LA COMUNITA’ UMANITARIA POST GOMA (RUANDA): dalla crisi dei Grandi Laghi alla crisi nel Mediterraneo.

LA COMUNITA’ UMANITARIA POST GOMA (RUANDA): dalla crisi dei Grandi Laghi alla crisi nel Mediterraneo.

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Vi sono notizie di comportamenti non corretti, al limite del Diritto Umanitario Internazionale, da parte di operatori di ONG, Agenzie internazionali e Organizzazioni internazionali. E’ bene allora ricordare quanto accadde in Ruanda nel 1996 cercando di non commettere gli stessi errori nella attuale crisi umanitaria che sconvolge il Mediterraneo e può mettere a rischio anche la stessa Unione Europea. Una interessante analisi comparativa.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

La prassi umanitaria come la conosciamo, quindi post Guerra Fredda, nasce con un trauma profondo: gli eventi di Goma (Ruanda) del 1994, nota anche come Crisi dei Grandi Laghi.

Il conflitto interetnico che esplose nei primi anni ’90 in Ruanda e nei paesi limitrofi tra le etnie nere Hutu e Tutsi, costituisce, infatti, una pietra miliare del Crisis Management(Gestione delle Crisi e delle Emergenze complesse) e della Humanitarian Assistance(Assistenza Umanitaria)

La Crisi dei Grandi Laghi ebbe come motore principale degli eventi le rappresaglie perpetrate dal Fronte Patriottico Ruandese (RPF)  ad inizio 1994 in Ruanda e condotte da nuclei armati di Etnia Tutsi, provenienti da oltre confine, a seguito della pulizia etnica iniziata dalle Autorità Hutu durante la Guerra Civile del Ruanda consumatasi nel triennio precedente (1990-1993), e terminate con gli  Accordi di Arusha,

Accordi che ebbero vita breve. Nei primi mesi del 1994 un’enorme massa di profughi Hutu in fuga dai massacri, proveniente dal Ruanda iniziò a riversarsi nei paesi circostanti. Fu subito chiaro alle autorità locali che si sarebbe dovuto gestire una emergenza umanitaria senza precedenti e la cui soluzione avrebbe dovuto vedere l’impegno di tutta la comunità internazionale.

Infatti, l’azione del RPF fu intensa, violente e cruenta e l’esodo di massa che ne conseguì fu uno dei primi chiari esempi di fenomeni migratori massivi utilizzati come strumento geopolitico e di guerra dell’epoca moderna. L’evacuazione decisadalle autorità Hutu fu mirata a interrompere l’azione militare del RPF che aveva basi estere, essendo primariamente un movimento militare di guerriglia, costituito da rifugiati esteri e ben appoggiato e foraggiato da governi stranieri.

Per questa ragione circa 500.000 ruandesi si misero in movimento nel solo aprile verso la Tanzania, eentro fine maggio altri 200.000 erano scampati in Burundi, Kigali-Rurale e Butare. Per capire l’intensità del flusso migratorio, nel solo giorno del 28 Aprile 1994, il ponte di Rusumo, che segnava all’epoca anche confine geografico, vide il passaggio di 250 mila persone in poche ore.

Il tentativo militare francese, determinato da interessi geopolitici in zona, di stabilire una zona – cuscinetto denominata “Zona Turchese” dal nome della Operation Turquesenel sudovest del Ruanda naufragò rapidamente, e la conseguente caduta della città di Gisenyi mise in moto altre 800.000 persone  in fuga verso i Paesi limitrofi.

Secondo le stime d UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per la Protezione dei Rifugiati, a fine agosto in 35 campi profughi in Burundi, Tanzania e Zaire, campi sorti in fretta ed in furia, senza le necessarie infrastrutture previste dagli standard dell’epoca, con evidenti problemi di sicurezza, di igiene ma soprattutto sorti troppo in fretta e con un eccessivo numero di persone dentro per essere gestiti adeguatamente.

I campi profughi dello Zaire erano quelli che presentavano più criticità, sia per la particolare conformazione vulcanica del territorio, con terreno molto duro einadatto alle opere di scavo di trincee, latrine, depositi e per picchettare le tende, sia perché, avendo molto in fretta raggiunto la quota di 850.000 persone ospitate,era difficile garantire un supporto vitale adeguato, una cornice di sicurezza agli operatori umanitari e la dignità umana anche in condizioni miserabili che presto furono definite “infernali” da numerosi osservatori internazionali.

