Marocco: la politica inclusiva del Sovrano, il riavvicinamento all’Africa e la presenza francese.

Marocco: la politica inclusiva del Sovrano, il riavvicinamento all’Africa e la presenza francese.

Una delle porte d'ingresso della città di Fes (photo©firuzeh)

Una delle porte d’ingresso della città di Fes (photo©firuzeh)

Alla ripresa delle sue pubblicazioni OA si occupa del Marocco, allo stato attuale un territorio molto interessante  anche per la politica perseguita da un Sovrano fattivo e concreto. Un panorama della situazione attuale.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Il Marocco, pur nella sua complessità, è un unicumnel panorama mediorientale per una relativa stabilità sociale, economica e politica.

L’antica Mauretania Tingitana (cosi chiamata dai Romani perché abitata da barbari), è un Paese che si riconosce nella triade “Dio, Patria, Re” e ha un discreto livello di democratizzazione interno concesso da Mohammed VI, diciottesimo Sovrano della dinastia Alawide che è al potere dalla morte dell’ultimo sovrano della precedente dinastia Sadiananel 1969.

Salito al trono nel 1999, Mohammed VI si è ben presto rivelato un uomo scaltro, astuto e benvoluto dal popolo ed anche se è stato soprannominato il Re dei poveri, in realtà è un abile e ricco imprenditore.

Mohammed VI però è riconosciuto e rispettato nel suo ruolo di garante della pluralità religiosa e di “comandante” dei credenti.

Grazie alla presenza di apparati di sicurezza “efficienti”, di un islamismo moderato e di partiti politici incanalati in dinamiche istituzionali, a oggi tutte le influenze islamiste estreme e le tensioni sociali sono state tenute a freno. Così è stato per il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo – PJD che, seppur d’ispirazione islamista, nel 2011 ha vinto le elezioni presidenziali.

All’inizio degli anni duemila le autorità marocchine si sono impegnate nel cercare di promuovere in tutto il Paese un Islam tollerante e moderato, riorganizzando la pluralità della sfera religiosa ed attualizzando l’Islam più tradizionale, bandendo l’estremismo militante e dando centralità al ruolo di arbitro del Sovrano.

E’ interessante evidenziare che, a differenza di quanto è successo in altri Paesi limitrofi, gli ideologici sunniti marocchini più intransigenti, in particolare i salafiti, hanno apertamente rinnegato la militanza jihadista, ottenendo in cambio di non essere emarginati dalla società e perseguitati dalla giustizia.

Si ricorda che a Fes si trova la più antica università coranica del Medio Oriente che, nel corso dei secoli, ha ospitato eminenti figure tra cui i filosofi Abu al Walid Muhammad ibn Ahmad Ibn Rushd, meglio conosciuto come Averroés (Cordova 1126 – Marrakesh 1198), Moshe ben Maimon, (Cordova 1135 – al Fustat 1204), senza dimenticare Ibn Khaldun (Tunisi 1332 – Il Cairo 1406), considerato il più grande storico e filosofo del Magreb, nonché uno dei padri fondatori della sociologia e della storiografia.

La politica d’integrazione e non d’emarginazione è stata utilizzata dal Sovrano anche fuori dal contesto religioso, per esempio nei confronti della minoranza berbera per decenni emarginata e oggi riconosciuta nella Costituzione.

Dal 2014 la situazione economica è in graduale peggioramento con il PIL in calo, il turismo in contrazione e il tasso della disoccupazione, soprattutto giovanile nella fascia tra i quindici e i venticinque anni, è in crescita e a doppia cifra. Questo è il dato più preoccupante poiché la mancanza del lavoro acuisce le tensioni sociali e fa crescere il malcontento e la protesta.

Lo scorso mese di luglio il Re, dopo aver pubblicamente riconosciuto il fallimento dell’attuale modello di sviluppo, giudicato non al passo con le esigenze dei cittadini, ha reso nota la decisione di costituire un Comitato speciale per la redazione di un nuovo piano.

Molti i dossier che il Governo deve affrontare con decisione, in primis quelli di natura economica con tutta una serie di riforme nella pubblica amministrazione, nei settori scolastico, agricolo, industriale ed energetico, senza però tralasciare gli sforzi per prevenire il rischio d’insorgenza terroristica, l’instabilità regionale e, ultima ma non minore, la questione delSahara occidentale.

