ANCHE I RICCHI PIANGONO. EFFETTO DEL VIRUS. E LA STABILITÀ IN MEDIO ORIENTE? RIFLESSIONI.

ANCHE I RICCHI PIANGONO. EFFETTO DEL VIRUS. E LA STABILITÀ IN MEDIO ORIENTE? RIFLESSIONI.

 

 

l Principe ereditario dell'Arabia Saudita, Mohammad Bin Salman

il Principe ereditario dell’Arabia Saudita, Mohammad Bin Salman

Sembrerebbe incredibile ma anche in Arabia Saudita vi sono dei problemi finanziari importanti. Pochi giorni fa il Ministro delle Finanze del Regno ha dato una notizia non particolarmente gradita ai sudditi perché ha triplicato l’imposta di valore aggiunto, portandola dal 5 al 15% a valere dal prossimo 1° luglio. E non solo: ha anche sospeso la corresponsione di un bonus per i costi abitativi dato a tutti gli impiegati dello Stato. Infatti nel 2018 il Re Salman aveva dato ordine che a ogni impiegato dello Stato fosse dato un bonus per compensarlo dell’alto costo raggiunto dalle abitazioni, aumentato vertiginosamente. L’esercito degli impiegati dello Stato Saudita ammonta a 1 milione e mezzo di individui ai quali dare a un livello di vita più che dignitoso, vista la ricchezza del paese e e della famiglia saudita al potere.

Le finanze del Regno sono state pesantemente toccate dalla drastica riduzione del prezzo del petrolio e dalla amara contingenza che il virus ha imposto anche nella ricca Arabia Saudita un rallentamento dei consumi sul territorio e, in modo massivo, nel resto del mondo.

Il principe ereditario Mohammed Bin Salman in una sua dichiarazione alla nazione ha spiegato queste misure di austerità in quanto il bilancio finanziario del Regno ha avuto un notevole decremento dei primi quattro mesi dell’anno. Questi problemi hanno messo sotto pressione le finanze pubbliche a un tale livello che era difficile continuare a procedere come nel passato nel medio e nel lungo termine, considerando soprattutto che gli introiti del petrolio non avranno di sicuro stabilità nel medio e lungo periodo. Le riserve di valuta straniera della Banca Centrale del Regno si sono impoverite come mai negli ultimi vent’anni e sono al loro livello più basso dal 2011. Gli introiti del petrolio nei primi tre mesi sono caduti del 24%, portando quindi l’economia dell’Arabia Saudita a uno stress incredibile per cui il governo ha dovuto ritirare dalle riserve del Regno qualcosa come 23 bilioni di dollari. Questo è stato il più grande ritiro di valuta come mai era avvenuto nella storia del Paese.

È indubbio che i prezzi del petrolio hanno avuto un colpo mortale dalle misure di restrizione che hanno messo in atto molti Stati, chiudendo le frontiere e quasi annullando i viaggi aerei, provocando quindi una discesa subitanea di richiesta di petrolio, con il quasi congelamento totale  dei movimenti individuali delle popolazioni nel mondo occidentale e non solo.

Era quindi inevitabile per l’Arabia Saudita tagliare rapidamente la produzione e l’estrazione di petrolio di un altro milione di barili al giorno a valere dal prossimo luglio. Questa riduzione volontaria va ad aggiungersi a quelle contrazioni alle quali il Regno si era già impegnato nel mese di marzo e aprile con un accordo tra OPEC e i suoi alleati. Per l’Arabia Saudita si è quindi trattato di una diminuzione di circa 4.8 milioni di barili al giorno, dal livello di produzione di aprile. Pertanto l’estrazione di petrolio del Regno, per giugno, raggiungerà la cifra di circa 8 milioni di barili in meno al giorno. Un numero molto rilevante.

Questo importante problema del prezzo del petrolio ha comportato anche gravi problemi per il nuovo governo iracheno di Mustafa al Kadhimi.

Sembra non esserci pace per l’Iraq. Prima la guerra civile poi le sommosse di strada e l’instabilità politica, poi il virus e ora anche la caduta del prezzo del petrolio. Questi problemi hanno spinto le finanze irachene e la sua fragile stabilità a un serio punto di rottura, che può portare a una nuova instabilità con il pericolo di ulteriori intromissioni di potenze straniere. Gli introiti del petrolio rappresentano il 67% dell’economia irachena e circa il 90% del bilancio finanziario del governo. Questo ovviamente non è un problema quando i prezzi del petrolio sono alti ma è indubbio che le finanze pubbliche irachene sono alla mercé dei mercati, particolarmente difficili e instabili in questo anno. I prezzi del petrolio hanno iniziato a scendere in gennaio e febbraio proprio quando la Cina iniziò il suo confinamento; sono caduti totalmente quando il virus si è diffuso e quando l’Arabia Saudita ha iniziato la sua guerra sui prezzi del petrolio.

