Un sintetico ripasso di storia in occasione della visita Windsor in Israele e Palestina
Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini
(a cura di A. Madia e MGPasqualini)
1.Quando nasce lo scontro con gli ebrei in Palestina?
Il problema nasce alla fine dell’800, quando un giornalista ebreo austriaco, Teodoro Herzl, afferma la necessità di costruire uno Stato per gli ebrei in Palestina, perché “solo nella terra degli avi promessa da Dio, gli Ebrei potranno sentirsi uguali a tutti gli altri popoli e non essere discriminati”, come avvenuto in Europa per secoli da parte delle popolazioni europee: da queste due idee nasce il Sionismo, che si prefigge di creare uno Stato fondato sulla religione e sulla razza, in una terra già abitata da altre popolazioni, in larga maggioranza non ebree. In Palestina, nel 1895, c’erano infatti 644.000 Arabi (92%) e 56,000 ebrei (8%). Nonostante ciò, uno degli slogan più noti del movimento sionista è stato “una terra senza popolo per un popolo senza terra”.
Con il Sionismo comincia una lenta immigrazione di ebrei in Palestina, inizialmente molto lenta perché solo una minima parte degli ebrei europei era disposta a lasciare gli Stati in cui abitavano da secoli e di cui si sentivano cittadini. Per la costruzione di un nuovo Stato, erano però indispensabili tre elementi fondamentali: il territorio, la popolazione e l’accordo con una potenza mondiale che permettesse la realizzazione di questo progetto. I fatti storici del ‘900 favorirono tutte queste condizioni.
2.Le radici dello Stato di Israele (1917 – 1948).
La grande occasione si presenta con il “mandato britannico”: la Gran Bretagna passa a controllare la Palestina dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano e nel 1917 con la “Dichiarazione Balfour” approva e aiuta il progetto sionista. L’Inghilterra era interessata a creare, in quelle terre abitate in maggioranza da arabi, una colonia di coloni ebrei filo-britannici, che le agevolasse il controllo sul Canale di Suez, molto strategico per i suoi traffici. Gli inglesi avevano però già promesso nel 1917 la Palestina agli arabi, per l’aiuto prestato nella lotta contro l’Impero Ottomano, ma si erano ben guardati da dire che l’anno precedente avevano firmato in segreto l’Accordo Sykes-Picot, per fare a pezzi il Medio Oriente e spartirselo, come poi hanno fatto.
A partire dagli anni ’30 il rapporto palestinesi-ebrei, sino ad allora pacifico, diventa conflittuale, a causa del massiccio arrivo di ebrei, dell’occupaizone di molte terre arabe e dell’intenzione dichiarata da parte ebraica di soffocare l’economia palestinese con discriminazione dei palestinesi, cui viene impedito di lavorare. Le tensioni sfociano nell’Intifada (1936-1939), la lotta della popolazione araba nel disperato tentativo di arrestare la spoliazione della propria terra, che sii realizza in uno sciopero generale di sei mesi, attentati scontri reati quotidiani tra palestinesi, immigrati ebrei europei e inglesi. La grande rivolta araba è repressa nel sangue da parte del governo inglese che manda in Palestina 20.000 soldati.
Nel 1939 l’Inghilterra per ridurre le tensioni nell’area e per assicurarsi le fonti petrolifere è costretto a far concessioni ai Paesi arabi per cui tenta di limitare l’immigrazione ebrea nell’area. Entrano allora in azione i gruppi paramilitari ebraici: gruppo Stern, Irgun e altri, con a capo i futuri dirigenti di stato israeliani: Begin e Shamir.
Mettono in atto azioni terroristiche dirette contro l’Inghilterra: l’attentato all’Hotel King David fa 91 morti, contro le Nazioni Unite viene ucciso il suo rappresentante a Gerusalemme, il conte Falk Bernardotte e contro i palestinesi: sono compiuti massacri della popolazione civile per indurla ad abbandonare case e terre, subito occupate da immigranti ebrei.
