I MASSACRI DI DAESH E LA ROTTA BALCANICA DEI JIHADISTI

La regione dei Balcani

La regione dei Balcani

Qualche notizia sui massacri di DAESH e sulla rotta balcanica (da verificare comunque), dei jihadisti: rotta pericolosissima per l’Italia.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Daesh sta perdendo terreno: il suo territorio si è ridotto del 70% nell’ultimo anno, le due principali capitali, Mosul e Raqqa, sono cadute. Gli stessi introiti legati al contrabbando di petrolio sono calati in questi ultimi anni da 1,5 milioni di dollari fino a quasi 150 mila dollari al giorno.

Tuttora, la sua vera forza è la propaganda e la diffusione dell’ideologia jihadista sul web, come dichiarano le principali agenzie di stampa occidentale.

La minaccia jihadista legata al cyber-terrorismo è, in effetti, una delle maggiori preoccupazioni delle intelligence di tutta l’Europa: a tal punto che Francia, Gran Bretagna e Italia hanno recentemente redatto un documento segreto legato alla lotta alla radicalizzazione e alla propaganda in rete per armonizzare il controllo del Web. New York, Marsiglia e Edmonton ne sono l’ultimo esempio. Il pericolo legato al web rimane sia per il reclutamento di nuovo jihadisti ma soprattutto per l’influenza di ogni singolo aspirante “martire”.

Altrettanto pericolosi sono i diversi “tutorial”, video o spiegazioni, creati per la produzione di ordigni esplosivi artigianali (Barcellona, e Londra) per la preparazione di attacchi con camion o furgoni o all’arma bianca.

L’ultimo rapporto, in Francia, dell’Unità di Coordinamento Lotta Antiterrorismo (Uclat) del 1° giugno scorso riporta che i francesi “radicalizzati” sono oltre quindicimila, nel 95% dei casi convertiti attraverso il web; stesse percentuali per quelli belgi, tedeschi e svedesi. Daesh è presente su internet, utilizza i social network per arruolare, comunica attraverso “app” di ultima generazione e ha tra le sue fila numerosi hacker ed esperti di informatica.

Negli ultimi due anni, mentre si combatteva per la conquista di Mosul e Raqqa, Daesh ha cominciato a cambiare la sua campagna terroristica “low cost” in Europa.

“La rivendicazione di ogni attentato non implica quasi mai – secondo Rita Katz, direttore di SITE (Intelligence European Group)– un legame diretto a livello organizzativo ma un’influenza ideologica sul singolo “martire”, che giura fedeltà ed ha una cassa di risonanza devastante nei Paesi colpiti a causa dei “mass media”.

Non avere più un territorio definito non sta impedendo allo Stato Islamico di muoversi e riorganizzarsi verso territori decentrati come Afghanistan o Cecenia, il Sud-Est asiatico (Malesia, Indonesia e Filippine), il continente africano (Nigeria Libia).

Secondo l’Fsb russo un grande numero di jihadisti si starebbe spostando verso l’area del Sud-Est asiatico e verso l’Afghanistan, visto che, secondo numerosi indicatori, il livello di minaccia sta aumentando in quelle aree e la minaccia globale da parte di Daesh, “sta cambiando e assumendo nuove forme”. Lo Stato islamico, secondo l’ ”Institute for Policy and Conflict” (IPAC), sta spostando parte dei suoi capitali finanziari facendo investimenti verso l’Occidente (USA, EUPOPA) o utilizzando i “bit coin”, la moneta virtuale facile da utilizzare, ma difficile da contrastare. “Il fatto di non avere una strategia unitaria di contrasto provoca questa situazione di vantaggio per l’organizzazione terroristica visto che Daesh agisce su scala mondiale, mentre i Paesi occidentali non hanno nessun tipo di disegno politico di contrasto se non quello militare”.

  1. I massacri di Daesh

Nel novembre scorso, nei pressi dell’aeroporto militare di Hawija (Nord dell’Irak) è stata scoperta una fossa comune con 400 cadaveri, tutti uccisi dai miliziani del Califfo, con esecuzioni sommarie.

