Libano: il governo Hariri, viatico per una maggiore stabilità e ripresa economica?

Libano: il governo Hariri, viatico per una maggiore stabilità e ripresa economica?

Beirut centro: chiesa e moschea (ph©firuzeh)

Beirut centro: chiesa e moschea (ph©firuzeh)

Nonostante il previsto periodo di pausa, OA pubblica questo articolo sul Libano, territorio sempre molto interessante: la sua stabilità,  politica e economica, influenza il Mediterraneo e ha ripercussioni anche sull’economia italiana. La situazione attuale. Un ringraziamento all’Autore per questa sintesi puntuale.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

L’ingarbugliata situazione politica, cui fanno da contraltare il problema dei rifugiati siriani e le tensioni nei Paesi limitrofi, si stanno negativamente ripercuotendo sulla vita istituzionale e socio-economica del Libano.

Considerato ciò che sta avvenendo nella vicina Siria, in Iraq, in Libia e nello Yemen, la situazione in Libano, pur non essendo paragonabile, sta suscitando preoccupazione a  livello internazionale.

Il problema dei migranti è pressante, con quasi due milioni di profughi siriani, palestinesi e iracheni inseriti in un piccolo tessuto sociale locale, come quello libanese, che non supera i sei milioni d’abitanti e che, giocoforza, crea tutta una serie di tensioni.

C’è un problema occupazionale, nel senso proprio di “occupazione”, da parte dei migranti, della gran parte dei lavori disponibili, spesso non in regola, a danno dei lavoratori autoctoni.

C’è un problema scolastico, con gli alunni siriani che sono numericamente maggiori di quelli libanesi.

C’è un problema nelle prigioni, con il 30% dei detenuti siriani e c’è anche il rischio che, alla lunga, possa cambiare l’equilibrio numerico tra cristiani e musulmani e minare l’uguaglianza riconosciuta dalla Carta Costituzionale.

Il Paese dei cedri, prendendo a prestito il Manzoni, continua a essere “… un vaso di coccio in mezzo a tanti vasi di ferro…”, diviso in due campi speculari, uno a favore dell’Iran e l’altro dell’Arabia Saudita.

Settori d’influenza che rispecchiano la ripartizione dei musulmani libanesi, con la parte sunnita preoccupata che un Libano a guida sciita, con l’appoggio iraniano, possa trasformarsi in un tassello della mezzaluna sciita nel Levante e in Mesopotamia.

Non si deve tralasciare poi l’incancrenita questione palestinese con all’origine la guerra tra Israele e la Palestina che, nel corso del tempo, s’è trasformata in uno scontro arabo-israeliano e che in Libano s’è cristallizzata nella lotta tra Israele e gli Hezbollah.

La crescente influenza di Hezbollah, all’ombra del quale si muove l’Iran, le frequenti violazioni territoriali da parte di Israele e il pericolo d’infiltrazione terroristica, completano un quadro non idilliaco di un Libano che potrebbe subire dei riverberi negativi sulla pacifica -sino ad ora- convivenza interconfessionale delle diciotto componenti religiose, con forti rischi per quella cristiana.

Componente cristiana non monolitica che, con i maroniti, gli ortodossi ed i drusi, non riesce a esprimere una vision comune.

Un pout pourridi comunità religiose che convivono in un equilibrio stabilito dopo l’indipendenza ottenuta nel 1943 con la stesura del Patto Nazionale, confermato poi con gli accordi di Taifdel 1989 che posero termine alla sanguinosa guerra civile durata tre lustri, dal 1975 al 1990.

Pertanto, in Parlamento, ogni comunità religiosa ha una propria quota di seggi con un Presidente della Repubblica che è sempre espressione della componente cristiano maronita, il Primo ministro è scelto tra i musulmani sunniti, mentre il Presidente del Parlamento è sciita.