Questa regione di quasi trecento mila km2è contesa tra il Marocco, subentrato nel 1976 alla Spagna che rinunciò al controllo amministrativo coloniale, e il movimento indipendentista Polisario (Frente Popular de Liberacion de Saguìa el Hamra y Rìo de Or), con la Missione delle Nazioni Unite-MINURSO chiamata a controllare il rispetto del cessate il fuoco lungo le linee confinarie.

Le parti in lotta sono divise da uno sbarramento di quasi tremila chilometri che divide la regione in due parti: la più grande e ricca è controllata dal Marocco, mentre la più piccola e povera, in prossimità del confine con la Mauritania, è amministrata dal Fronte Polisario.

Ad oggi la Regione è stata dichiarata “non autonoma” dalle Nazioni Unite, non è membro ed è riconosciuta solo da una cinquantina di Stati, peraltro quasi tutti africani, mentre fa parte dell’Unione Africana.

Della stessa Organizzazione è membro anche il Marocco, nuovamente rientrato a pieno titolo il 30 gennaio 2017, e ciò grazie al lavoro del Re Mohammed VI, coerente con la sua visione, anche in politica estera, dell’integrazione e non dell’emarginazione.

Da quando è succeduto al padre giusto vent’anni orsono, il Re ha perseguito con pragmatismo la strada del riavvicinamento al resto dell’Africa, con incontestabili vantaggi politici ed economici a tal punto che oggi il Marocco è il secondo investitore nel Continente africano.

Le autorità locali in pochi anni sono riuscite a creare una vasta rete di accordi commerciali e di scambi bilaterali, con circa il 60% degli Investimenti Diretti Esteri destinati all’Africa. In tale ambito, significativa la decisione marocchina di cancellare tutti i debiti pregressi vantati nei riguardi di numerosi Paesi africani.

Strategicamente rilevante, infine, lo sviluppo del faraonico progetto Gazoduc, un gasdotto lungo più di cinque mila chilometri che, una volta completato, trasporterà metano e greggio dal Marocco alle regioni del Delta del Niger.

Tale progetto, che unirà il Marocco con la Nigeria, passando attraverso il Benin, il Togo, il Ghana, il Senegal e la Mauritania, sia in offshore che in on shore, sarà completato entro un arco temporale di cinque lustri. Il Gasdotto sarà anche un ponte tra l’Africa e l’Europa che, secondo le aspettative marocchine, rafforzerà la loro posizione strategica nel settore oil&gas.

Tra tutte le leggi recentemente approvate dal Parlamento, una in particolare sta creando tensioni e malumori. Lo scorso mese di luglio il Parlamento ha approvato con 241 voti favorevoli su 395 la legge che rafforza il ruolo e l’importanza dello studio della lingua francese nelle scuole. Ciò in netta controtendenza con la politica di “arabizzazione” del Paese iniziata dopo l’era coloniale e intensificata a partire dalla fine degli anni Settanta.

La legge certifica l’uso del francese nello studio delle materie tecnico-scientifiche e matematiche, sinora insegnate esclusivamente in lingua araba.

E’ troppo presto per valutare se tale legge è un passo per indebolire la lingua araba nel sistema educativo marocchino e, per converso, favorire uno sviluppo degli elementi francofoni negli apparati statali, oppure è semplicemente un ulteriore passo della politica del Re: integrare e non emarginare.

Di certo, a oggi, considerate le reazioni dei partiti e delle varie associazioni di categoria, la legge non è stata accolta positivamente, anche se è di tutta evidenza lo storico rapporto politico ed economico tra il Marocco e la Francia.

E’ da non sottovalutare, inoltre, la forte influenza esercitata dalla corrente interna francofona nelle dinamiche interne marocchine, soprattutto in chiave antialgerina. Per la verità la rivalità con l’Algeria oggi è più economica che politica e spazia dalle relazioni con l’Unione Europea a quelle con la Lega Araba, sino ai legami con gli Stati Uniti d’America, la Cina e la Russia.

Il Monarca, pertanto, resta vigile e pronto a intervenire consapevole che il suo Regno, che ha superato indenne la stagione delle rivolte popolari e delle spinte rivoluzionarie, potrebbe comunque impantanarsi di fronte a nuove situazioni di crisi, soprattutto di natura economica.

Di certo il Re può contare su due atout importanti: la legittimità dinastica e il secolare radicamento della monarchia che è riuscita a trasformarsi nell’elemento identificativo dell’unità nazionale, portatrice di un conservatorismo “positivo” accettato dalla popolazione e che ogni anno si rinnova nel corso della Tajdid al-baie, la festa del Trono.

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