Algeria: l’incognita della successione di Bouteflika ed il rischio jihadizzazione.

Algeria: l’incognita della successione di Bouteflika ed il rischio jihadizzazione.

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Poco si scrive sull’Algeria, territorio dove sembra che la ‘primavera araba’ (se primavera fu…) non abbia attecchito ma sono prossime le elezioni politiche per la successione del vecchio e malato Presidente al potere dal 1999. Segue un’analisi dettagliata dell’attuale situazione algerina.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

L’Algeria, il “regno dei berberi”, è un Paese di lunga e nobile tradizione che nel corso di quest’ultimo mezzo secolo di storia, dall’indipendenza ottenuta dalla Francia nel 1962 ad oggi, ha vissuto periodi molto turbolenti e drammatici, in particolare un decennio “nero” con il colpo di stato militare del 1992 ed una guerra civile protrattasi sino al 1999.

Il Paese è stato testimone del passaggio di consegne di molti presidenti, da Ben Bella, passando per Boumediene, Chadli, Ali Kafi, Zeroual, sino a Abdelaziz Bouteflica al potere dal 1999.

L’Algeria è un Paese “strano”, solo sfiorato dal vento della Primavera araba in cui sembra che si rincorra, senza mai raggiungerlo, il sogno di una maggiore libertà, di un più marcato rispetto dei diritti umani e di una diminuzione del potere dei militari che continuano a mantenere una forte influenza sul governo.

Un dato che rispecchia la disillusione, il disinteresse e la disaffezione dei quaranta milioni di algerini verso la politica è la bassa affluenza alle elezioni politiche del maggio 2017, ferma al 38%. Un Paese in cui le ferite della guerra civile degli anni novanta non si sono ancora del tutto rimarginate, spaccato tra ricchi e poveri, tra giovani e vecchi, tra coloro che vivono in città e quelli rimasti nelle campagne.

Il PresidenteBouteflika e l’apparato governativo, sino ad oggi, sono riusciti a condurre indenne la nave fuori dalle acque tempestose e a disinnescare le frequenti mobilitazioni di massa, sempre pericolose per qualsivoglia regime, adottando una politica espansiva e concentrando gli sforzi sui problemi occupazionali con l’aumento dei servizi sociali, degli ammortizzatori sociali e con la reintroduzione di un simil welfare stategià esistente negli anni Sessanta ai tempi di Ben Bella e successivamente smantellato.

L’economia algerina si basa essenzialmente sulle esportazioni oil&gas(rispettivamente primo e terzo produttore di tutto il continente africano) e pertanto, a causa del ribasso del prezzo del greggio, i proventi sono diminuiti rallentando la crescita del Pil e incidendo negativamente sugli investimenti e sui consumi.

In dettaglio, gli idrocarburi rappresentano il 95% delle esportazioni e circa il 60% delle entrate fiscali.

Il deterioramento del quadro economico in questi ultimi anni ha in parte compromesso l’attuazione degli ambiziosi piani economici che, in passato, si sono dimostrati un valido antidoto per placare le manifestazioni di piazza contro la disoccupazione, il carovita, la corruzione, la perdita del potere d’acquisto e la politica in generale.

A proposito di manifestazioni di piazza, lo scorso anno il Presidente Bouteflika per placare l’ondata di proteste da parte dei berberi – amazigh(uomini liberi), volte a ottenere un maggiore riconoscimento politico, sociale e culturale, ha istituito il capodanno berbero (fissato al 12 gennaio del loro particolare calendario che è giunto all’anno 2968, 950 anni avanti rispetto al gregoriano) quale festa nazionale.

Non si deve ignorare che i berberi (etimologicamente il nome deriva dalla parola al barbar per indicare le popolazioni non araba conquistate dagli arabi), hanno sempre mal sopportato qualsiasi forma di dominazione, che fosse quella araba o francese.

In aggiunta, il Presidente ha imposto al governo di utilizzare la lingua berbera (peraltro già riconosciuta come lingua nazionale con emendamento costituzionale del 2016 e insegnata nella maggior parte delle 48 province in cui è suddiviso il territorio algerino) e di creare un’accademia per la sua diffusione.

