L’AGGRESSIONE AMERICANA CONTRO L’IRAN

L’AGGRESSIONE AMERICANA CONTRO L’IRAN

In una moschea un religioso a disposizione del pubblico per domande...(photo©firuzeh)

In una moschea un religioso a disposizione del pubblico per domande…(photo©firuzeh)

Il Mossad, efficientissimo Servizio segreto israeliano, ha sottratto ai Servizi di sicurezza dei Pasdaran documenti di primaria importanza sulla impresa nucleare iraniana. In effetti, passando vicino a Natanz, sede degli esperimenti nucleari, tra i Monti Zagros, si percepisce l’ampiezza di un ben fortificato campo militare e se ne deduce solo in parte l’importanza, se non per la sicurezza posta attorno anche con armamenti pesanti. La sfida USA/Israele versus Iran è in pieno svolgimento. La situazione sociale in Iran è difficile e lo scontento monta. Ci saranno soliti interventi ‘stranieri’ per ‘modificare’ ancora una volta la storia dell’Iran? Di seguito un’analisi rigorosa di un esperto del settore confermata in toto da chi ha avuto la possibilità di vedere con i suoi occhi  l’Iran recentemente.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

  1. Gli USA versus Iran

Sin dall’inizio del mandato presidenziale del gennaio scorso, Donald Trump apre l’offensiva della Casa Bianca contro l’Iran. Una strategia studiata dagli “adviser” e probabilmente dai governi israeliano e saudita, che puntano a una stretta sinergia contro il blocco sciita, per controbilanciare il ruolo incalzante – e molto più pericoloso – rivestito dall’universo sunnita.

Dopo le voci su un progetto della CIA per destabilizzare dall’interno la teocrazia persiana e lo scoppio delle “rivolte popolari” in realtà teleguidate dall’estero, la “foreign policy” trumpiana si arricchisce di nuovi ingredienti.

In sostanza, viene rimesso in discussione tutto l’impianto dell’accordo sul nucleare e non vengono trascurate provocazioni collaterali, come quella delle sanzioni imposte sull’Ayatollah Sadeq Amoli- Larijani, capo della Suprema magistratura religiosa. Ritenuto un “duro e puro”, nemico giurato dei riformisti, tutto legge coranica è applicata rigidamente e staffilate. Larijani fa parte del Guardian Council, un organismo che ha potere di veto su leggi e candidati al Parlamento e si è scontrato ripetutamente con il Presidente, Hassan Rouhani, di cui non divide l’approccio di più larghe vedute, a cominciare dalla libertà di stampa e proseguendo con le carcerazioni solo se necessarie.

In realtà, il vero obiettivo della Casa Bianca è quello di affossare l’accordo sul nucleare, faticosamente raggiunto dall’allora presidente Obama nel 2015 e ora rimesso in discussione un giorno sì e l’altro  pure.

Gli adviser di Trump gli hanno suggerito di trattare l’Iran come la Corea del Nord, non guardando solo al rischio rappresentato dalle atomiche, ma anche a quello, organico, dei vettori missilistici, indispensabili per recapitare a destinazioni le “testate nucleari” (che in realtà non ci sono).

Gli Ayatollahh sono su tutte le furie, dopo l’ennesimo colpo teatrale che Trump si è inventato. Non solo gli USA cercano di aizzare anche l’Europa contro l’Iran, ma hanno pure chiesto di stracciare alcune parti dell’Accordo, come quella relativa ai limiti temporali (2025) imposti per l’arricchimento dell’uranio.

2.La posizione europea

 Peraltro, a Teheran la rabbia anti-americana monta anche per un altro motivo. E cioè, le sanzioni economiche, cacciate dalla porta dopo l’agreement con Obama sul nucleare, stanno rientrando dalla finestra, prendendo a pretesto i diritti umani e la repressione contro le manifestazioni di piazza.

Comunque sia, il ministro degli esteri iraniano, Javad Zafir, ribadisce seccamente che il “solid deal” raggiunto con la precedente Amministrazione USA non si tocca neanche per un punto e virgola. E che se Trump si è messo in testa di emendarlo è completamente fuori strada. Perché l’Iran reagirà. Come? Per ora, Ayatollah e Pasdaran sono intenti ad aggiustare la mira. Intanto, annotano i raid israeliani che uccidono non pochi pasdaran – che in Siria combattono e annullano i jihadisti di Daesh; le interferenze su Siria, Libano e questione curda, fino all’estrema ratio: la chiusura dello Stretto di Hormuz.

L’Occidente è avvisato.