3.Nascita dello Stato di Israele, 1947 -1949
Nel 1947 l’Inghilterra rinuncia al mandato sulla Palestina.
Le Nazioni Unite, per porre fine alle tensioni nella zona, propongono come soluzione il “Piano di spartizione della Palestina” (Risoluzione 181) secondo cui si sarebbero dovuti formare due Stati indipendenti con:
il 56,5% del territorio agli Ebrei, che erano 500.000 mila, il 30% del totale;
il 42,5% ai Palestinesi, che erano più de doppio, 1.150.000, il 70%.
La città di Gerusalemme, dentro il territorio palestinese, sarebbe diventata zona internazionale controllata dalle Nazioni Unite. I due Stati sarebbero misti, ma mentre in Israele popolazione araba ed ebrea sarebbe stata quasi alla pari, nello Stato Palestinese gli Ebrei sarebbero stati in netta minoranza.
Il piano viene accettato dagli ebrei, ma non dai Palestinesi e dagli altri Stati arabi, che non accettano l’evidente squilibrio nella divisione delle terre a vantaggio degli ebrei, né di dover pagare – per conto degli europei – le tremende colpe dello sterminio attuato dal nazi-fascismo contro la popolazione ebraica.
All’alba del 9 aprile 1948 le truppe dell’organizzazione paramilitare terroristica Irgun, guidate da Begin (futuro capo dello Stato di Israele) circondano e distruggono il villaggio arabo di Dheir Yassin (a Ovest di Gerusalemme): vengono uccise 250 persone, colte di sorpresa, prevalentemente donne e bambini. Un’azione pianificata per diffondere il terrore tra le popolazioni palestinesi e spingerle alla fuga di massa. E’ l’inizio della massiccia diaspora palestinese, che prende il nome di NAKBA (catastrofe). Quelli che seguono saranno mesi di terrore. Quasi 200.000 palestinesi fuggono dai villaggi della Galilea e dalla fascia costiera attorno a Jaffa.
4.Prima guerra arabo-israeliana (1948 – 1949)
Il 5 maggio 1948 proclamano la costituzione dello stato di Israele. In seguito alla proclamazione unilaterale, da parte ebraica, dello Stato di Israele, una coalizione di Stati arabi delle regione (Egitto, Giordania, Siria, Iraq) muove guerra al nuovo Stato.
Durante la guerra l’esercito israeliano approfitta per aumentare le azioni militari contro la popolazione civile palestinese, i cui villaggi sono distrutti in modo da provocarne l’esodo di massa. La guerra si conclude con la vittoria di Israele, molto meglio armata degli Stati arabi, rifornita com’era dalle potenze occidentali.
La vittoria consente al nuovo Stato sionista:
di occupare molto più territorio di quello assegnato dalle Nazioni Unite. Israele si prende il 78% mentre ai palestinesi resta il 22% della Palestina: la Striscia di Gaza sotto il controllo dell’’Egitto, la Cisgiordania (West Bank) e Gerusalemme Est sotto il controllo della Giordania;
di espellere gran parte della popolazione araba dal territorio conquistato. Durante la guerra vengono espulsi 750.000 palestinesi da 450 villaggi sparsi nell’attuale Stato di Israele. Oggi questi villaggi non esistono più perché furono completamente rasi al suolo.
E’ allora che nasce il problema dei profughi palestinesi: molti arabi si rifugiano infatti nei campi profughi del Libano e in Giordania, mentre i 2000.000 rimasti all’interno dello stato d’Israele vengono espropriati e discriminati. L’11 dicembre 1948 l’ONU adotta la Risoluzione 194 che prevede il diritto al rientro dei profughi palestinesi in Palestina, oltre a un risarcimento per le perdite subite di terra e casa, prevedendo compensi per quelli che non desiderano tale diritto.
Dalla’ altra parte, i palestinesi che tentano di riconquistare il territorio perduto, di non andare via e di non farsi cacciare portano nel 1964 alla nascita dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) e del movimento di resistenza AL Fatah- Harakat al Tahir al Watani al Filistini-, guidato da Arafat.
