La nuova presidenza USA e il ritiro delle truppe dall’Afghanistan.

La firma a Doha 20 febbraio 2020

La firma a Doha 20 febbraio 2020

Sebbene non se ne parli più molto, almeno in Italia, in Afghanistan stazionano ancora poco meno di 12.000 militari provenienti da molte nazioni appartenenti alla Nato. Sono presenti con la motivazione ufficiale di addestrare truppe afgane, polizia locale compresa.

Il 29 febbraio 2020. a Doha, l’amministrazione Trump, che nel suo programma elettorale aveva promesso il rientro a casa dei militari statunitensi, ha fatto un accordo con i Taliban per un ritiro progressivo di queste truppe, prevedendo una presenza ‘nominale’ militare approssimativamente di circa 2500 unità, quindi per un massivo ritiro entro 14 mesi dall’annuncio dell’accordo. Il testo fu redatto in Pashtu, Dari (nuovo persiano) e Inglese, con uguale valore autentico.

E’ molto interessante l’intestazione dell’accordo di ‘pace’: Agreement for Bringing Peace to Afghanistan between the Islamic Emirate of Afghanistan which is not recognized (grassetto dell’A.) by the United States as a state and is known as the Taliban and the United States of America…un accordo firmato tra un Emirato Islamico dell’Afghanistan, dichiarato non riconosciuto come stato dagli Stati Uniti, ma noto come ‘Taliban’ e gli stessi Stati Uniti. Lascia molto perplessi dal punto di vista giuridico un accordo ‘militare’su un territorio con forze non riconosciute da parte di uno dei firmatari, quindi forze che non governano quel territorio ma si propongono come fattori di pace.

Dal punto di vista invece della politica internazionale, è di grande interesse perché si comprende come una grande potenza sia dovuta venire a patti non con un governo legittimo ma con una forza locale che si ritiene possa essere in grado di far osservare quanto pattuito, riconoscendone di fatto l’esistenza e la surrogazione a un governo legittimo!

L’Accordo si divide in 4 parti.

La prima prevede garanzie e meccanismi di applicazione che impedirebbero l’uso del suolo dell’Afghanistan da parte di qualsiasi gruppo o individuo contro la sicurezza degli Stati Uniti e dei suoi alleati.

La seconda è il contraltare della prima. Fa riferimento a garanzie, meccanismi di applicazione e annuncio di una tempistica per il ritiro di tutte le forze straniere dall’Afghanistan da parte degli Stati Uniti e alleati: militari, contractors, consulenti, chiunque non faccia parte di personale diplomatico regolarmente accreditato (spesso i ‘consulenti’ militari sono accreditati con altre funzioni…)

L’Emirato Islamico però non è il governo di Kabul: quindi ne viene di conseguenza (è questa la terza parte dell’accordo), che, dopo l’annuncio delle garanzie per un completo ritiro delle forze straniere e la relativa tempistica in presenza di testimoni internazionali e il relativo annuncio, sempre in presenza di testimoni internazionali che il suolo afghano non sarà utilizzato contro la sicurezza degli Stati Uniti e dei suoi alleati, l’Emirato islamico dell’Afghanistan, non riconosciuto dagli Stati Uniti come Stato ma noto come ‘talebano’, avrebe iniziato i negoziati intra-afghani con le parti afghane (dunque con il governo legittimo), il 10 marzo 2020, per far implementare tale accordo.

La quarta parte prevede che un ‘cessate il fuoco’ permanente e globale sarà un punto all’ordine del giorno del dialogo e dei negoziati intra-afghani. I partecipanti ai negoziati intra-afghani avrebbero discusso la data e le modalità di un cessate il fuoco permanente e globale, compresi i meccanismi di attuazione congiunta, che sarebbero stati annunciati insieme al completamento e all’accordo sulla futura tabella di marcia, politica, dell’Afghanistan.

Gli obblighi dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan si applicano, secondo l’accordo, nelle aree sotto il loro controllo fino alla formazione del nuovo governo islamico afghano post-insediamento come determinato dal dialogo e negoziati intra-afghani.

L’accordo però non impegna solo gli Stati Uniti ma tutti i membri della Coalizione che hanno presenze di vario tipo in Afghanistan. Infatti, nel dispositivo della prima parte, si scrive che gli Stati Uniti, i loro alleati e la Coalizione avrebbero adottato alcune misure nei primi centotrentacinque (135) giorni dalla firma dell’accordo. In particolare Washington si impegnava a ridurre sensibilmente il numero delle sue forze e proporzionalmente avrebbero ridotto la loro presenza le altre forze della Coalizione. Gli Stati Uniti, i loro alleati e la Coalizione si dovevano ritirare subito da cinque importanti basi militari dove erano presenti e concludere il completo ritiro dal territorio afghano e da tutte le altre basi militari entro nove mesi e mezzo dalla firma, entro il maggio 2021.

