Sudan: un Paese in perenne tensione.

Sudan: un Paese in perenne tensione.

Omar-Al-Bashir,Presidente del Sudan

Omar-Al-Bashir,Presidente del Sudan

In Sudan si avvertono importanti tensioni e tutto quanto avviene in Africa ha poi importanti ripercussioni anche nel resto del globo, ma soprattutto in Europa. Una interessante analisi sulla odierna situazione in Sudan.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

In Sudan, bilad el Sudan (Paese degli uomini neri), da mesi si susseguono le proteste di piazza, tra impennate di rabbia e relativa calma, contro il regime di Omar al Bashir che da trent’anni lo governa con fermezza.

Conquistato il potere nel 1989 a seguito di un colpo di stato, il Rais non lo ha più lasciato, nonostante molte pagine oscure, tra cui la condanna della Corte Penale Internazionale per genocidio nella guerra del Darfur.

Nonostante il ripetersi delle violenze che hanno causato alcune decine di vittime, il regime mantiene il controllo del territorio riuscendo, almeno sino ad ora, ad arginare un ulteriore deterioramento della situazione.

Per contro, si deve annotare una mutazione delle proteste, da sporadiche ad organizzate e strutturate. Basti pensare alla creazione di una sorta di sindacato, non ufficiale, composto da un ventaglio assortito di professionisti, dai dottori, farmacisti, ingegneri, avvocati ai professori universitari e giornalisti.

Così come, a differenza del passato, in cui le manifestazioni iniziavano nella capitale e poi si diffondevano nelle province, ora si registra il processo inverso. Per trovare una simile situazione di tensione bisogna tornare al 1985, al tempo in cui, a causa della decisione del governo d’aumentare il prezzo del pane, le proteste iniziate nella cittadina di Atbara si propagarono in tutto il Paese.

La crisi di questi mesi è il combinato disposto di vari fattori, soprattutto di natura economica, in particolare delle misure adottate nel 2017 che determinarono un brusco deprezzamento della sterlina sudanese con conseguente aumento dei prezzi dei prodotti, anche quelli di prima necessità.

Il punto più alto delle proteste si è registrato lo scorso 2018 nei giorni della Eid al-Adha, la festa del sacrificio che è celebrata ogni anno nel mese lunare di Dhu I Hiija, in cui ha luogo il pellegrinaggio verso la Mecca, la haij. Lunghe file di cittadini davanti alle banche ed ai negozi paralizzarono il Paese con un regime apparentemente insensibile che, invece di prendere urgenti provvedimenti a favore della popolazione, pensò bene di emendare la Carta Costituzionale per consentire al Presidente di prolungare il suo mandato.

La ciclica nomina di nuove compagini governative, che peraltro si susseguono con una certa frequenza, non ha portato, sino ad oggi, degli effetti tangibili sul controllo dei prezzi e sul deprezzamento della moneta.

Un effetto però c’è stato sul regime, che non si è sfaldato, al contrario sembra essersi compattato, così come l’esercito che non ha registrato significative defezioni. In aggiunta, per le strade e nelle piazze si sono visti molti civili in uniforme, una sorta di polizia del popolo, intenti a disperdere i manifestanti.

Una grossa mano al regime la sta dando anche un diffuso sentimento di paura che pervade tutti gli strati della società sudanese, soprattutto la classe media terrorizzata dal caos, dall’insicurezza, dal panico per un futuro senza al Bashir e dallo spettro di una situazione simile a quella in Libia, in Syria e nello Yemen.

In questo scenario, i paesi limitrofi e, più in generale, la Comunità internazionale sembrano essere indifferenti, o quanto meno non supportano apertamente il movimento popolare sudanese. D’altronde, soprattutto nella regione mediorientale per l’Arabia Saudita un Sudan stabile è importante per circoscrivere i problemi nello Yemen, mentre i paesi che sono stati investiti dal vento della Primavera araba, l’Egitto su tutti, guardano con preoccupazione qualsiasi movimento popolare che possa portare ad una rivoluzione (l’Algeria è un altro fronte aperto). Un regime che, in maniera diretta o indiretta, gode dell’appoggio della Turchia, del Qatar, dell’asse russo-iraniano, ma anche della Cina.

Le relazioni con la Turchia sono ottime e solide, il Qatar di certo non prende posizione perché riconoscente con un Paese che, nonostante le forti pressioni dell’Arabia Saudita, non ha aderito all’embargo, mentre sembra plausibile un appoggio della Russia e dell’Iran, soprattutto dopo la visita di al Bashir a Damasco nell’ambito di una normalizzazione delle relazioni con il regime di Bashar Hafiz al-Asad.

Ottime ed economicamente vantaggiose le relazioni con la Cina, nonostante l’isolamento imposto dagli Stati Uniti d’America. Relazioni in miglioramento anche con l’Amministrazione americana, soprattutto dopo il superamento dei forti contrasti riguardanti le accuse di supportare il terrorismo internazionale e della questione Sud Sudan a seguito della dichiarazione d’indipendenza nel 2011.

Unica voce preoccupata che si è fatta sentire è quella dell’Unione Europea per l’aumento della violenza, per la dichiarazione dello stato d’emergenza di un anno intero proclamato dal Presidente e per il contemporaneo aumento del potere dell’esercito, freno alla libertà della popolazione sudanese, come si è visto nelle recenti manifestazioni con l’arresto di giornalisti, oppositori e sostenitori dei diritti umani.

Si ricorda che, a seguito della separazione, il Sudan ha immediatamente registrato una secca perdita nelle entrate petrolifere e nella disponibilità strategica. Con fatica, dopo un lunghissimo lavoro diplomatico, si è arrivati alla definizione di un accordo con il Sud Sudan che prevede un pagamento in cambio dell’utilizzo degli oleodotti Petrodar dell’Alto Nilo e CNPOC. Di certo però l’accordo non ha appianato tutti i dissidi che, di tanto in tanto, tornano alla ribalta come quelli relativi alla definizione dei confini.

E’ di tutta evidenza che l’appianamento delle controversie è l’unica via per la stabilizzazione dell’area poiché ciò che non sembra essere ancora stato ben metabolizzato dai due paesi è che, nonostante la separazione e le più o meno legittime opposte rivendicazioni, il destino di un Paese è, e sarà, indissolubilmente legato a quello dell’altro.

Alla luce di quanto rappresentato, la Comunità Internazionale, seppur con diverse gradazioni e non direttamente, sembra ben tollerare il Regime di al Bashir. Dopo le recenti manifestazioni e tensioni non sono state prese a livello internazionale delle significative misure per circoscrivere, anche temporaneamente, il supporto economico. Comunque sia, il futuro del Paese dipenderà da quello che succederà al suo interno, più che da quello che faranno gli americani o i russi. Infatti, è utile ricordare che il precedente regime sudanese di Gaafar Nimeiry è colassato, nonostante il pieno appoggio degli Stati Uniti.

La questione che si ripropone spesso a queste latitudini è sempre la stessa: riuscirà al Bashir a salvaguardare il potere? Cosa faranno in futuro le Forze Armate? Continueranno ad essere leali oppure prenderanno posizione per la creazione di un governo di unità nazionale con la presenza di tutte le forze politiche? Sosteranno un periodo di transizione che possa portare il Paese a nuove elezioni, primo passo verso la trasformazione del Sudan da regime a democrazia? Troppo presto per rispondere a queste domande giacché non si percepisce alcun segnale che possano, a breve, far intravedere una mutazione nel senso auspicato.

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