LA MARCIA DEL RITORNO NEI TERRITORI PALESTINESI. Occorre una tregua umanitaria

LA MARCIA DEL RITORNO NEI TERRITORI PALESTINESI. Occorre una tregua umanitaria

(Fonte: Ansa-Centimetri)

(Fonte: Ansa-Centimetri)

Occorre urgentemente una tregua umanitaria E’ un momento di grande scontro fra il Governo Israeliano e la popolazione di Gaza. Difficile prefigurarsi al momento una possibilità di accordo. I torti e le ragioni ormai incancrenite sono da tutte e due le parti anche perché la politica internazionale sembra disinteressarsi al momento del problema umanamente molto serio, troppo. 

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Il 13 aprile migliaia di palestinesi hanno partecipato a nuove manifestazioni al confine fra la Striscia di Gaza e Israele.

Attesi i precedenti che indicano in 32 i palestinesi uccisi dai cecchini israeliani protetti dalla striscia di separazione anche nei prossimi giorni si potrebbero avere  altre giornate di sangue.

A preoccupare la Striscia non sono solo i morti ma la situazione dei feriti: il ministero della sanità locale dichiara che negli ultimi due venerdì sono stati oltre 1.200 i palestinesi colpiti da proiettili veri e 1.500 per inalazione di gas o per colpi di munizioni rivestite da gomma. E’ un numero che il sistema sanitario di Gaza, già al collasso, non riesce a gestire perché sono finite le protesi per i feriti alle ossa e scarseggiano i medicinali salvavita per le persone con gravi patologie.

L’unica cosa positiva per i palestinesi è arrivata dall’Egitto: il valico di Rafah, l’unica porta di Gaza sul mondo arabo, sarà aperto per tre giorni per i casi definiti “umanitari”. Secondo la stampa israeliana, dietro alla decisione di al-Sisi, ci sarebbe un obiettivo più ampio: avviare colloqui con i palestinesi per allontanare dai confini con Israele le proteste della “Marcia del Ritorno”.

Nel frattempo, nel villaggio di Aqraba (Nord di Nablus) è stata data alle fiamme nella notte dello stesso giorno 13 una moschea. E’ chiaro che gli autori siano da rintracciare negli ambienti dell’estremismo ebraico: sulle mura esterne della Moschea, infatti, sono state scritte in ebraico “morte” e “prezzo da pagare”, espressione quest’ultima indicante le vendette che i coloni e gli estremisti di destra israeliana attuano in risposta  a decisioni “sgradite” prese dal governo Netanyahu nei Territori occupati o ad azioni violenti dei palestinesi.

2.La “performance” israeliana

Intanto, l’esercito israeliano invita i residenti di Gaza a non collaborare con Hamas. Avichai Adree, il capo dell’esercito della “divisione dei media” in arabo, scrive su Facebook:”Vi avvertiamo delle conseguenze che ci saranno se vi avvicinate o danneggiate la barriera di sicurezza. Non fatevi strumentalizzare da Hamas a compiere attacchi (in realtà mai finora eseguiti dai palestinesi), di cui voi pagherete il prezzo”.

Contestualmente, Israele alza in alcuni punti lungo il confine, all’interno di Gaza, un’altra barriera fatta di filo spinato per impedire ai palestinesi di arrivare sino alle linee di demarcazione.

Nel frattempo, nell’arco di poche ore, il numero dei palestinesi feriti sono altri 112, per colpi di proiettili e/o intossicati dal gas lacrimogeno, come riferisce Ashraf al Qidtra, portavoce del ministero della sanità a Gaza. Ma non è solo questo.

Il cecchino israeliano che lo scorso 22 dicembre ha sparato e ferito a una gamba un palestinese disarmato, suscitando la gioia dell’autore del video che ha ripreso l’accaduto, non sarà punito. Per l’esercito, infatti, il tiratore scelto ha agito secondo le regole d’ingaggio. Il portavoce militare ha detto che il palestinese colpito era sospettato di organizzare “una rivolta” e di avere tentato per due ore “di sabotare la recinzione di sicurezza”. Secondo la versione di Tel Aviv, il cecchino avrebbe sparato al gazawi(persone che risiedono nella Striscia di Gaza o combattono per Gaza), dopo che erano rimasti inascoltati “alcuni spari di avvertimento e gli ordini di allontanarsi”. Insomma, “ein ba’ya” (alcun problema): quel video, diventato virale in rete in questi giorni suscitando rabbia e indignazione non solo fra i palestinesi, secondo Tel Aviv non mostra nulla di sbagliato.