Gli Ayatollah fanno anche sapere che non intendono legare il patto sul nucleare alle eventuali modifiche del “Jcpcoa” (Joint Comprehensive Plan of Action). E questo perché l’Iran ha accettato di eliminare le sue riserve di uranio a medio arricchimento, di tagliare del 98% le riserve di uranio a basso arricchimento e di ridurre di due terzi le sue centrifughe a gas per tredici anni. Per i successivi quindici anni l’Iran potrà arricchire l’uranio solo al 3,67%. L’Iran si è anche impegnato a non costruire alcun nuovo reattore nucleare ad acqua pesante nello stesso arco di tempo.

L’incarico di monitorare il rispetto del patto spetta all’ ”Agenzia internazionale per l’energia atomica” (Aiea). Dal suo canto, dopo un’intesa raggiunta con il Congresso, il Presidente degli Stati Uniti deve autorizzare e rinnovare ogni quattro mesi la sospensione delle sanzioni. Trump però è stato chiaro: questo potrebbe essere l’ultima via libera che lui concede. Più che trattare con l’Iran, però, la Casa Bianca dovrà convincere il “5+1 (Cina, Francia, Regno Unito, Russia, Stati Uniti + Germania) fra i quali Cina e Russia, per modificare gli accordi. Se Trump pensa che i patti già siglati possano essere annullati e o rivisti si sbaglia.

3.La posizione francese sull’accordo del 2015

Ecco che dall’ 8 al 14 maggio arrivano novità. Il giovane presidente francese Macron firma con il principe saudita Mohammed bin Salman importanti contratti inerenti a: difesa e partnership nei settori High- tech, energia, trasporti, turismo e cultura. E’ noto che il principe non è in buoni rapporti con Teheran e che difficilmente la mediazione offerta dall’iracheno Muqtada al-Sadr, discendente di una dinastia di Ayatollah di origine iraniana, potrà sortire un qualche effetto.

Intanto, nei colloqui tra il principe e Macron passano sotto silenzio i bombardamenti israeliani sulle postazioni iraniane in Siria: la leadership dello Stato ebraico vorrebbe suscitare una qualche reazione dei Pasdaran iraniani, che offrirebbe il pretesto per colpire la città delle Repubblica islamica.

Tutto questo dimostra ancora una volta l’isolamento di Teheran; gli interessi degli iraniani, per certi versi convergenti con quelli dell’Europa come nel caso della lotta a DAESH (ad Dawa al-Islamiyya fi al Iraq wa l’Sham), finiscono nel dimenticatoio.

E lo stesso rischia di succedere con l’accordo nucleare del 2015, come su scritto.

In effetti, in attesa che il presidente americano rinnovi il waiverdelle sanzioni il 12 maggio, verrà meno la fiducia di manager e investitori che avrebbero voluto invece investire in Iran, anche perché resta complicato fare e ricevere bonifici.

L’economia iraniana è solida e la bilancia dei pagamenti può contare non solo sulla vendita di petrolio e gas, ma anche su 40 miliardi di esportazioni non energetiche, a fronte di importazioni di beni e servizi pari a 50 miliardi all’anno.

Il problema è portare a casa i proventi delle esportazioni perché la repubblica islamica resta esclusa dai circuiti bancari internazionali e i maggiori istituti di credito non vogliono averci a che fare perché temono le sanzioni del Tesoro americano. Quello iraniano è un sistema finanziario che deve fare da sé, senza carte di credito e con un quantitativo limitato di banconote in valuta straniera . E in questi giorni, ad avere portato alla svalutazione del rial, la valuta locale, sono questi fattori a cui si aggiungono le tensioni internazionali e interne: il presidente Rohani non ha soluzioni immediate alle difficoltà economiche che tre mesi fa avevano portato migliaia di iraniani a protestare in un’ottantina di località. Intanto, per portare rimedio alla svalutazione, il 19 aprile, il vice presidente Eshaq Jahangiri ha unificato il tasso di cambio a 42mila per tutti, privati e società precisando che chi offre un tasso diverso potrà essere accusato di contrabbando. Da parte sua, la Banca Centrale rende noto che i privati possono detenere in contanti al massimo l’equivalente di 10mila dollari in valuta straniera. Si sta anche valutando se prendere come riferimento l’euro anziché il dollaro. Ma non è con questo escamotage che Ayatollah e pasdaran riusciranno a sdoganare un Paese sempre più isolato. Resta da vedere se, in virtù di un interscambio commerciale in crescita nonostante in difficoltà, l’Europa deciderà di tendere una mano a Teheran.

