Oman: l’Ibadismo quale metodo da esportare in Medio Oriente.

Oman: l’Ibadismo quale metodo da esportare in Medio Oriente.

A Muscate (©firuzeh)

A Mascate (©firuzeh)

Un interessante articolo sull’Oman, Paese ancora poco conosciuto. Avendo visitato l’Oman qualche anno fa e non solo come turista, concordo pianamente con quanto scritto da un esperto anche sulla figura del Sultano Qaboos, tanto da far dire: lunga vita al Sultano!

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Nonostante le turbolenze politiche e sociali che con diverse gradazioni continuano ad investire il Medio Oriente, l’Oman prosegue nella consolidata tradizione di essere quasi “dimenticato” dai media occidentali. Casualità o volontà?

Entrambe le cose e ciò perché l’Oman è un Paese avulso dai conflitti, guidato dal Sultano Qaboos bin Said el Said che da quando è sul trono (dal 1970 dopo aver estromesso il padre Taymur), mantiene un basso profilo politico ma strategicamente significativo sulla scena regionale e internazionale.

Qaboos è certamente un Sultano scaltro, non chiuso in un rigido dogmatismo religioso e cosciente della realtà che lo circonda. E’ pur sempre però un monarca assoluto che controlla tutto in un Paese in cui il concetto di democrazia partecipativa è molto labile.

Esiste un sistema parlamentare formato da un Consiglio di Stato e da un Consiglio consultivo, però con forti vincoli e limitazioni nella formulazione di nuove leggi. Comunque sia è un Sultano rispettato e “amato” dal suo popolo che, mediamente, vive senza grossi patemi d’animo, con buoni stipendi, sussidi e vari benefit sociali.

Ritornando dall’Oman, a differenza di altri paesi arabi, resta la sensazione di un Paese unicum nel variegato panorama mediorientale, una sorta d’isola felice, seppur simile agli altri paesi ricchi del Golfo. Un Paese ordinato e moderno, attento a mantenere le proprie tradizioni entro un rigido sistema tribale. Nella Capitale Mascate, così come in tutte le altre città, non ci sono grattacieli, tanto meno palazzi alti di più di tre piani, che stonerebbero con la tipica architettura delle abitazioni omanite di color bianco e ocra.

La popolazione è pacifica, tarata su dei ritmi di vita rilassati e gelosa delle proprie peculiarità che fortificano un’identità nazionale molto marcata. La maggior parte degli uomini, anche i giovani, indossa con fierezza ed eleganza l’abito tradizionale composto dalla Dishdasha, una tunica lunga sino alle caviglie di color bianco/latte con il Furakha, un fiocco di seta cucito lungo la linea del colletto e gli immancabili copricapo, quello informale, il Kummah e quello formale, il Mussar, un pezzo di stoffa finemente ricamato di vari colori e disegni, sistemato a turbante e portato nelle occasioni ufficiali e negli uffici governativi. Le donne, rispettate e ben integrate nella società, indossano l’hijab e l’Abbaya, una lunga tunica nera abbinata a scarpe e borse molto colorate, anche se non è raro incontrarle vestite all’occidentale.

Da alcuni anni il Sultanato sta cercando di liberarsi dalla dipendenza dal greggio, di trasformarsi da Rentier State a un Paese con un’economia post-petrolio sostenendo l’industria, il commercio, l’agricoltura, la pesca, il turismo e altro ancora. L’Oman è valutato con un livello di rischio molto basso dalle più importanti agenzie di rating ed è membro di una vasta rete di accordi internazionali e regionali volti a favorire il commercio e gli investimenti. Tutto ciò rende il Paese un’appetibile destinazione per il business internazionale, anche nella considerazione che sono in fase attuativa vari piani d’investimento.

Geograficamente inserito tra l’Arabia Saudita e l’Iran ed a cavallo tra il mondo sunnita e quello sciita, negli ultimi anni il Sultanato si è ritagliato il ruolo di “cerniera” tra l’Oriente e l’Occidente, una sorta di Svizzera del Medio Oriente. L’Oman è sì un Paese musulmano, ma non è classicamente catalogabile poiché non è sciita né sunnita, bensì Ibadita.

