La guerra e le guerre

La guerra e le guerre

Netanyahu

Netanyahu

Oggi è il 70° anniversario della fondazione dello Stato d’Israele. Oggi l’Ambasciata Usa trasloca da Tel Aviv a Gerusalemme. Oggi già sono morti, secondo le cronache, 41 palestinesi e e moltissimi feriti. La guerra, le guerre direi, per delega continuano sul terreno mediorientale e sulla pelle di siriani e palestinesi e ebrei. La pace si allontana anche per volere di Trump…nella sua lotta contro il taghut, l’Iran che vede come il diavolo se non peggio….

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Per la guerra siriana dei sette anni comincia la seconda fase. Come dimostrano gli ultimi raid missilistici su Aleppo e Hama per colpire postazioni iraniane e di Damasco, sarà, da un lato, il conflitto fatto da azioni militari di Israele e occidentali nei confronti dell’Iran in territorio siriano e, dall’altro, si ricorre a una sorta di diplomazia punitiva per provare a imporre nuove sanzioni a Teheran. Trump  il 12 maggio a disdetto ufficialmente l’accordo sul nucleare firmato da Teheran.

Come se l’intesa fosse stata violata dagli iraniani: in realtà sono gli Stati Uniti che non la rispettano imponendo sanzioni secondarie alle banche europee che concedono crediti all’Iran. Bloccano così anche i prestiti per le commesse delle aziende italiane (circa 25- 30 miliardi di dollari). Sarà,  però, interessante vedere se le battaglie commerciali sollevate da Washington saranno capaci di disgregare nel medio periodo l’Occidente, meglio di quanto abbia fatto qualunque ideologia nel passato, e riconsegnare l’Europa al suo ruolo distinto dall’America – salvo l’ancoraggio della NATO – come alla vigilia della Seconda Guerra mondiale.

La Siria è il banco di prova con la prospettiva, se Israele lo vorrà, di allargarlo al Libano degli Hezb’Allah, il partito di Dio sciita alleato della Repubblica islamica iraniana. E in questo caso anche i politici italiani dovranno prendere una decisione precisa perché nel Sud del Libano sono di stanza sulla BlueLinecon la missione ONU (UNIFIL) oltre mille soldati italiani su 4.500 peacekeepers, tutti al comando degli alpini della Julia. Nel 2006, quando si scatenò il conflitto Hezb’Allah – Israele, l’Italia fu al centro della mediazione internazionale per il cessate il fuoco. L’allora ministro degli esteri italiano, Massimo D’Alema, fece una storica passeggiata fra le macerie dei quartieri meridionali di Beirut. Ma come farà l’Italia questa volta se si sparano sopra al cielo  turbolento della BlueLine?

Per ora si segnala soprattutto la nascita di un asse sempre più solido tra gli USA e gli alleati degli americani, Francia e Gran Bretagna, con lo Stato ebraico, che non manca occasione. Come ben dimostrano le parole del premier Benjamin Netanyahu, che, in diretta TV globale ha accusato l’Iran: “Abbiamo le prove di un programma nucleare segreto” (v. infra) Il premier israeliano mostra le immagini che in parte aveva già fatto vedere al Congresso USA più di un anno fa. E, come ben dimostrano le minacce fatte in precedenza dal ministro della difesa, Avigdor Lieberman, il quale ha rimarcato che gli israeliani sono pronti in ogni momento  a scatenare raid e attacchi missilistici, subito avallati  del resto dal nuovo segretario di Stato USA Mike Pompeo. Il neo-segretario di Stato ha anche giustificato gli oltre 40 morti e 5000 feriti per le proteste (mai armate) di Gaza affermando che “Israele ha diritto a difendersi”, un refrain ben conosciuto che conferma il doppio standard  della politica USA nel Medio Oriente: Israel first, Israele viene prima di tutto.

Anche lo stesso Putin ha bisogno di appoggiarsi al mondo del business dello Stato ebraico. In poche parole c’è un asse atlantico-israeliano che detta la nuova agenda delle guerre mediorientali. La supervisione di questo secondo capitolo del conflitto siriano è affidato a Israele che, con il trasferimento dell’ambasciata USA a Gerusalemme e il riconoscimento come capitale dello Stato ebraico contro ogni risoluzione dell’ONU, è diventato ufficialmente il poliziotto americano della regione, come ai tempi dello Shah Reza Palhavi era l’Iran il guardiano del Golfo degli Stati Uniti.

Si tratta di un regolamento di conti che dura da quasi 40 anni, dall’anno della rivoluzione del 1979 e della presa degli ostaggi nell’ambasciata Usa di Teheran il 4 novembre del ‘79; l’era della destabilizzazione cominciò allora, seguita dalla guerra in Afghanistan contro l’URSS.

Il messaggio odierno è ben chiaro: si sdogana Kim Jong-un, che incontrerà Trump con un menù abilmente apparecchiato dal triangolo Pechino- Pyongyang-Seul, ma si deve ribaltare l’Iran – Paese del regime discutibile ma che difende strenuamente la propria sovranità – a favore della preminenza israeliana nelle regione.