4.Tempo di un buon accordo?

Non esiste un Piano B alternativo all’accordo sul nucleare, aveva dichiarato Emanuel Macron prima di imbarcarsi per Washington. E invece, dagli USA il presidente francese torna con in tasca il Piano B di Donald Trump per tenere gli USA dentro il “Jcpoa” (Joint Comprehensive Plan of Action), le intese internazionali con Teheran del 2015 mettendo sotto pressione Teheran anche imponendo nuove sanzioni economiche.

Il presidente francese dichiara che “l’accordo con l’Iran è una questione importante ma dobbiamo riferirci a una visione più ampia, che riguarda la sicurezza regionale. Quello che vogliamo fare è contenere l’Iran e la sua presenza”.

Alleati nell’attacco franco- anglosassone e USA alla Siria, millantando l’utilizzo di materiale chimico (non vero), ora Macron e Trump si scoprono alleati contro l’Iran.

Dal suo canto, mentre Trump è pronto a trattare con il leader nordcoreano Kim Jong-Un, considerato il pericolo numero uno per la sicurezza americana, non indietreggia di un centimetro quando si occupa dell’Iran, atteggiamento frutto delle continue pressioni dei suoi principali alleati in Medio Oriente, Israele e Arabia Saudita. E aggiunge” le intese del 2015 non si occupano dei missili balistici iraniani o delle attività di Teheran in Yemen e Siria”. Quindi, lancia la minaccia dell’uso della forza contro la Repubblica islamica: ”Se l’Iran farà ripartire il suo programma nucleare, avrà grossi problemi, più che in passato. Pagherà come poche nazioni hanno pagato”. Rientrato in Francia, cambia versione:

  • prima, del disaccordo con Trump sulla questione del cambiamento climatico in merito al quale dichiara : “Pensate al futuro.. qual è onestamente il senso della vita se viviamo distruggendo la Terra e sacrifichiamo l’avvenire dei nostri figli?”;
  • e poi, “la Francia non si ritirerà dal Jcpoa”… in merito si deve partire da 4 pilastri: confermare la base dell’accordo esistente, che potrà poi venire esteso nel tempo, oltre al 2025, per essere certi che l’Iran – una grande civiltà- non avrà arma nucleare né adesso né tra 10 anni, mai….Questa politica non deve portare alla guerra in Medio Oriente. Dobbiamo garantire la sovranità degli stati, compreso l’Iran”.

5.Il ”sistema Iran” di Mike Pompeo

Il tempo di giurare nelle mani del giudice della Corte Suprema USA, Samuel Alito, italo-americano come lui, e Mike Pompeo parte per la sua prima missione all’estero da Segretario di Stato. Dopo la rapida tappa al Vertice dei ministri degli esteri della NATO a Bruxelles, il neo-eletto Pompeo si dirige in Medio Oriente per incontri in Arabia saudita, Israele e Giordania, principali alleati insieme a Egitto, degli Stati Uniti nella regione.

Tema centrale dei colloqui è l’Iran. Pompeo affronta subito Riyadh, dove prima incontra il ministro degli esteri Abdel al-Jubeir e poi l’erede al trono Mohammed bin Salman, ormai parte di primissimo piano delle strategie USA in Medio Oriente. Il 29 aprile incontra gli Israeliani e il giorno successivo la Giordania.

Rimarrà deluso chi aveva creduto che il presidente francese Macron fosse riuscito nella sua recente visita alla Casa Bianca a convincere Trump a non uscire dal Jcpoa. Falco apertamente contrario al Jcpoa, come lo sono il nuovo consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton, e l’ambasciatrice alla Nazioni Unite, Nikki Haley, Pompeo il precedente giorno 27 a Bruxelles dichiara che Trump non ha preso alcuna decisione e il 12 maggio prossimo, come ha minacciato di fare, si ritirerà dall’accordo con l’Iran.

“Il presidente è stato chiaro – ha detto – senza modifiche sostanziali, senza superare carenze e difetti dell’accordo, è improbabile che rimanga in quella intesa dopo questo maggio”. Una linea che proprio Pompeo intende irrigidire ulteriormente, lui che qualche tempo fa, ha proclamato che 2.000 missioni di bombardamento aereo sono la soluzione giusta per il nucleare iraniano.

Sull’uscita di Trump il 12 maggio dal Jcpoa puntano Arabia Saudita e Israele che vogliono l’imposizione immediata di pesanti sanzioni economiche e politiche all’Iran e che sia tenuta in considerazione anche “l’opzione militare”.