Gli Ibadiyyah, discendenti dai Kharigiti e fondati da Abd Allah ibn Ibad al Murriat Tamini, nell’ottavo secolo conquistarono l’Oman dove si stabilirono, salvo creare altre piccole comunità, tuttora esistenti, a Mzab in Algeria, a Gerba in Tunisia e a Gebel Nafusa in Libia. Gli Ibaditi rifuggono dalla mistica e pertanto non sono strutturati in confraternite religiose e si distinguono altresì per un certo rigorismo dogmatico. Per contro, si caratterizzano per un minor grado di fanatismo, se comparato a quello dei sunniti, e per un alto grado di tolleranza che enfatizza la regola “del giusto” e rifiuta la violenza come mezzo per gli scopi politici. Dimostrazione è l’Oman odierno, con una popolazione araba multietnica e mista, cui si aggiungono i nuovi immigrati provenienti principalmente dal Bangladesh, dal Pakistan, dalle Filippine e dall’India che trovano protezione e tolleranza in quanto minoranze sunnite, sciite, indù, sikh, cristiane, buddiste ecc…

Ciò in netto contrasto con la vicina realtà saudita di fede sunnita, in cui i tre milioni di musulmani sciiti e i quasi due milioni di cristiani non hanno moschee e chiese. Indicativo altresì il dato sui combattenti stranieri che agiscono in Siria, in Iraq ed in altre zone di conflitto. La maggior parte di costoro proviene dal Medio Oriente, dall’Africa settentrionale e dalle regioni dell’ex Unione Sovietica. Moltissimi i reclutati con provenienza tunisina e saudita, ma non si registra nessun omanita caduto nella rete dello jihadismo globale.

Mentre vari leader politici e religiosi di vari Stati arabi hanno a più riprese giocato la carta dell’odio settario per spingere i giovani a combattere, tale retorica (prevalentemente wahabita) non ha avuto alcuna attrazione tra gli omaniti. Perché? Di certo ha contributo l’adesione dell’Oman alla Convenzione internazionale per la soppressione del finanziamento del terrorismo e la partecipazione ad altre Task Force internazionali a difesa della pace ma, soprattutto, è da ricondurre al suo particolare humus sociale e al taglio della politica estera. Una politica estera che riverbera l’influenza moderata dei dettami Ibaditi ed esprime, nell’atteggiamento volto al compromesso, ciò che il Prof. Jeffrey A. Lefebre ha sintetizzato in “…un gradevole disaccordo con gli amici ed il pacifico compromesso con i nemici…”.

Un’appartenenza religiosa che ha favorito la creazione di un tessuto culturale idoneo per un’identificazione, a livello regionale e internazionale, di un Oman quale soggetto credibile come mediatore tra le potenze regionali in lotta tra loro. Una capacità di dialogo e di mediazione che ha assunto un preciso valore geopolitico in una regione da sempre costretta a fare i conti con la rivalità tra l’Arabia Saudita e l’Iran. Tale capacità è stata affinata nel corso dei secoli giacché il Sultanato, a differenza degli altri Stati del Golfo, ha una storia antica di scambi commerciali con il resto del mondo, risalente addirittura al periodo pre-islamico.

Tale plurisecolare interconnessione con il mondo non musulmano è unica in questa regione, considerando che l’Arabia Saudita si è aperta al mondo solo dopo la scoperta delle potenzialità petrolifere a partire dagli anni venti, mantenendo però delle rigide barriere, tuttora presenti anche se “addolcite”, volte a preservare e mantenere l’integrità della cultura wahabita.

La vocazione alla mediazione del Sultano è di lungo corso, basti ricordare gli avvenimenti di Camp David quando Sadat era isolato da tutto il mondo arabo per gli accordi con Israele, ma non dall’Oman, così come anni dopo, a parti invertite, quando Qaboos ricevette Rabin in visita ufficiale. Il Sultano è sempre riuscito a svincolarsi dal controllo da parte dei sunniti dell’Arabia Saudita e, nel contempo, è stato abile a intavolare ottimi rapporti prima con lo Shah e poi con gli Ayatollah, a dispetto della crescente minaccia d’intromissione iraniana negli affari interni del Sultanato.

Nonostante la tradizione pacifica del Sultanato nel tempo si sia consolidata, all’orizzonte si stagliano delle nubi per la mancanza di un erede designato alla successione di Qaboos. Si spera che l’incognita riguardi solo il nome del successore, non la continuità di una linea politica pragmatica e neutrale, altrimenti le nubi potrebbero divenire minacciose e foriere d’instabilità.

©www.osservatorioanalitico.com – Riproduzione riservata

Comments are closed.