Hawija è stata sotto il controllo della Stato islamico fino a ottobre 2017, quando è stata rioccupata dai regolari irakeni e da milizie curde. Il ritrovamento della fossa non coglie di sorpresa le Cancellerie, perché già da alcuni anni circola un report agghiacciante dell’Associated Press (AP) sulle esecuzioni di massa ordinate dal Califfo. Nel documento si leggono testimonianze sconvolgenti: “il ragazzo se ne stava nascosto nel greto del torrente – è scritto nel Report – mentre i jihadisti gli ammazzavano i parenti a sangue freddo, uno dopo l’altro”

I miliziani di Daesh sparavano senza sosta e un bulldozer stava in attesa di coprire di terra i corpi martoriati di tante vittime innocenti. Eliminate con la stessa agghiacciante “professionalità con la quale le “Einsatzgruppen” dei nazisti guidati da Himmler e organizzate da Heydrich, si sbarazzavano di ebrei, prigionieri russi e altri ”untermenschen”, uomini, donne e bambini che , per i gerarchi di Hitler, erano solo “esseri inferiori”. Lo studio di Associated Press scoperchia una botola che nasconde segreti terribili. Inimmaginabili.

Gli inviati di AP hanno voluto vederci chiaro, cercando di abbozzare una prima “contabilità della morte”. Hanno individuato oltre70 fosse comuni, scavati dalle milizie del Califfo per seppellire i loro misfatti. Impossibile essere precisi, anche se l’agenzia di stampa fa oscillare il numero dei corpi individuati tra i 5 e 15 mila. Beninteso, solo nei siti già scoperti. Il timore, a guerra finita, è che un’inchiesta più accurata porti il numero dei seppellimenti (ma sarebbe meglio parlare di “interramenti”), tra Irak e Siria, a diverse centinaia.

Come nella lugubre montagna di Sinjar, dove lo Stato islamico ha sterminato gran parte della minoranza Yazida, scaraventando i cadaveri in molte fosse comuni che hanno reso il sito un macabro colabrodo. Ma la paura è ancora tanta e i superstiti, finora, non hanno avuto il coraggio di cominciare a scavare per dare una degna sepoltura ai loro morti. Qualcuno, ancora terrorizzato dai “cani sciolti” del Califfo, passa addirittura davanti alla fossa dove sono stati sotterrati i corpi dei suoi due figli, ma non ha il coraggio di fermarsi.

L’ONU ha parlato di genocidio e, senza dubbio, di questo si tratta, perché le vecchie ruggini etniche si mischiano alle cervellotiche motivazioni religiose. Essere buoni musulmani non vuol dir niente per i seguaci di Abu Bakr al-Baghdadi. Né vogliono sentir parlare di un Allah “clemente e misericordioso”, preferendo ispirarsi, invocando il “principio di abrogazione”, a quelle sure del Corano che, secondo le loro menti accecate da fanatismo, giustificherebbero l’eliminazione del nemico, dei “Kafir” (eretici e infedeli), come altri islamici moderati, gli sciiti e, naturalmente, i “crociati”. Cioè noi.

Lo studio dell’AP è inquietante, perché vi si afferma, senza mezzi termini, che è praticamente incalcolabile il numero delle fosse comuni di cui Daesh ha riempito tutta la regione siro-irakena. Come dimostra la stessa scioccante scoperta del sito di Hawija. Di altri massacri, come quello di Badoush, in cui furono scannati 600 detenuti, si ha notizia attraverso immagini riprese dai satelliti.

Certo, la maggioranza degli eccidi resterà impunita, anche se il governo di Baghdad qualche sassolino dalla scarpa se lo è tolto, impiccando 36 jihadisti ritenuti gli autori della strage di Camp Speicher, dove furono uccisi a freddo 1700 soldati irakeni, che erano stati presi prigionieri.

Occorre anche ammettere, certe stragi sono anche figlie di una diplomazia occidentale strabica, pronta a sostenere le “Primavere arabe” (grave falso della maggioranza dei media, perché in realtà si tratta di rivolte che hanno diversa natura e portata) solo per i propri tornaconti, con il risultato di mettere in subbuglio tutto il Medio Oriente.

  1. L’attività recente dell’intelligence europea e irakena.

Secondo l’intelligence europea e irakena sarebbero 400 i mujaheddin dell’ex ISIS addestrati per importare la guerra in Europa. Nel frattempo, l’Italia – scrive Cristina Giudici sul quotidiano Il Foglio – oltre alla minaccia libica, deve combattere su un altro fronte esterno: il Kosovo. L’intelligence italiana teme che il terrore possa venire dal mare Adriatico dopo le prime rivelazioni del quotidiano Il Foglio del 29 gennaio scorso.