Mantiene invece una posizione più defilata la Giordania, più aperta nei confronti con Teheran e che vede nella fine dell’accordo del 2015 una sfida alla sua stabilità, tenendo conto della sua posizione geografica e politica. Pompeo cercherà di rassicurare Riyadh e Tel Aviv, rimarcando la differenza fra la sua linea del pugno di ferro e quella più diplomatica del suo predecessore Rex Tillerson, licenziato in tronco da Trump. Insisterà sulla lotta anche a quello che sauditi e israeliani descrivono “l’espansionismo” dell’Iran nella regione, a maggior ragione ora che Trump non vede più nella Corea del Nord il nemico principale degli USA.

A Bruxelles, il segretario di Stato si è mostrato relativamente conciliante con la Turchia nonostante il dissenso espresso nei confronti dell’intenzione di Ankara di dotarsi del sistema di difesa anti-missile russo S-400. Pompeo ha lasciato capire al ministro degli esteri turco, Mevlut Cavusoglu, che gli Usa potrebbero rivedere il sostegno offerto sino a oggi alle milizie curde in Siria.

Milizie che la Turchia vuole cacciare, non solo da Afrin come ha già fatto, in nome di un “peloso” sostegno all’integrità territoriale della Siria. Sostegno che Cavusoglu ribadisce il 28 aprile scorso a Mosca durante il summit con il ministro russo Sergey Lavrov e l’iraniano Mohammad Javad Zarif. Il vertice ha anche preparato il nuovo incontro dei tre Paesi ad Astana per la ricerca di soluzione negoziata alla crisi siriana.

6.Perchè gli USA puntano la Repubblica iraniana

La spiegazione è, paradossalmente, semplice. Basta guardare un poco indietro.

Se tra la Repubblica islamica e gli USA non corre buon sangue è perché l’Ayatollah Khomeini, che gli occidentali avevano spostato da Najaf (Iraq) a Parigi nel 1978, non si era rivelato il leader sottomesso che Washington si aspettava.

E a novembre del 1979, quell’Ayatollah venerato da tutti gli iraniani che nel frattempo lo avevano eletto capo di Stato aveva avallato la presa degli ostaggi nell’ambasciata statunitense di Teheran, liberati dopo 444 giorni di prigionia.

Senza dimenticare le pressioni delle logge israeliane, che temono l’Iran e sono in eccellenti rapporti con la leadership statunitense (sin dai primi arrivi nella fine del 1600 nel Nord America con la nave dei Padri Pellegrini). Ne temono la grandezza del Paese, grande 5 volte e mezzo l’Italia, 84 milioni di abitanti, un mosaico di etnie e lingue, con risorse energetiche da far invidia e al resto della regione.

E occorre ora ricordare l’ ”Asse del Male” di George Bush, che indicò tre Paesi: l’Iraq di Saddam Hussein, la Corea del Nord  di Kim Jong –il (il padre dell’attuale leader Kim Jong-un) e l’Iran degli Ayatollah.

Era il gennaio 2002. A quel tempo, a Teheran era in carica il presidente riformatore Mohammad Khatami che aveva dato la propria disponibilità agli americani di aiutarli nel confronto con i Talebani in Afghanistan; e mentre altri arabi avevano esaltato per gli attentati dell’11 settembre 2001, gli iraniani avevano acceso candeline per il lutto ed espresso il loro cordoglio. Ma nonostante questo, il presidente americano aveva inserito l’Iran nell’ ”Asse del Male”.

Bush non si fermò a questo:

-interviene militarmente per mettere fuori gioco il dittatore iracheno Saddam Hussein, cioè quello che, dopo l’arrivo in Iran dell’Ayatollah Khomeini, scatenò su richiesta americana, che lo rifornì di armi anche chimiche una guerra che, iniziata nel 1980, ebbe termine, dopo una carneficina di oltre 1 milione di morti, fino a quando l’Ayatollah Khomeini “Bevve l’amaro calice” e ordinò alle sue forze armate di ritirarsi;

– ora, la dichiarazione di Panmunjom circa il trattato di pace fra le due Coree da firmare entro la fine dell’’anno, fa cedere l’ultima frontiera della “Guerra Fredda”, quella sul 38° parallelo che divide in due la penisola coreana.

Che cosa resta dell’Asse del Male” di George W. Bush? Soltanto la repubblica islamica. E’ quindi evidente che Trump si accanirà contro Ayatollah e pasdaran, i quali ultimi sono costantemente attaccati in Siria dagli israeliani con raid aerei e che hanno avuto perdite di diversi militari e finora non hanno fatto ritorsioni ma che risponderanno a tempo utile, come hanno già dichiarato a Israele.

