Un ennesimo ‘cessate il fuoco’ in Libia. Sarà rispettato?

Un ennesimo ‘cessate il fuoco’ in Libia. Sarà rispettato?

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E’ una domanda che molti osservatori si pongono, dopo i numerosi tentativi di riportare una parvenza di pace in Libia, e di conseguenza, alleggerire di conflitti quel settore del Mediterraneo.

Quali sono alcuni dei termini di questo accordo siglato sotto l’egida delle Nazioni Unite, definito ‘un accordo permanente’.

E’ ben conosciuta la situazione libica attuale, a dieci anni dalla morte di Muhammar Gheddafi, che ha completamente destabilizzato un territorio così importante per tutto il Mediterraneo, con i suoi pozzi di petrolio e giacimenti di gas. Ricchezze notevoli, il cui controllo è costantemente cercato dalle potenze europee, soprattutto dalla Francia, attore protagonista nella caduta del dittatore libico, che però sta perdendo molto terreno.

Ci sono due governi su questo territorio che in realtà non è mai stato unificato totalmente. Gheddafi era riuscito in vario modo a tenere in pugno la Cirenaica, la Tripolitania e il Fezzan, includendo le tribù in un primo momento nelle istituzioni, in seguito esercitando un forte potere sulle stesse. Lui stesso era uomo di tribù e ne conosceva bene gli equilibri, le tensioni interne e le pulsioni di potere.

Attualmente vi è un Governo di Unità Nazionale (GNA), basato a Tripoli con a capo Fayez al Serraj, riconosciuto dalle Nazioni Unite, sostenuto dalla Turchia e un altro governo, di fatto opponente, con il generale Khalifa Haftar (Libian National Army – LNA) a Tobruk, sostenuto dalla Russia, dagli Emirati e dall’Egitto.

Incontri preliminari si erano svolti in Egitto, agli inizi di ottobre e poi quello definitivo per la firma sotto l’egida delle Nazioni Unite ha avuto luogo in Svizzera, il 23 ottobre scorso, con cinque ufficiali per parte (una Joint Military Commission – JMC), sotto l’occhio attento di Stephanie Williams, nominata il 7 luglio 2018, speciale Rappresentante del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Gutierres, nella UN Support Mission in Libia (UNSMI).

Si sono accordati, almeno sulla carta, per una permanente cessazione delle ostilità, con effetto immediato, chiarendo che la tregua non si applica a quei gruppi terroristici, come tali designati dalle Nazioni Unite, che si trovano in alcuni territori a sud della Libia, cioè i combattenti dell’ISIS.

Quali sono i numerosi termini dell’accordo, almeno quelli che rappresenteranno senza dubbio il maggiore ostacolo se non il fallimento dello stesso?

Tra gli altri, il primo punto fondamentale riguarda ovviamente la posizione militare dei due contendenti: tutti i reparti militari e gruppi armati (milizie) dovrebbero ritirarsi dalle linee del fronte e rientrare nei loro accampamenti. Possibile comportamento ma non certo, soprattutto per quanto riguarda le truppe di Haftar.

Il secondo punto dirimente è quello più difficile da essere implementato. Infatti l’accordo prevede che anche tutti i combattenti stranieri e mercenari debbano lasciare il territorio libico entro tre mesi, cioè entro il 23 gennaio 2021. Lo stesso vale anche per tutti i consiglieri o addestratori militari stranieri.

E’ ben noto che, a parte mercenari isolati, le truppe straniere presenti, ufficialmente e non, provengono da vari stati, principalmente dalla Russia e dalla Turchia e con accordi bilaterali stretti a livello governativo. Di questo si occupa anche il testo: qualsiasi accordo militare che le due parti abbiano concluso con Stati terzi deve essere unilateralmente sospeso fino a che un nuovo governo di unità nazionale sia esecutivo. Non impossibile ma difficile da realizzare, con la presenza di truppe straniere sul territorio, se non richiamate volontariamente dagli stati mandanti.

Come ha correttamente fatto notare Fathi Bhashaga, ministro dell’Interno del Governo di Tripoli, la tregua risulterà molto fragile se gli stati che al momento sostengono Tripoli o Tobruk non si faranno da parte, lasciando alla classe dirigente libica trovare un accordo politico ancor prima di quello militare. E’ però molto difficile che gli stati stranieri impegnati in Libia lascino facilmente la ‘presa’. Non si può dimenticare che il conflitto che si svolge in Libia sia una guerra ‘per procura’ per conquistare l’influenza totale, diciamo pure.. e il possesso delle ricchezze del sottosuolo libico, quelle conosciute e altre eventualmente da scoprire.

Questo accordo è sostenuto chiaramente da un consenso internazionale che vuole la pace in Libia, territorio di notevole importanza, per iniziare a stabilizzare il resto dell’Africa Mediterranea, scossa dal conflitto siriano, dalla debolezza dell’Iraq, dalla precaria situazione economica di Egitto e Tunisia: ambedue questi Stati hanno bisogno di una Libia stabilizzata, per la loro stessa sicurezza nazionale, condividendone i confini, peraltro assai porosi.

La Turchia ha poi iniziato la sua lenta ma inesorabile lotta contro la Francia e la sua influenza in Libia, complici anche maldestre vignette di un giornale satirico che ridicolizzano e insultano il ‘Sultano’ Erdogan. La libertà di espressione è una conquista democratica ma occorre avere anche sensibilità politica e senso di opportunità in momenti difficili di scontro tra identità culturali diverse. Si inizia anche con il boicottaggio di prodotti francesi non solo in Turchia. La richiesta è girata a tutti gli stati musulmani: sottile politica oltre agli insulti urlati, per scalzare alla base qualsiasi tentativo di ottenere un consenso popolare per essere accettati e sostenuti in una penetrazione territoriale diffusa. Infatti, in molti Paesi musulmani è iniziata la crociata contro la Francia. Emulazione e rabbia.

Rispetto al ritiro delle truppe straniere, come si comporteranno gli Emirati che hanno anch’essi ‘consiglieri’ in Libia e una definita politica per guadagnare spazio importante nell’Africa mediterranea.

Altra incognita sono le ‘milizie’. Nonostante tutti gli sforzi di Fethi Bhashaga (ex pilota dell’aeronautica libica), due anni fa, per integrare quelle formazioni nelle istituzioni di sicurezza nazionale, è rimasta indiscussa l’autorità dei capi, ma è ben noto che le milizie non solo hanno armi, denaro ma anche ‘protezioni’ a alto livello…, come dichiarato dallo stesso Bhashaga.

Le Nazioni Unite hanno definito questo accordo un ‘avvenimento storico’, peraltro come molti altri. Troppi gli attori che dovrebbero implementarlo con interessi forti sul territorio. In questo momento Haftar è debole ma ben sostenuto. Saranno solo gli interessi dei singoli stati esterni alla lotta interna a decidere se veramente questo accordo sarà ‘storico’. Risposta facile:sì

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