In breve tempo la comunità internazionale rispose agli appelli dei delegati internazionali e delle Associazioni locali, e circa 200 sigle, tra Organizzazioni non Governative (ONG) e le principali Organizzazioni Internazionali confluirono nella zona per provvedere all’assistenza di emergenza della gran massa umana confluita nei campi, e che nel frattempo continuava a crescere di numero.

Tra problemi relazionali tra Organizzazioni diverse, la mancanza di un coordinamento unico e non ultima una scarsa preparazione all’emergenza di così vasta scala, il gran flusso di operatori, attrezzature e denaro dei donatori internazionali finì addirittura per peggiorare le condizioni di vita all’interno dei campi. In effetti, la mancanza di un sistema di rapporti strutturati con le autorità interne del campo, fortemente militarizzate –  tanto che lo stesso campo di Goma, con l’appoggio del presidente Zairese dell’epoca, Mobutu Sese Seko, ospitava il Comando delle Milizie Hutu in Esilio -, si dimostrò il principale ostacolo alle operazioni di soccorso. A molte Agenzie venne addirittura negato l’accesso ai campi od alla parte interna di essi.

L’assistenza umanitaria fu fortemente complicata non soltanto da condizioni oggettive, quali l’espansione troppo rapida e insostenibile dei campi stessi, le scarse condizioni igieniche, il terreno difficile, il numero elevatissimo di assistiti, mai registrato prima per un solo campo, ma soprattutto dal diffondersi incontrollato della violenza interna, stupri, saccheggi e omicidi. Le Autorità interne erano occupate a muovere guerra in territorio Ruandese e a volte anche Zaire,per controbattere l’RPF,  più che a garantire una vera e propria assistenza di supporto vitale e sanitaria alla propria comunità.

Questo portò alla militarizzazione completa dei campi a cura dell’esercito Ruandese sopravvissuto, il FAR, chepeggiorò le condizioni vitali del campo, poiché oltre alle illegalità e disumanità diffuse, si creò una vera e propria struttura piramidale di corruzione e di sistematica intercettazione degli aiuti umanitari e dei medicinali destinati alla popolazione, aggravato dalla presenza di gruppi paramilitari totalmente indipendenti e dediti al saccheggio, all’omicidio e allo stupro.

L’esperienza di Goma traumatizzò pesantemente la comunità umanitaria internazionale, dalle ONG alle grandi Organizzazioni Internazionali tanto che si arrivò alla comprensione di essere parte del problema e non della soluzione, ma soprattutto, nacque la consapevolezza che i grandi flussi migratori a seguito di eventi bellici o catastrofici, rappresentano uno strumento bellico.

Come ebbe modo di rilevare Joël Boutroue, un delegato dell’UNHCR che visitò i campi: … dalle discussioni con i capi dei rifugiati… si capisce che l’esilio viene considerato come un modo per proseguire la guerra con altri mezzi…

La discussione interna tra delegati, presidenti e referenti che ne conseguì vide la partecipazione di illustri accademici, da medici a consiglieri speciali, inviati internazionali e di tutta la comunità di soccorso partecipante, a mezzo di convegni, conferenze e studi e le operazioni di Goma divennero presto un “case study” fondamentale nella formazione di managers ed operatori del settore.

Dalla riflessione massiccia emersero due documenti, Joint Evaluation of Emergency Assistanceto Rwanda (JEEAR) e lo Sphere Handbook. Il primo individuò le criticità su base scientifica e statistica, e non meramente politica, soprattutto in tema di qualità dell’assistenza prestata;  il secondo, fissa gli standard etici operati delle operazioni umanitarie internazionali. Entrambi sono considerati a tutt’oggi le pietre miliari delle operazioni di soccorso internazionali in caso di crisi umanitaria e conseguente rilascio massiccio di rifugiati e profughi, utilizzati sia dalle ONG sia dalle Organizzazioni Internazionali.

Anche la comunità militare internazionale iniziò un periodo di lunga riflessione e rilettura delle dottrine sia per i fatti somali immediatamente precedenti, dove il Signore della Guerra Amin Aidid usò la fame del suo popolo come arma, intercettando e centellinando gli aiuti umanitari sia proprio per i fatti di Goma, quando l’esercito USA si ritrovò “obtorto collo” invischiato nelle dispute diplomatiche successive con i paesi ospitanti, per aver fornito supporto logistico ed aereo; il solo intervento autorevole del Segretario Generale dell’Onu Boutros Ghali mise argine.