Ecco che in questo quadro, anche su richieste continue di Israele e Arabia Saudita, Trump non manca di inviare le sue dichiarazioni: Teheran è dietro tutti i problemi del Medio Oriente alludendo alla Siria ma senza sapere che:

  • la guerra civile in Siria è stata scatenata sin dall’inizio dalla Turchia, che era uno dei Paesi in buoni rapporti con Damasco;
  • le prime dimostrazioni erano pacifiche con la richiesta di porre fine alle leggi di emergenza, liberare i prigionieri politici, distribuire gli introiti anche alle classi più povere;
  • in seguito, accanto alla Turchia si pone il gruppo dei cosiddetti “Amici della Siria” sostenuti in primis dalla Francia (ex colonizzatrice dopo la Prima Guerra Mondiale) e da non pochi Paesi arabi di matrice sunnita, in particolare l’Arabia Saudita;
  • contestualmente compaiono i jihadisti di Al Qaeda e numerosissime altre formazioni.

Pochi giorni addietro, in occasione della visita a Washington della Cancelliera Angela Merkel, un reporter tedesco chiede a Trump se gli Stati Uniti sarebbero disposti a “intervenire militarmente “ contro l’Iran. Il presidente Trump risponde: “Non parlo mai dei piani militari, ma l’Iran non arriverà mai a possedere l’atomica. E’ una certezza che può mettere in Banca”.

Il problema non è l’atomica: gli ispettori di ”Aiea” (Agenzia internazionale per l’energia atomica) hanno a più riprese dichiarato che le autorità iraniane rispettano l’accordo del luglio 2015, che impedisce loro di dotarsi della Bomba. Se la comunità internazionale non vuole che Teheran si doti dell’atomica, l’unico strumento è far rispettare l’accordo. Per farlo è però fondamentale che anche gli altri lo rispettino. In primis gli Stati Uniti, che non hanno eliminato le sanzioni come previsto. Se entro il 12 maggio Donald Trump non rinnoverà il waiver, l’accordo rischia di andare in mille pezzi. Da Teheran, i dirigenti della Repubblica islamica hanno parlato chiaro: l’accordo non si può rinegoziare. Se gli altri non lo rispettano, Teheran potrebbe tirarsene fuori e, al tempo stesso, abbandonare il “Trattato di Non Proliferazione” siglato dallo Scià negli anni ’70.

Insomma, non rimane che questo, resta da vedere come si muoveranno gli altri giocatori: in primis i carri armati rossi di Vladimir Putin, quelli gialli di Pechino e l’Europa multicolore che sembra non sapere da che parte stare.

Insomma ci sarebbe un’altra guerra a guida USA, nonostante dopo la seconda Guerra; tutte le altre guerre a guida USA sono state un disastro:

  • l’assalto al Vietnam con milioni di morti, torture e distruzioni, e terminato con il ritiro;
  • l’attacco all’Afghanistan, accusato di avere ospitato Osama bin Laden, ma pronto per ben 2 volte a consegnare bin Laden appena gli USA avessero trasmesso le prove nei confronti dell’accusato; guerra ancora in corso;
  • la guerra all’Iraq, con devastazioni ed esplosione di numerosissimi jihadisti, tuttora in corso;
  • l’attacco alla Siria, ancora in corso;
  • la devastazione dello Yemen, il Paese con il peggiore livello di morti con bambini e donne, malattie, profughi e azzeramento di scuole, ospedali, villaggi e patrimoni artistici

E’ questa l’”America first”, fatta da primatisti bianchi, connessioni con il Ku klux Klan? E’ questa l’associazione segreta costituita negli Stati Uniti a Pulaski (in Tenneessee) del 1866, dopo la guerra di secessione, i cui atti criminosi si registrano in America fino ai nostri giorni e che hanno salutato ufficialmente il mandato di Donald Trump. E’ ancora oggi, attivo: l’odio verso i neri e, successivamente, gli ebrei, gli europei del Sud (compresi gli italiani).

Il Ku Klux Klan, con la miriade delle sue cellule, diramazioni e associazioni consimili, innescò una sequela di violenza contro i neri e i nordisti fra il 1868 e il 1870 e fu sciolta ufficialmente nel 1869 con ulteriori leggi del 1870 e 1871.

La rinascita del Klan è nel 1915. Ma l’America non deve essere questa….

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