IL RINNOVO DEL PARLAMENTO LIBANESE

IL RINNOVO DEL PARLAMENTO LIBANESE

Saad Hariri, il presidente Macron e il principe ereditario saudita

Saad Hariri, il presidente Macron e il principe ereditario saudita

Si sono tenute le elezioni politiche in Libano dopo circa dieci anni con una nuova legge elettorale che prevede una rappresentanza proporzionale e stanno procedendo al conteggio dei voti. L’equilibrio instabile del Paese dei Cedri è ‘stabile’ e ragione della sua stabilità. Una guerra tra Hezb’Allah e Israele potrebbe far crollare il Paese, soprattutto se in questo conflitto si aggiungesse by proxy quello con l’Iran…

 Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini                                               

1.Il Patto nazionale del 1943

E’ essenziale una premessa per comprendere la precedente e la presente Repubblica parlamentare del Libano (10.452 kmq e circa 5 milioni di persone).

Il Patto Nazionale del 1943 è ancora attuale.

Il Libano è, di fatto, una Repubblica “semipresidenziale” perché il Capo dello Stato condivide parte del potere esecutivo con il premier, partecipando alle sedute del Consiglio dei ministri. Il potere legislativo è affidato al Parlamento e i suoi 128 deputati sono eletti ogni cinque anni.

In realtà, la base concreta della struttura politica e sociale del Paese dei Cedri è il confessionalismo, in cui l’appartenenza a una fede  – sono ben 18 le comunità religiose riconosciute –  è il cardine della rappresentanza politica e del sistema giuridico. Anche gli incarichi amministrativi sono suddivisi tra le differenti confessioni religiose.

Il “Patto Nazionale” del 1943 stabilisce che le più alte cariche dello Stato siano assegnate alle tre principali comunità religiose: il Presidente della Repubblica è cristiano maronita, il premier è sunnita e il presidente del parlamento è sciita.

Viene scelto fra i maroniti anche il Capo delle Forze Armate.

Questa partizione non è mutata neanche oggi (sei maggio 2018) anche se le proporzioni della comunità si siano modificate nel tempo con la riduzione della percentuale dei cristiani sul totale della popolazione.

2.Il rinnovo del Parlamento

L’ultima volta che si è votato per il rinnovo del Parlamento libanese rimonta a quasi dieci anni addietro, racconta su un giornale internazionale Yusef Sanjar.

Nell’occasione, Sanjar era tornato da Riyad in Libano grazie a un biglietto aereo pagato dalla sua azienda, il colosso delle costruzioni Saudi Oger ConstructionCompany, di proprietà degli Hariri, la famiglia libanese sunnita più potente e stretta alleata dei sauditi. A Sidone, la sua città, Sanjar fece campagna a favore di Saad Hariri, che aveva preso il posto di suo padre Rafic (assassinato del 2005).

La Saudi Oger oggi è a pezzi, crollata sotto i colpi del mercato e dai cambiamenti avvenuti ai vertici della monarchia sunnita che ha scaricato Saad Hariri perché “troppo debole” verso gli avversari sciiti del movimento Hezb’Allah, alleato dell’Iran.

Yusef Sinjar ha perduto tutto e la sua professionalità  vale ben poco in un Paese dove la disoccupazione ufficiale è del 20% e quella reale almeno del 30% e dove gli stipendi sono molto più bassi rispetto a quanto percepiva in Arabia Saudita. Gli Hariri lo hanno abbandonato.

Ora, Sinjar spiega “a queste elezioni certo non voterò per Saad Hariri e il suo Partito Mustaqbal(Futuro) e come me faranno tanti altri abitanti di Sidone, dove sono nato”.

Le elezioni parlamentari che si svolgeranno in Libano a partire dal 6 del corrente mese non modificheranno troppo i rapporti di forza fra i due schieramenti avversi: il Fronte 8 Marzo, filo siriano guidato da Hezb’Allah, e il Fronte 14 marzo, filo occidentale, capeggiato da Mustaqbal.

Sanciranno comunque la decadenza della famiglia Hariri anche in politica oltre che in economia. Saad Hariri, premier uscente, con ogni probabilità, grazie al “Patto Nazionale” del 1943 che assegna la carica di primo ministro ai sunniti, riuscirà a farsi riconfermare a capo del governo. Ma il suo prestigio è al punto più basso anche per essere stato costretto all’inizio di novembre scorso, a dare le dimissioni, annunciate da Riyadh e sotto la pressione (in realtà era agli arresti domiciliari) dei regnanti sauditi, e a dichiarare guerra aperta a Hezb’Allah e Iran.