A ciò si aggiunge la costituzione dell’Alto Governatorato berbero, la creazione di un festival cinematografico ad hoc, di un teatro berbero e di un canale della televisione di stato in lingua tamazigh.

Oltre ai problemi economici e sociali, si devono sommare altre due questioni da monitorare nella loro evoluzione perché potrebbero essere foriere di forti preoccupazioni: la presenza e l’attività terroristica e gli effetti dell’inevitabile successione al Presidente Bouteflica.

La notizia della presenza di combattenti dello Stato Islamico in Libia e in Egitto è ormai consolidata, mentre desta una crescente preoccupazione la possibilità che anche in Algeria s’infoltiscano le file degli jihadisti.

Di fatto, entrare in Algeria non è per nulla complicato, considerata la vastità del territorio ed il numero della popolazione, quasi totalmente musulmana.

Si deve ricordare che l’Algeria è circondata da una ‘bella’ fila di paesi “caldi” con una presenza di jihadisticome la Libia, il Mali, la Tunisia ed il Niger.

Inoltre, a causa dei sanguinosi trascorsi della guerra civile e delle ferite non ancora del tutto rimarginate, è più che plausibile che in Algeria ci sia un forte radicamento dell’estremismo religioso.

Tra i fattori destabilizzanti vi è un possibile aumento dei migranti dai paesi africani verso l’Europa, che potrebbe trasformare l’Algeria in un nuovo crocevia dei flussi migratori.

Per il momento la situazione è sotto controllo, così come la direzione politica del Paese che è ancora guidato (solo formalmente?) da Bouteflika, da tempo malato e le cui condizioni di salute destano qualche preoccupazione, dopo l’attacco ischemico subito nel 2013.

La probabilità che le prossime elezioni presidenziali, programmate nella primavera del 2019, possano essere anticipate è alta, così com’è auspicabile che non ci sia un vacuumdi potere, foriero di tensioni.

La storia dell’Algeria insegna che, anche se è un Paese in cui la presenza del multipartitismo è attiva, il controllo del regime e dell’apparato militare è sempre presente.

L’Esercito è caratterizzato dal conservatorismo, immutabile dai tempi della lotta per l’indipendenza, che si autoalimenta nei gradi apicali legati alla nomenclatura politica e che è percepito dalla popolazione quale unica forza legittimata a intervenire in caso di necessità.

Forze Armate e apparati d’intelligencegestiti da elementi considerati una diretta emanazione del regime capaci, sino ad ora, di disinnescare le frequenti mobilitazioni di massa, sempre pericolose per qualsivoglia regime, a causa del rischio della trasformazione della protesta da sociale a politica.

I candidati per la successione non mancano e sono numerosi, tra cui il Primo Ministro Saaeddune El Othmani, uno stuolo di ex primi ministri, politici di vario rango, il diplomatico  Lakdar Brahimi e financo Said Bouteflika, fratello più giovane dell’attuale Presidente.

Data la sua posizione geografica e il suo passato recente, l’Algeria dunque è considerata un perno imprescindibile per la stabilità di tutta la regione mediorientale.

A tal riguardo, vanno riconosciuti gli sforzi compiuti e l’impegno profuso dall’Algeria nella lotta al terrorismo tout court.

La speranza è che l’Algeria non sia colpita da attacchi terroristici come quello nel Sinai egiziano del 24 novembre 2017 contro una Moschea sufi, che ha causato centinaia di morti e feriti.

Importanti per il futuro prossimo dell’Algeria saranno le evoluzioni delle relazioni diplomatiche con i paesi vicini, con gli Stati Uniti, con l’Europa e la Francia in particolare.

Certo, la storia non si può e non si deve dimenticare, ma riprendere un dialogo ed una collaborazione economica con il Paese colonizzatore è foriera di benefici per tutti: per la Francia, per l’Algeria e, soprattutto, per il popolo algerino.

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