L’unico a essere punito, si parla solo di qualche misura disciplinare, sarà invece  chi ha filmato “senza autorizzazione” il video, rallegrandosi per il colpo messo a segno dal militare. Infatti, questi atteggiamenti “non corrispondono al grado di controllo dei soldati dell’IDF (esercito israeliano)”. Nessuno può permettersi di scalfire l’immagine “dell’esercito più morale al mondo” sostiene il portavoce militare senza alcun pudore.

3.Le regole di Israele

L’importante è che tutto sia avvenuto secondo le leggi stabilite da Tel Aviv. Poco importa che la vittima, come si vede nel filmato, non avesse con sé armi, né stesse rappresentando alcun pericolo per Israele: per Tel Aviv era “colpevole” di trovarsi in quella zona “vietata” a ridosso tra la striscia di Gaza  e Israele dove, durante le proteste della “Marcia del ritorno” del 30 marzo e quelle del “Venerdì delle ruote” del 6 aprile (quando i palestinesi avevano portato residui di ruote per bruciarle causando fumo), sono stati uccisi almeno 32 palestinesi dal fuoco dei cecchini israeliani.

Anzi il tiratore scelto che ha sparato non solo non va punito, ma merita anche di essere premiato. A sostenerlo è il ministro della difesa Lieberman il quale, sostenuto da alcuni altri colleghi di coalizione, dichiara il giorno 12, che il “militare merita una lode mentre chi lo ha ripreso la corte marziale”. Sembra in pratica quanto accaduto con il soldato Elor Azaria che, due anni fa a Hebron, uccise a sangue freddo un assalitore palestinese che, gravemente ferito, era steso a terra inerte. Al fianco di Azaria, che è stato condannato per “omicidio colposo” a soli 18 mesi (ridotti recentemente di sei mesi per buona condotta) erano scesi allora in campo gran parte dell’opinioni pubblica, dei media e del mondo politico israeliani. Azaria è diventato in breve tempo nell’immaginario collettivo israeliano un “eroe” che ha difeso la “patria dai terroristi”.

E se Israele “si difende”, a sbagliare e a commettere i reati sono solo i palestinesi. Il giorno 12, Lieberman è stato chiarissimo riguardo a quando ha detto che il giornalista gazawiYasser Mortaja, ucciso il 6 aprile da un cecchino vicino al confine tra Gaza e Israele, era un membro attivo dei terroristi di Hamas (il realtà, come è noto, non ha mai aderito ad alcun partito e tanto meno ai gruppi combattenti). Invece, la posizione di Lieberman è condivisa anche dall’esercito secondo cui  Mortaja usava il suo drone non per il suo lavoro (era un giornalista, invece, che si sarebbe trasferito, su richiesta, a Doha, dopo aver superato un concorso per essere assunto al Al Jazeera) ma per raccogliere informazioni di intelligence da girare poi al movimento islamico che controlla da 10 anni l’enclave assediata palestinese senza ricordare che è stata  bombardata il 2008, 2012, 2014 da Tel Aviv. Ed essendo un membro di Hamas (non lo è mai stato, come noto)  – Lieberman lo ha spiegato chiaramente domenica 8 c.m. alla radio militare – “non può essere innocente” perché tutti coloro che fanno parte o sostengono Hamas non lo sono. Con questa argomentazione, insieme alla giustificazione del rischio di infiltrazioni in territorio israeliano, Israele ha liquidato  velocemente le uccisioni e i ferimenti di queste ultime due settimane rispondendo alle critiche internazionali piovutegli contro: sono i palestinesi che entrano nella “no go zone” rappresentando una minaccia per lo Stato ebraico.

Di diverso avviso sono ovviamente i palestinesi. Il segretario generale del “PLO” (Palestian Liberation Organization”) Saeb Erekat, ha chiesto alla “CPI” (Corte Penale Internazionale) di aprire un’inchiesta immediata e ha invitato il Procuratore Generale del CPI, Fatou Bensouda, di “guardare il video che mostra l’esecuzione sul campo e l’uccisione premeditata” dei palestinesi. “Israele – ha aggiunto Erekat – nega ai palestinesi l’attributo di esseri umani esponendoli alle operazioni di cecchinaggio e agli omicidi mirati”.

