Ancora una volta. Un attacco a una ambasciata USA in Medio Oriente.

Ancora una volta. Un attacco a una ambasciata USA in Medio Oriente.

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Le immagini dell’attacco all’ambasciata degli Stati Uniti a Baghdad naturalmente rimandano a quelle del novembre 1979 a Teheran e, per chi scrive, quelle, di cui fu testimone, del febbraio 1979 quando i rivoluzionari tentarono per la prima volta l’assalto alla sede diplomatica senza riuscire a entrarvi, ammesso che fosse quello l’obiettivo finale.

E’ la risposta per l’attacco americano alle milizie sciite sostenute dall’Iran, Kataib Hezbollah, con 25 morti, a sua volta indubbiamente una ritorsione per l’uccisione di due contractor civili americani dei giorni precedenti. Sembra che le dimostrazioni degli Sciti iracheni siano iniziate appunto a Najaf, una delle città sante dello Shiismo, dove Khomeini si era rifugiato on esilio negli Anni ‘60.

La tensione fra Stati Uniti e Iran è molto aumentata da quando questi si sono ritirati dall’accordo nucleare, imponendo nuove sanzioni che penalizzano moltissimo l’economia iraniana.

Il conflitto, dunque, fra questi due Stati si è spostato in Iraq, ancora destabilizzato e in grado di assorbire, anche di fronte alla politica internazionale, un attacco militare sul territorio. Evento che non sarebbe possibile se Washington attaccasse l’Iran sul suo territorio, considerato anche l’armamento strategico di cui Teheran dispone.

L’Ufficio del Primo Ministro Mahdi ha descritto l’attacco americano sulle forze armate irachene come un assalto inaccettabile che potrebbe avere conseguenze disastrose. Il Consiglio di Sicurezza Nazionale iracheno ha dichiarato che il fatto di attaccare dei gruppi paramilitari iracheni può portare a riconsiderare le relazioni e il lavoro fatto con gli Stati Uniti contro la coalizione anti Daesh, ancora presente su alcune parti del territorio. Praticamente quell’attacco ha rappresentato uno scontro fra Hezbollah-Iran e Stati Uniti. La Russia ha stigmatizzato quell’attacco ed espresso solidarietà col governo iracheno. Anche la Siria ha denunciato l’attacco americano contro le forze di mobilitazione popolare  (Popular Mobilization Forces) che difendono comunque la sovranità e l’indipendenza dell’Iraq.

Assolutamente opposto il commento israeliano che ha lodato gli Stati Uniti per l’azione importante condotta contro l’Iran e le sue milizie della regione del Golfo Persico. Non ci si poteva aspettare un commento diverso.

Coloro che hanno assaltato e dato fuoco all’ambasciata americana sono ufficialmente i sostenitori di quelle forze militari sciite Hash Al-Shahabi che avevano subito l’attacco militare e avevano perso uomini.

E sembra il ripetersi di quel che accade a Teheran nel 79: lì un primo avvertimento fu dato nel febbraio ma l’ingresso in ambasciata non avvenne forse perché non era ancora nei piani di entrare e prendere il compound e come ostaggio i funzionari presenti e soprattutto riuscire a impossessarsi di documenti sensibili. Anche in questo caso sembra quasi un avvertimento perché è stato dato fuoco a un ufficio di ingresso per il pubblico vicino al parcheggio delle macchine diplomatiche. Sembra che aldilà dei muri esterni vi fosse un uomo con un altoparlante che invitava gli assalitori a non entrare nel recinto dell’ambasciata, dicendo appunto che il messaggio era stato inviato. Un primo avvertimento? Una dimostrazione di forza?

Gli assalitori urlavano ‘morte all’America’, lo stesso grido che si ascoltò nel novembre e prima nel febbraio 1979 a Teheran. Le stesse modalità, gli stessi slogan, lo stesso odio contro l’America diventata di nuovo, semmai aveva cessato di esserlo, il ‘demonio’.

Analizzando con cura il comunicato dell’Ufficio del Primo Ministro si comprende come da tempo in Iraq l’influenza americana non sia vista più con amicizia e come vi sia la volontà che Washington si ritiri definitivamente dall’area.

Baghdad e tutto il territorio iracheno sono indubbiamente preda interessante per l’Iran che tende a divenire la potenza dominante di quel settore strategico. Non sarebbe comunque una influenza facile perché i sunniti sono predominanti anche se attualmente sono gli sciiti che governano.

Un accordo politico Usa-Iran è molto difficile anche in seguito all’attuale politica che Trump sta attuando nei confronti di Teheran, cercando di piegare la durezza e la scaltrezza degli ayatollah. Gli americani sperano, e forse qualcosa stanno anche facendo (come da loro tradizione: ricordiamo il modo in cui fu defenestrato Mossadeq nel 1953) che il regime al fine sia rovesciato dalla stessa popolazione iraniana ormai stanca delle imposizioni e dei religiosi sciiti che sono riusciti a prendere il potere. Gli iraniani sono stanchi di un regime che  come il precedente regno Pahlavi si sia rivelato corrotto, con lo stesso tipo di servizi segreti e comportamenti oppressivi che hanno caratterizzato gli anni dal 1940 in poi in Iran.

Dunque la guerra diretta fra Iran e Stati Uniti è iniziata? Forse si. Su altrui territorio. Pericolosa x per tutta la regione.

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