Da questa riflessione iniziò la piena comprensione del ruolo dei militari nelle emergenze complesse, che doveva essere meglio strutturato e regolamentato, contribuendo, assieme a altre esperienze alla nascita delle dottrine di CIMIC – Civil Military Cooperation, ad oggi uno dei principali strumenti nelle Crisis Response Operations.

LA CRISI MEDITERRANEA.

Gli eventi contemporanei mediterranei, la crisi migratoria che ha investito l’Unione Europea spinge a riflettere nuovamente sulla necessità di rivedere gli standard fissati in sede post Goma poiché le criticità indicate in entrambi i documenti sono quanto mai attuali.

Infatti, la cornice di diritto internazionale stabilisce un netto confine tra quanto è regolato internazionalmente da norme, accordi, trattati e consuetudine e quanto no. Il Diritto Internazionale Umanitario stabilisce le regole, anche per quanto riguarda i diritti dei civili nei conflitti internazionali tra nazioni sovrane e non,in caso di turbolenze e rivolte interne o guerre civili, o in presenza di stati collassati; gli eventi di Goma e la loro successiva analisi hanno portato alla nascita di un diritto di prassi, consuetudinario, non a caso però definito humanitarian standardsche deve e può essere applicato, ma non può essere coattivamente imposto.

Si pensi ad esempio al così detto “principio di nonrespingimento”: se è diritto del profugo o del rifugiato, assoluto e tassativo e sancito da una apposita convenzione internazionale successiva a quelle di Ginevra del 1955, di non essere rimpatriato, esso è un “principio” e non un “diritto” per chi fugge da situazioni di crisi  e non da un conflitto internazionale, e nasce proprio dalla complessa situazione relativa ai rimpatri ed alle espulsioni decise dallo Zaire nel 1996 all’acuirsi della complessità della situazione a Goma.

Lo Sphere Handbooke le iniziative collegate portano ad esempio l’estensione di alcuni principi di base della Croce Rossa Internazionale (ICRC) a tutta la comunità umanitaria delle ONG, nello specifico i principi di Neutralità, di Imparzialità e Indipendenza, per garantire sia l’efficacia dei soccorsi sia la necessaria e minima protezione degli operatori sul campo, anche in caso di conflitto interno o di crisi complessa diversa dalle operazioni militari tra nazioni diverse. Fissa anche altri principi di base, quali la Professionalità dell’azione di soccorso, non importa se pagato oppure volontario, affinché l’operato di ciascuno degli operatori coinvolti nello svolgimento dell’azione umanitaria sia sempre considerato responsabile, anche se giudicato da figure professionali equivalenti fuori dal contesto specifico, e in accordo con gli standard di riferimento internazionale. Tra gli altri,grande rilievo ha l’utilizzo di Risorse Locali, quindi da ONG locali alla rete commerciale  del postoin modo da non creare danno all’economia delle zone investite dalla crisi.

L’attuale emergenza migratoria di provenienza africana hascosso le fondamenta dell’azione di miglioramento dell’intero comparto umanitario iniziata dopo gli eventi di Goma; si regista infatti un forte declino nel gradimento dell’operato delle ONG sia da parte di Governi sia delle popolazioni, ancor meno nella comunità militare e di soccorso organizzato.

In una analisi lucida si nota una continua violazione sia dei principi fissati nello stesso Sphere Handbook, con particolare riferimento a quelli di Neutralità ed Imparzialità, sia degli standard di assistenza umanitaria e di sicurezza delle operazioni, con continua ricerca invece dei vantaggi mediatici e del portar soccorso ad ogni costo.

E’ rilevante ricordare come tutti i fattori che hanno portato alla riflessione post – Goma da parte della comunità internazionale siano di nuovo presenti:

            –            Utilizzo ai fini geopolitici di flussi migratori.

            –     Flussi Migratori innaturali ma canalizzati tramite l’utilizzo di violenze, minacce, e difficoltà di accesso ai normali canali di trasporto.

            –            Elevato numero di vittime collaterali.

            –            Rischio sociosanitario elevato nella comunità in movimento e suo trasferimento alle comunità riceventi.