La presentazione di Netanyahu.

Il premier israeliano accusa Teheran di un programma nucleare volto a ottenere cinque bombe stile Hiroshima (usato dagli USA).

Come su scritto, le accuse sono formulate sulla base di un’operazione di intelligence che avrebbe consegnato a Tel Aviv 55mila non meglio identificati documenti iraniani. Le dichiarazioni del premier sono giunte a poche ore da un raid israeliano contro basi siriane  in cui sarebbero morti almeno 26 soldati, tra cui anche iraniani. Due operazioni – il raid aereo e la presentazione del 30 aprile – quasi certamente sono stati organizzati insieme all’amministrazione Trump. I due condividono lo stesso obiettivo: scatenare una guerra contro l’Iran, un conflitto che si combatte già sul suolo siriano.

Più precisamente, questa volta il premier non ha presentato  – come fece qualche anno fa all’ONU – il disegno di una bomba con la miccia accesa.

Nel 2018, Netanyahu prosegue illustrando su un grande schermo quelle che ha descritto come copie di documenti originali, “l’Iran ha spostato i suoi archivi relativi allo sviluppo di armi atomiche in una località segreta”. Quindi, ha accusato l’Iran di puntare a “dotarsi” di almeno cinque ordigni nucleari analoghi a quelli utilizzati su Hiroshima. Infine, il premier dichiara di avere informato gli Stati Uniti e altri Paesi del contenuto dei file ritrovati dai suoi agenti segreti in Iran. Come ora si aspetta Israele, Trump non solo non certificherà più l’accordo del 2015 ma varerà subito pesanti sanzioni contro l’Iran e insisterà affinché anche gli alleati europei mettano sotto pressione Teheran  perché rinunci  al suo programma di sviluppo di missili balistici.

Fino al 30 aprile, l’Iran è stato silente, ma di fronte a nuove sanzioni internazionali, Teheran potrebbe rispondere con l’avvio di un programma di produzione atomiche militari e la guerra di cui si parla da anni diventerebbe realtà. Guerra fra Israele e Iran che è già in corso in Siria.

Le proporzioni di attacchi aerei israeliani contro obiettivi siriani e iraniani sono aumentate progressivamente nelle ultime settimane. Attacchi mirati a colpire con violenza. Quello del 29 aprile a Salhab (Hama) e Aleppo è stato il più grave in termine di vittime. E forse è il risultato di intese non solo tra Israele e USA ma anche con Parigi e Londra, alleate di Washington nei raid missilistici del 13 aprile scorso contro la Siria. E persino con Amman.

Un giornale siriano, Tishreen, vicino al governo, il 30 aprile scorso scrive che l’attacco è partito dalla Giordania con il lancio di missili da parte di USA e Gran Bretagna. Ipotesi comunque meno credibile rispetto a quella di un bombardamento aereo  israeliano che avrebbe distrutto missili terra-terra  (pare 200) che l’Iran intendeva posizionare in Siria. L’esplosione innescata dal raid è stata così violenta da provocare un terremoto di 2,6 gradi di magnitudo. I morti sarebbero stati ventisei, molti dei quali di nazionalità iraniana.

Comunque queste informazioni sono state diffuse da fonti dell’opposizione siriana, quindi non indipendenti e sono state smentite da Teheran come “prive di fondamento”. In merito, il ministro della difesa israeliano Lieberman dichiara: “Non intendiamo attaccare la Russia o interferire nelle questioni interne siriane, tuttavia se qualcuno crede di poter lanciare missili o attaccare Israele o anche la nostra aviazione, senza dubbio risponderemo con grande forza”.

Contestualmente, un giornalista israeliano specializzato in servizi segreti il 30 aprile scorso scriveva di non dare per imminente la guerra fra Israele e Iran, perché l’attività dei membri del governo non è cambiata e il capo della Stato, Rivlin l’1 maggio partirà regolarmente per l’Etiopia in visita ufficiale. Sul punto, però, ha più ragione il suo collega Amos Harel, editorialista di Ha’aretz, che invece sente la guerra vicina: Israele è determinato a sradicare la presenza militare iraniana dalla Siria ad ogni costo”.

D’altronde, è evidente: Netanyahu ha il via libera da Washington. L’attacco del 29 aprile scorso è arrivato in coincidenza con la visita a Gerusalemme del nuovo segretario di Stato, Mike Pompeo, e, poco prima, c’era stata una telefonata fra il premier e Trump. In quel momento Lieberman incontrava a Washington il segretario alla Difesa James Mattis. La guerra è dietro l’angolo perché, spiega Harel, “l’Iran si oppone al no di Israele alla sua presenza in Siria e respinge i mezzi che Israele sta impiegando. E in assenza  di un mediatore tra le parti, questo conflitto potrebbe ancora degenerare”.

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