5.La guerra dei sei giorni (5-11 giugno 1967)
Con una guerra-lampo di soli sei giorni, l’esercito israeliano sconfigge i male armati eserciti di Siria ed Egitto e conquista tutta la Palestina, sottraendo le Alture del Golan in Siria e il deserto del Sinai all’ Egitto; si annette, inoltre, la parte Est di Gerusalemme e sposta la sua capitale da Tel Aviv a Gerusalemme. Durante la guerra, Israele provoca pesanti distruzioni nei villaggi arabi, (molti rasi al suolo), ottenendo l’esodo di altri 200.000 palestinesi dai Territori Occupati.
Rispetto alle cause del conflitto, vi sono versioni discordanti. All’epoca l’esercito israeliano affermò di avere reagito a sospetti movimenti di truppe egiziane. Più tardi vari generali e storici israeliani hanno ammesso che si trattò di un attacco a sorpresa, preparato da molto tempo allo scopo di espandere ancora una volta i territori dello Stato ebraico.
Con la Risoluzione 242 le Nazioni Unite dichiarano che Israele deve ritirarsi dal territorio sottratto ai Palestinesi. Israele però non si ritira e stabilisce un’occupazione militare stabile su tutta la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, che da allora prendono il nome di “Territori Occupati”. Si verifica così un nuovo esodo di palestinesi che vanno a ingrossare la massa di profughi del conflitto del 1948.
Nasce allora la strategia di occupazione israeliana attraverso gli insediamenti di coloni ebrei nei territori occupati, intorno a Gerusalemme Est e lungo il fiume Giordano. Una strategia attuata da tutti i governi israeliani che si sono succeduti da allora fino a oggi e che viola la Risoluzione 242 dell’ONU. Una tattica volta ad appropriarsi di più territorio possibile con all’interno meno palestinesi possibile e che costituisce uno degli ostacoli maggiori alla via del negoziato.
L’OLP riunisce tutti i gruppi della Resistenza con Arafat, ma dal 2004, con la morte di Arafat, l’OLP manca di un adeguato leader
6.Dopo il 1967: Resistenza palestinese e Accordi di Pace.
Dopo il 1974 si verifica una svolta diplomatica importante: Arafat è invitato all’ONU come rappresentante del popolo palestinese; il Consiglio Nazionale Palestinese di fatto considera ormai lo Stato d’Israele una fatto storico e chiede di costruire un proprio Stato indipendente a fianco di quello israeliano, nei Territori Occupati (Gaza e Cisgiordania, ossia il 22% della Palestina storica).
Il 6 giugno 1982 Israele invade il Libano per eliminare la resistenza palestinese e i suoi leader rifugiati in quel Paese (dove si trovano molti dei campi profughi palestinesi). Ad agosto l’OLP accetta il sessate il fuoco e lascia Beirut in cambio dell’incolumità per la popolazione palestinese. Al contrario, proseguono i bombardamenti sugli insediamenti palestinesi.
Il 16 settembre, miliziani falangisti libanesi alleati di Israele, penetrano nei campo di Sabra e Shatila e per 40 ore compiono massacri e violenze con 3.000 fra morti, feriti e scomparsi. Tutto avviene sotto la supervisione israeliana (e del futuro capo di Stato Sharon): i campi sono illuminati a giorno e vengono bloccate tutte le vie di accesso, per impedire sia di scappare sia di entrare e vedere che cosa sta avvenendo. In Libano gli israeliani saccheggiano anche il Centro di ricerche palestinesi distruggendo 25.000 volumi e manoscritti, al fine di annientare non solo l’OLP, ma anche qualsiasi segno d’identità e della storia del popolo palestinese.
I crimini e le responsabilità israeliane in Libano saranno riconosciute da una commissione del parlamento israeliano nel 1983, ma i responsabili manterranno i loro posti di potere.