            –            Infiltrazione delle popolazioni in movimento da parte di unità militari / paramilitari se non addirittura criminali e terroriste.

            –            Effetti destabilizzanti sulla politica delle nazioni riceventi.

            –            Distrazione di fondi, aiuti, cibo e medicine a favore di milizie.

La sovrapposizione intervenuta tra operazioni di assistenza umanitaria con quelle di salvataggio a mare dei migranti, due campi ben distinti e regolamentati diversamente nel diritto internazionale, ha portato a invadere aree di esclusiva competenza nazionale, quali quella del SAR (Search andRescue) aeronavale e marittimo, dove Organizzazioni ed Associazioni terze, per prestare opera, devono assoggettarsi a normative tecniche e di sicurezza specifiche, ma soprattutto all’opera di coordinamento generale delle Nazioni interessate. Aspetto previsto anche per le operazioni di terra, ma diversamente regolate per le acque internazionali.

L’attenzione e le allocazioni di risorse e fondi da parte delle ONG alle operazioni di ricerca e soccorso acquatico, ha avuto come conseguenza negativa il distogliere il focus delle operazioni  di terra sul territorio libico, in realtà vero punto di ricezione dei corridoi di arrivo dei trafficanti di uomini e di partenza degli scafisti verso i paesi europei, in cui si riferiscono condizioni terribili di detenzione protratta da parte di milizie, distrazione di danaro ed aiuti e violazione dei diritti umani fondamentali.

Questi due fattori hanno determinato non pochi attriti con le Nazioni contribuenti alle operazioni di accoglienza, in primis l’Italia, sino a terminare un vero e proprio “braccio di ferro” tra organizzazioni e governi, in aperta violazione dei principi stabiliti proprio dai consensuse dalle buone prassi internazionali, di neutralità, di indipendenza e di professionalità stabiliti in sede di autoregolamentazione nello Sphere Handbook, manuale che ricordiamo essere di carattere pratico e non giuridico.

L’aumentare degli attriti in seno all’UE non soltanto in tema di ripartizione dei flussi migratori ma di gestione generale della crisi umanitaria in atto in Libia, ha portato, dopo una resistenza ad oltranza dei paesi del cosiddetto Blocco di Visegrad e post elezioni del 4 Marzo anche dell’Italia, pur se con toni e mezzi diversi, alla ‘caduta’ degli Accordi di Dublino nel Giugno 2018.

Il prezzo più grande che si dovrà pagare, qualora la comunità umanitaria internazionale non avvii una profonda riflessione similare a quella avuta “post Goma”  è probabilmente la perdita di una buona dose di credibilità ma addirittura la dissoluzione di Agenzie umanitarie sovranazionali per mancanza di finanziamento o addirittura per uscita dei paesi dalle convenzioni internazionali in materia.

Tra gli effetti gravi, cui invece abbiamo già assistito, vi è il’attrito continuo nei territori di crisi tra militari e attori umanitari e il largo impiego della propaganda e contropropaganda incentrata proprio sugli assetti umanitari nelle guerre ibride (di cui abbiamo già parlato su OA): basti osservare le vicende dei cosi detti Caschi Bianchi in Siria.

Un dialogo prima interno alla comunità delle Organizzazioni Internazionali e delle Organizzazioni Non Governativo e poi rivolto alla comunità internazionale e alla politica è oggi quanto mai necessario per non sprecare il patrimonio umanitario, fatto di leggi e consuetudini, attivismo e volontariato, aspirazioni e ideali, e non rendere gli oltre 200 anni di storia di convenzioni internazionali solo un mero strumento geopolitico a disposizione della politica internazionale e nazionale.

Si vedono di questa evoluzione proprio in questi giorni i primi gravi effetti, quali la fuoriuscita della Ungheria dai patti internazionali sulle migrazioni e l’apparire dei primi report interni in Inghilterra su violazioni di natura sessuale degli standard etici di molte organizzazioni di soccorso umanitario, per ricordarne solo alcuni.

La Crisi dei Grandi Laghi, dobbiamo infine ricordare, non solo ha prodotto lo Sphere Handbooke le buone prassi collegate, ma ha contribuito rapidamente allo scoppiare della conseguente guerra civile del Burundi e alla Prima Guerra del Congo…

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Rwanda Political Map

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