I due problemi della caduta dei prezzi del petrolio e la crisi sanitaria si sono manifestati in Iraq proprio quando le notevoli manifestazioni di popolo nelle strade hanno portato alle dimissioni del Primo Ministro Abdel Abdul Mahdi. Solo recentemente il Parlamento ha votato per approvare a maggioranza il nuovo governo di Mustafà al Khadimi, in un momento molto difficile per una nuova compagine governativa.

Dobbiamo sempre ricordare che l’Iraq è il secondo più grande produttore di petrolio delle nazioni dell’OPEC e ha deciso di tagliare la sua produzione di più di 1 milione di barili al giorno che rappresentano il 20% della sua produzione totale. Questo taglio ha messo in grande affanno ovviamente le finanze di un governo appena insediato. Molti sono gli impiegati pubblici del governo e mese per mese aumentano i costi. È stato stimato che l’Iraq avrebbe bisogno di vendere il petrolio ad almeno 58 $ al barile, solamente per poter pagare stipendi e pensioni agli aventi diritto. Per qualsiasi nazione non è facile riuscire a fare grandi risparmi quando alcune uscite sono fisse e non comprimibili. Una delle soluzioni possibili, secondo il Centro di Studi Strategici iracheno sarebbe quello di usare le riserve monetarie della Banca Centrale dell’Iraq e/o prendere a prestito delle risorse finanziarie non soltanto dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), ma anche da altre fonti. C’è da notare che le riserve irachene ammontavano nel 2019 a 68 bilioni di dollari che sono abbastanza per coprire 10 mesi di importazioni. Allo stato attuale coprono meno di sei mesi, essendo scese di almeno 9 bilioni di dollari. Trovare altre risorse non è facile perché prendere in prestito dollari dal mercato internazionale non è molto praticabile: i capitali in questi periodi difficili fuggono dai mercati emergenti piuttosto che investire in essi, mandando anche in sofferenza Fondi che già si sono esposti in quei Paesi.

Gli stati più ricchi non riescono ad andare in aiuto dell’economia irachena perché anche le loro economie sono state pesantemente ridotte all’osso dalla pandemia. Anche FMI può essere molto poco interessato a investire in Iraq, considerando che il governo iracheno non è riuscito a portare avanti quelle riforme strutturali che lo stesso FMI aveva consigliato quando aveva dato un aiuto nel 2016. E non è certo questo il momento per fare le riforme previste che comportano gravi difficoltà diffuse anche per la popolazione. Il mondo è cambiato dal 2016 ad oggi, e lo sanno bene gli uomini della finanza iracheni e la nuova compagine governativa di Baghdad.

Non possiamo poi dimenticare la situazione in Iran dove la pandemia si è diffusa e oltre a questo dramma si aggiungono le sanzioni sempre più dure che gli Stati Uniti hanno comminato al governo di Teheran.

100.000 sono i casi contagiati in Iran con 6500 morti, almeno secondo le ultime cifre, e con una situazione ospedaliera sanitaria in grandi difficoltà sia per le sanzioni americane sia per il governo degli ayatollah, non particolarmente interessati al settore. Da tutto il mondo sono giunte le richieste affinché Washington alleggerisca le sanzioni contro l’Iran per aiutare il paese nella lotta contro la pandemia: a causa di quelle sanzioni rimane difficile per Teheran ottenere materiale sanitario di primaria importanza e presidi medici per contrastare l’epidemia. Una delle dichiarazioni del Ministro degli Esteri iraniano Zarif è stata particolarmente dura quando ha sostenuto che gli Stati Uniti sono passati dal ‘terrorismo economico’ al ‘terrorismo medico’, rifiutando di levare alcune sanzioni in particolare (quelle appunto relative a materiale medico) e ha chiesto alla comunità internazionale di smettere di aiutare ‘crimini di guerra’ obbedendo a sanzioni ‘illegali e immorali’. Per il momento Trump non sembra voler alleviare la situazione iraniana con quella che potrebbe essere chiamata una ‘diplomazia umanitaria’ allo scopo di normalizzare le relazioni fra Washington e Teheran.

La situazione della popolazione in Iran è molto grave; la povertà è diffusa soprattutto nelle grandi città e se Washington non dovesse immediatamente cambiare la sua politica nei riguardi dell’Iran, la situazione in quel settore strategico sarà sempre più difficile, arrivando di sicuro a una instabilità, forse sperata sia dagli americani sia dai sauditi che già vedono  con soddisfazione le difficoltà iraniane a mantenere la propria influenza in Siria e il Libano a causa delle difficoltà finanziarie sperando anche in un crollo del regime.

Indubbiamente questa pandemia sta avendo una grande influenza o l’avrà sugli equilibri medio orientali dall’Iran alla Libia, passando per la Siria, per il Libano, la Tunisia e anche l’Egitto, punto centrale di riferimento per il mantenimento di un certo equilibrio nel Vicino e Medio Oriente.

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