Tra il 1987 e il 1992 si sviluppa la Prima Intifada (in realtà la seconda, essendo la prima del 1936 -1939, v. sopra) nei Territori Occupati , dopo 20 anni di occupazione, che ha prodotto 139 insediamenti abitati dal 60.000 coloni. E’ una rivolta spontanea, non armata, di massa della popolazione, con manifestazioni, scioperi, disobbedienza civile, chiusura di negozi, boicottaggio dei prodotti israeliani-. Segue una repressione spietata con coprifuoco, migliaia di arresti, uccisioni (2.000 morti, 100.000 feriti), demolizioni, sradicamento di alberi..
Nel 1993 si stabiliscono gli Accordi di Pace di Oslo tra Arafat, Peres e Rabin.
Il processo di pace, voluto dagli USA per stabilizzare il Medio Oriente (strategico per il petrolio) divideva i Territori Occupati (Cisgiordania e Gaza) in tre zone. Nel primi mesi tutte le città sarebbero state liberate (zona A), mentre nell’arco di 6 anni quasi tutto il territorio rimanente (zone B e C) sarebbe poi passato gradualmente ai palestinesi. L’obiettivo era di creare un clima di fiducia tra i due popoli per poi risolvere i problemi più spinosi: Territori Occupati, insediamenti abusivi dei coloni e status di Gerusalemme.
In realtà, il processo di pace funziona solo i primi mesi: sono liberate città come Gerico e Gaza, Arafat può tornare in Palestina dopo 25 anni di esilio. Dopodiché il processo si interrompe, anche per l’assassinio di Rabin, nel 1995, da parte di un estremista ebreo.
Con il tracollo del processo di pace, le zone palestinesi autonome liberate, separate fra loro da strade e insediamenti israeliani, si trovano in un situazione economica disastrosa, con livelli alti di disoccupazione, il dilagare della corruzione e la crescita abnorme dell’apparato burocratico. Intanto gli insediamenti ebraici continuano a crescere: nel 2000 si arriva a 170 colonie con 200.000 coloni.
Nel 2000 si aprono i negoziati di Campo David: voluti dal presidente degli Stati Uniti Clinton, alla fine del suo mandato, sono un fallimento. I palestinesi non accettano un “piano di pace” che li obbligherebbe ad accettare condizioni inaccettabili, tutte a favore di Israele: divisione della Cisgiordania in tre regioni non collegate fra di loro (per far sì che i nuovi insediamenti rientrino in Israele), cioè uno Stato vecchio senza continuità territoriale; esclusione dalla città vecchia di Gerusalemme, con sovranità palestinese circoscritta alla Spianata delle moschee, collegata con un tunnel sotterraneo al territorio arabo; rinuncia al ritorno dei profughi.
7.Dopo il 2000
Nel settembre 2000, la provocazione di Sharon (capo del Likud, il partito della destra israeliana) che si reca sulla Spianata delle Moschee con centinaia di poliziotti fa esplodere la Seconda Intifada (in realtà terza) che si estende oltre i Territori Occupati, anche nelle regioni arabe d’Israele come la Galilea. Questa rivolta è segnata da un livello di conflitto molto più alto della precedente, con scontri molto violenti tra palestinesi male armati e esercito israeliano con la rioccupazione militare di tutte le città palestinesi. In questo contesto sempre più feroce, di frustrazione e disperazione, si afferma la nuova strategia di Hamas (“Movimento di Resistenza Islamica”:Harakat al Muqwama al Islamyya),nato a Gaza nel 1988 e di alcuni gruppi armati palestinesi di ricorrere ad attentati suicidi contro i civili israeliani.