Altro punto importante riguardava il rilascio di prigionieri da ambo le parti: una prima tranche di mille unità il 10 marzo, giorno di inizio delle trattative intra-afghane, per completare lo scambio totale entro tre mesi da quella data.

Successivamente era indicato che l’Emirato Islamico dell’Afghanistan si impegnava a impedire a qualsiasi gruppo o individuo di minacciare la sicurezza degli Stati Uniti e dei suoi alleati; avrebbe anche impedito loro di reclutare, addestrare o raccogliere fondi per iniziative di questo tipo. Si impegnava altresì a non ospitare questi gruppi in conformità con gli impegni dell’accordo e non fornire passaporti, visti o altri documenti a persone che potevano rappresentare un pericolo alla sicurezza degli Stati Uniti e dei loro alleati.

Alla fine dell’accordo, come si conviene in tutti i trattati di ‘pace’,g li Stati Uniti e il ‘non riconosciuto’ Emirato islamico dell’Afghanistan, si impegnavano a cercare relazioni positive tra loro e si aspettavano che le relazioni tra gli Stati Uniti e il nuovo governo islamico afghano post-insediamento, come determinato dal dialogo e dai negoziati intra-afghani, sarebbero state positive. Tutto molto concreto ma anche molto ‘surreale’, conoscendo la situazione afghana.

Inoltre Washington is impegnava a una la cooperazione economica per la ricostruzione con il nuovo governo islamico afghano post-colonizzazione, come determinato dal dialogo e dai negoziati intra-afghani, senza peraltro intervenire nei loro affari interni.

Nota a margine: però da quando è stato firmato l’accordo, i ‘Taliban’ hanno effettuato numerosi attacchi non direttamente alle forze della Coalizione, ma alle forze afghane, addestrate da proprio da militari di quella Coalizione. Attacchi dai quali non sempre l’Emirato islamico, conosciuto appunto come ‘Taliban’ si è dissociato…

Dichiarava Jens Stoltenberg, Segretario Generale della Nato, lunedì 16 novembre, che un ritiro affrettato delle truppe americane e alleate dall’Afghanistan presenta alto rischio: “Ora dobbiamo affrontare una decisione difficile. Siamo in Afghanistan da quasi 20 anni e nessun alleato della NATO vuole restare più a lungo del necessario. Ma allo stesso tempo, il prezzo per partire troppo presto o in modo scoordinato potrebbe essere molto alto “

Stoltenberg, sempre molto cauto nei suoi commenti in politica internazionale, si è espresso per la prima volta con una forte nota critica contro l’amministrazione Trump.

Che farà ‘The Donald’ che ha anche licenziato a due mesi dalla più che probabile fine del suo mandato presidenziale, Mark Esper, suo Segretario di Stato alla Difesa? Ordinerà da Commander in Chief un affrettato ritiro almeno di parte delle truppe, per dimostrare ai suoi sostenitori che attua quanto promesso? Il sostituto di Esper, Christopher Miller, ritiene che sia tempo di tornare ‘a casa’ per i militari americani…

Agendo in questo modo, il suo successore, il Presidente eletto, si troverà un bel problema da risolvere: se sconfessasse il trattato almeno in parte, di sicuro dovrebbe mettere in conto una vivace recrudescenza di attentati contro le forze della Coalizione. L’Afghanistan è tornato in mano dei ‘talebani’ anche se non sono ancora al governo ma è molto chiaro che sono la forza dominante e che il loro arrivo al potere instaurerà di nuovo in modo totale la legge della ‘sharia’ non limitata dalla presenza di forze occidentali, che hanno lottato contro di loro per venti anni.. senza però vincere la partita.

Il testo dell’accordo, anche se in ogni passo recita che una parte contraente, l’Emirato Islamico dell’Afghanistan, ‘dichiarato non riconosciuto come stato dagli Stati Uniti, ma noto come ‘Taliban’, nei fatti la riconosce come potere dominante in un territorio nei quale può attuare ‘consultazioni’ con gli altri afghani, cioè quelli al Governo, riconosciuto come legittimo dalla comunità internazionale.

Piuttosto deciso come riconoscimento ‘de facto’ di un potere non legittimato ma con il quale si fanno accordi di importanza fondamentale per tutte le parti contraenti, soprattuto per quella che non ha vinto la sua partita sul territorio.

Auguri a Biden, Presidente eletto degli USA. Forse uno dei problemi più spinosi, se non il più complicato, da risolvere…

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