In Libano, è noto a tutti che Hariri è riuscito a tornare in Libano grazie all’intervento sui Saud del presidente francese Macron e non dimenticato che una volta a Beirut ha subito ritirato le dimissioni tra le battutine feroci di amici e avversari sulla sua credibilità. Mustaqbal, che ora ha 26 dei 128 seggi del Parlamento, uscirà fortemente ridimensionato dal voto e Hariri per tenere a bada gli oppositori interni al blocco sunnita – in particolare a quelli che fanno riferimento al generale Ashraf Rifi – sarà ancora più dipendente da un accordo proprio con i nemici di Hezb’Allah, che ha provato a combattere in ogni  modo senza successo per 13 anni.

Sarà, comunque un accordo a condizioni ben più sfavorevoli rispetto a quello che nel dicembre 2016, chiudendo una lunga paralisi istituzionale, gli riconsegnò la carica di primo ministro in cambio della nomina a capo dello Stato del cristiano Michel Aoun, alleato di Hezb’Allah.

Non sorprende che alla campagna elettorale sia passato in secondo piano l’appello che Hariri lanciò al rientro in Libano per la “dissociazione” dei libanesi dai conflitti nel resto della regione, rivolto a Hezb’Allah che combatte con migliaia di uomini a sostegno dell’esercito siriano. “Anche la questione del disarmo di Hezb’Allah chiesto per anni da Hariri e dai suoi alleati è stata affrontata marginalmente durante la campagna elettorale; di fatto è stata abbandonata”, scrive Joseph Bahout, del “Carnegie Middle East Center”.

  1. La situazione a fine elezioni

Hariri in declino spinge verso il basso anche i suoi alleati, i leader delle Forze Libanesi, Samir Geagea, e delle Falange, Sami Gemayel, entrambi di destra. Stabile, ma meno influente emergerà il Partito socialista progressista del leader druso, Walid Junblatt.

Il nuovo sistema di voto a rappresentanza proporzionale dovrebbe favorire Hezb’Allah (come ha fatto), e le altre formazioni del Fronte 8 marzo – Corrente dei patrioti liberi di Michel Aoun, la principale formazione armena Tashnaq, e l’altro partito sciita, Amal, guidato come sempre dal presidente del Parlamento Nebih Berri – nonostante le 15 circoscrizioni elettorali in cui è stato suddiviso il Libano siano abbastanza omogenee e, pertanto, non destinate a produrre alle urne sconvolgimenti radicali.

A dispetto delle previsioni fatte qualche mese fa, conterà relativamente poco il voto dei libanesi all’estero (è la prima volta che accade) sul totale dei 3,7 milioni di elettori.

Il movimento sciita e i suoi alleati perciò potrebbero riconquistare la maggioranza dei seggi del Parlamento per la prima volta dal 2005. Ma non cantano la vittoria in anticipo, anzi Hezb’Allah ha cercato di tenere la Siria fuori dalla sua campagna elettorale per puntare su temi generali di interessi di tutti i libanesi: disoccupazione, cronica corruzione della classe politica e degli amministratori locali, debito pubblico salito al 150% del Pil che schiaccia il Paese, pessima distribuzione di acqua ed elettricità e lotta alla povertà.

A suo favore, gioca l’immagine di nemico del jihadismo che ha combattuto ai confini tra Libano e Siria garantendosi le simpatie anche di una porzione di libanesi cristiani. Hezb’Allah e i suoi alleati dovrebbero assicurarsi 40-41 seggi nel nuovo Parlamento, grazie anche a voci che arriveranno da sunniti filo-siriani schierati contro Hariri.

Sullo sfondo delle elezioni ci sono 1,5 milioni di rifugiati siriani e mezzo milione circa di profughi palestinesi che, tranne rare eccezioni, i libanesi vorrebbero veder tornare a casa presto e sono vittime di discriminazioni e violenze. Senza dimenticare che sul Libano domina sempre lo spettro di un nuovo conflitto Israele-Hezb’Allah che, minaccia Tel Aviv, avrà esiti devastanti per tutto il Paese dei Cedri.

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