Sharon vince le elezioni nel 2001 e avvia la costruzione del muro: una barriera di cemento armato alta 8 metri, con filo spinato e torrette di controllo con cecchini e telecamere; più una miriade di check – point che limitano al massimo la mobilità dei palestinesi. Il muro, che alla fine sarà di 750 km viene costruito all’interno dei Territori Occupati, con ulteriore sottrazione di terre e massicce distruzione di case e terre coltivate. La sua presenza, giustificata da Israele per “motivi di sicurezza”, frammenta ancor di più le zone abitate dai palestinesi e rende la vita di milioni di persone un inferno, costringendole a vivere in prigioni a cielo aperto e impedendogli di lavorare, curarsi e vivere umanamente. L’edificazione del Muro è stata condannata dalla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia nel 2004 come contraria al diritto internazionale.
Nel 2004 muore Arafat e viene eletto Abu Mazen, vicino al movimento Fatah, mentre in Palestina continuano le azioni di resistenza palestinese e le durissime ritorsioni israeliane contro i civili palestinesi. Nel 2005, Sharon fa sgomberare la Striscia di Gaza, in maniera unilaterale.
Nel 2006, durante la pesante guerra di Israele il Libano, che provoca migliaia di vittime civili tra la popolazione libanese e 800.000 profughi (con le infrastrutture del Paese in gran parte distrutte), Israele sferra un duro attacco anche nei Territori Occupati con decine di vittime fra i palestinesi.
Nel 2006 Hamas vince le elezioni legislative con una larga maggioranza. Tale vittoria, pur riconosciuta regolare da organismi internazionali, non è accettata da Israele, USA ed Europa, perché giudicano Hamas un’organizzazione di natura “terroristica”. Israele arresta o uccide molti dei leader di Hamas e imprigiona molti dei suoi parlamentari, impedendo al Parlamento palestinese di riunirsi. È imposto un duro embargo economico internazionale contro i palestinesi, che aggrava ancora di più le loro condizioni di vita e favorisce quasi una guerra civile fra Hamas e Fatah, uscito sconfitto dalle elezioni. Uno scontro che porta Abu Mazen a sciogliere il governo legittimo guidato da Hamas e che si conclude nel 2007 con la divisione del territorio palestinese in due parti in mano a due fazioni, con Hamas che controlla la Striscia di Gaza , mentre Fatah la Cisgiordania. Uno scontro e tuttora (2018) non risolto.
Da allora la Striscia di Gaza, una minuscola fascia costiera lunga 40 km e larga 10 km dove vivano un milione e settecento mila di persone, è sottoposta a un blocco totale da parte di Israele da cielo, terra e mare da oltre 12 anni, con la riduzione in stato di miseria di oltre l’80% della popolazione (la metà disoccupata), che vive di soli aiuti umanitari e ha scarso accesso ad acqua potabile, alimenti, istruzione e cure mediche. Una popolazione costituita per metà da giovani sotto i 14 anni.
A metà del 2008 Hamas dichiara una tregua unilaterale attuando la cessazione del lancio di razzi (i rudimentali razzi Qassam: responsabili di 23 morti in 7 anni), con l’accordo di veder allentato il blocco di Gaza. Israele però intensifica il blocco (anche degli aiuti umanitari). Peggiorando ancora le condizioni già terribili dei palestinesi, e riprende da novembre le incursioni nella Striscia con “assassini mirati” che fanno 10 vittime, portando così Hamas a non rinnovare la tregua nel dicembre 2008.
Fino all’attuale invasione di Gaza, tra il 2000, 2008, 2012, 2018 con l’uccisione di 8.8630 (tra cui 298 donne e 185 bambini) oltre 32.720 feriti, di cui 3.530 con handicap permanenti, 135 malati poi deceduti per impossibilità di raggiungere gli ospedali, tra i bambini, di 70 sono stati registrati parti ai check point e 35 neonati morti a seguito di complicazioni igienico-sanitarie. Fra gli Israeliani sono indicati 1.050 morti.
L’esercito israeliano ha poi chiuso il 65% delle strade di Cisgiordania e Striscia di Gaza. I posti di blocco sono 630, di cui 93 con soldati e 537 con barriere di cemento e terra. La costruzione del Muro continua, così come quella degli insediamenti ebraici.
Per ulteriori info e dettagli v. www.infopal.it, e www.osservatorioiraq.it
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