Anche un altro video però sta facendo discutere. La famiglia Ahed Tamini, l’adolescente palestinese che è stata condannata a 8 mesi di prigione per avere dato qualche schiaffo e un calcio a un soldato israeliano, ha rilasciato lunedì 9 un filmato in cui si vedono alcuni momenti  di interrogatorio che ha avuto pochi giorni dopo il suo arresto avvenuto lo scorso dicembre. Il video – le autorità sono costrette a dare gli estratti dei filmati degli interrogati all’avvocato della difesa nei casi in cui sia coinvolto un minore – mostra le intimidazioni subite dalla ragazza ed è stato diffuso dai Tamini per dimostrare la veridicità delle accuse “per molestie sessuali” fatte la scorsa settimana dal loro avvocato  Gaby Lanjsky. Tamini è interrogata senza che siano presenti nella stanza il suo avvocato, né una guardia, né un ufficiale donna, la cui presenza è obbligatoria negli interrogatori  nel caso di imputati di sesso femminile. Nel filmato i due militari alzano la voce e provocano la giovane che dichiara di volere restare in silenzio. Dalle urla si passa alle minacce: “Noi prenderemo tutti se non collabori – dice il membro di Aman – E’ tutto nelle tue mani”. Ma Ahed non dice una parola di fronte a quelli che sono definiti “l’esercito più morale al mondo”.

4.Il terzo venerdì della Grande Marcia del Ritorno

La situazione è quella dei due venerdì precedenti, cioè due livelli comunicanti: il primo, più vicino alla linea di confine, in cui vengono bruciati i copertoni per coprirsi dalla mira dei cecchini, e il secondo, in spazi allestiti con le tende che richiamano i villaggi di provenienza, in cui qualche migliaia di persone- tra venditori di noccioline, frutta e falafel e tanti bambini – manifesta la sua pacifica determinazione a veder riconosciuti i loro diritti.

E’ stato anche possibile osservare il lavoro dei sanitari all’ospedale da campo della zona Nord, a poca distanza da due punti di concentramento della manifestazione. In un ampio spazio protetto da trincee e segnalato con la bandiera bianca della Mezzaluna Rossa palestinese è stato allestito un ospedale: una quarantina di medici e paramedici, tre o quattro ambulanze che, quando gas e proiettili si sono infittiti, hanno iniziato il loro carosello emergenziale portando anche tre feriti insieme.

In tutta la striscia, un certo numero di feriti si è avuto anche tra i soccorritori, nonostante il giubbetto di riconoscimento, vale a dire che i cecchini hanno sparato sulla Croce Rossa, che qui si chiama Mezzaluna. E’ contro ogni codice morale e anche militare sparare sulla Croce Rossa, ma qui c’è di fronte l’esercito israeliano che alla legalità internazionale non ha mai prestato troppa attenzione.

Il tema stabilito dagli organizzatori per la giornata del venerdì  era “la bandiera”. L’obiettivo creativo dei manifestanti era quello di dimostrare il disprezzo per l’assediante attraverso un’azione simbolica: bruciare dei fogli di carte su cui era stampata la bandiera israeliana e piantare ove possibile la bandiera palestinese. Anche un’altra azione simbolica era prevista e era quella per cui si temeva maggiormente il bagno di sangue: l’uso di cesoie per tagliare la rete e mostrare che i gazawinon sono animali da chiudere in gabbia ma disposti a rischiare la morte pur di avere la libertà.

Proprio a Nord, un gruppo di ragazzi è riuscito nell’impresa ed ha trascinato via  per qualche metro la rete tagliata, riprendendo la scena e facendo girare il video con l’intenzione di mandare  un messaggio forte, lo stesso che ha aperto la marcia del 30 marzo scorso: non abbiamo più niente da perdere e siamo disposti a tutto per riavere la libertà. Questo pensiero era anche nella mente di Islam Harzallah, il 28enne morto in ospedale dopo essere stato colpito all’addome.

Chesuccederà il prossimo venerdì, ci si chiede osservando da esterni la situazione e la risposta è sempre una: senza una leadership capace di una strategia di lungo periodo e condivisa dalle diverse fazioni politiche, questa grande manifestazione finirà in una nota a piè di pagina nel racconto della resistenza palestinese. Questo lo sanno bene anche gli organizzatori della marcia, che non nasce da Hamas – come è ben noto anche se Israele sostiene il contrario – anche se ne avrebbe tutto il diritto, ma ha ottenuto il sostegno di Hamas e di tutte le altre componenti politiche della Striscia, perché il popolo gazawiha solo due vie davanti a sé: o accettare l’elemosina a vita e spegnersi lentamente, o riuscire a essere il volano per tutti i palestinesi superando sia le tante divisioni dei vertici, sia la corruzione come sistema di mantenimento dello status quo.

E Israele? Tel Aviv sta decidendo il modo migliore per portare avanti il suo obiettivo storico, l’annessione di tutta la Palestina dal Giordano al Mediterraneo, magari provando a utilizzare proprio la nuova strategia di guerra che si sta affermando a Gaza.

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