Un Libano unito è però difficile mantenerlo poiché perdura la mentalità feudale del divide et impera, ed un Libano diviso fa il gioco di tutti coloro, siano essi musulmani o cristiani, che vogliono utilizzarlo per raggiungere degli obiettivi politici di parte.

E’ altresì difficile pensare a un Paese unito fintanto che gli elementi più deboli della società, economicamente e militarmente, continuano a essere etichettati come minoranza e non come cittadini a pieno titolo con pari dignità e diritti.

Nonostante ciò il Paese dei Cedri continua a mantenere un ruolo chiave nella stabilità del mediterraneo e del Medio Oriente.

Un ruolo che rivendica con fierezza e che sta cercando d’implementare anche, e soprattutto, in ambito economico, quale hubfinanziario e polo di servizi di riferimento di tutta la regione mediorientale.

Sta altresì cercando di diventare l’hub per la ricostruzione della Siria, anche in virtù degli storici legami commerciali tra i due paesi.

Il Libano è un Paese che, oltre ad essere complicato dal punto di vista politico, versa anche in una difficile situazione economica, tanto che non possiamo più considerarlo, come in passato, la Svizzera del Medio Oriente.

Il 2011 può essere definito lo spartiacque nella storia politica ed economica recente del Libano: lo scoppio della guerra in Siria ha creato numerosi problemi, così come la fuga di numerosi facoltosi imprenditori, investitori e uomini d’affari di tutta l’area del Golfo che avevano scelto il Libano quale base per il business.

Negli ultimi otto anni la situazione economica è andata peggiorando, con le entrate fiscali in progressiva contrazione, mentre la spesa pubblica è cresciuta, così come il deficite, soprattutto, il debito pubblico.

Un aiuto è arrivato dalle rimesse dei libanesi che risiedono all’estero, una diaspora che conta circa 10 milioni di persone emigrate nei quattro angoli del pianeta, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti.

L’economia libanese si basa su un sistema bancario di lunga tradizione, solido e competitivo, un mercato immobiliare in espansione e una domanda sostenuta sia dal mercato interno, sia da acquirenti esteri.

Un aiuto prezioso a sostegno delle casse libanesi lo sta fornendo il settore degli idrocarburi, a seguito dell’implementazione e lo sfruttamento autonomo dei giacimenti offshore recentemente scoperti. Un aiuto prezioso, ma non sufficiente per il fabbisogno del Libano.

Si ricorda che anche il nostro Paese è parte interessata nel settore degli idrocarburi libanese, considerando che Eni, anche se non in modo esclusivo ma inserito in un consorzio internazionale, ha ottenuto la concessione per lo sfruttamento di alcune zone.

Tra le priorità che le autorità locali devono affrontare, c’è la lotta a una corruzione dilagante, che s’è incancrenita in tutti i gangli della società e che impedisce un miglioramento strutturato della situazione.

Da affrontare con urgenza il problema della disoccupazione, soprattutto quella giovanile, considerando che una buona fetta della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Non risolverla può significare, alla lunga, innescare una bomba demografica a orologeria con conseguenze nefaste per la stabilità sociale.

C’è poi il problema dell’economia sommersa, che ogni anno sottrae svariati miliardi di dollari alle casse dello Stato.

Le urgenti e improcrastinabili riforme economiche fanno fatica a vedere la luce, ma rimangono una conditio sine qua nonper accedere ai finanziamenti internazionali.

Un Paese, dunque, alle prese con numerose cogenti problematiche politiche, sociali ed economiche, che devono trovare soluzione per evitare che la sua unicità nel panorama mediorientale, sino ad oggi sinonimo di stabilità, possa venire meno.

Speriamo che l’attuale governo guidato da Saad Hariri, figlio di Rafiq Haririucciso nel 2005 da un’autobomba di Hezbollah, possa essere il viatico per un duraturo periodo di stabilità e di positivi cambiamenti sociali ed economici per questo piccolo ma strategico Paese.

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