Ora, secondo altre indiscrezioni, il Kosovo sarebbe diventato la meta di un pellegrinaggio islamista all’interno della rotta balcanica. Il noto giornalista Ennio Remondino, che ha trascorso nei Balcani tutto il periodo bellico, fornisce interessanti notizie.

Il cammino islamico lungo un percorso porta a Pristina fino alla Bosnia, dove operano i seguaci di Bilal Bonic, l’imam reclutatore che in Italia ha radicalizzato diversi gruppi di jiadisti. In quell’area – non è precisato dove – ci sarebbero 6 o 7 predicatori con una doppia missione: avvicinare i migranti che vengono in Europa attraverso la rotta balcanica per cercare di intercettare i più vulnerabili e indottrinabili, e nello stesso tempo accogliere gli arabi – “fino ad ora tunisini, egiziani e irakeni”, precisa Cristina Giudici, – i quali si stanno recando in Kosovo, in enclavi salafite a Pristina e a Restelica, “dove vengono preparati per entrare in Europa passando dal canale d’Otranto”.

Il progetto pare sia ormai noto all’intelligence. Si tratta del tentativo di creare un corridoio da Valona, e Albania, per far entrare in Europa i migranti respinti dai Paesi balcanici o trattenuti in Turchia, permettendo ai terroristi di raggiungere le coste pugliesi a bordo di motoscafi, sui quali da sempre viaggiano sigarette, droga e armi.

Ciò che non si sapeva fino a ora è che mentre Daesh perde terreno in Siria e Irak, aspiranti neo jihadisti si starebbero rivolgendo verso lo Stato traballante del Kosovo, dove ci sono già oltre un centinaio di foreign fighter tornati dalle aree di guerra. L’Italia non sarebbe ancora un bersaglio, ma continua a essere terra di transito.

Chi sono questi predicatori kosovari? I soliti noti, secondo Il Foglio: reclutatori itineranti che da anni hanno un ponte diretto con l’Italia. “Per esempio Sead Bajaraktar, imam di Restelica, un villaggio che si trova fra i monti dell’Albania e Macedonia. Bajraktar ha vissuto in provincia di Siena, dove ha fondato un centro islamico a Monteroni d’Arbia. Secondo l’intelligence italiana, egli si è recato spesso in Kosovo ad addestrarsi. Poi c’è Idris Idrizivic, cognato di Sead Bajaraktar: anche lui ha vissuto e predicato in Italia. Inoltre, c’è Idriz Bilibani, considerato il più pericoloso fra i predicatori islamisti, arrestato più volte in Kosovo e in collegamento con il cerchio magico di Bilal Bosnic, Bosnia”.

Alcuni dettagli: Mazllam Mazllami, come Bosnic ospite nel casolare-moschea di Motta Baluffi, in provincia di Cremona, e poi arrestato nel 2017 a Prisitina; Shefqet Krasniqui, imam della moschea principale di Pristina, che entra ed esce dalle carceri kosovare. Tutti i predicatori itineranti, tutti o quasi con collegamenti italiani.

“Infatti – annota la reporter – non è un caso che i ROS siano in missione in Albania per cercare di spezzare questo ponte e contrastare la rotta adriatica”. Le indiscrezioni sul flusso degli aspiranti jihadisti che non sono cresciuti in Europa ma puntano a transitare per l’Italia dopo la radicalizzazione in Kosovo, partano alla considerazione geopolitica finale.

Giovanni Giacalone, ricercatore dell’ISPI, offre dettagli: “Da anni si sapeva che il Kosovo era un Paese ad alto rischio di radicalizzazione. Il fatto che la rotta balcanica si sia rafforzata fino a questo punto significa che siamo a una fase di infiltrazione di islamisti molto avanzata”. Rimproveri per il non fatto e nuovi rischi.

Il Kosovo, Paese serbatoio di integralisti, “arsenale” per il terrorismo dei Daesh in Europa. La reporter ripropone il caso di Resim Kastrati, che fa proselitismo fra i musulmani italiani su Facebook. Annotazione finale, minacciosa ma inconfutabile: “ I Kosovari non hanno bisogno di motoscafi per arrivare in Italia”.

Una certificazione di autorevolezza investigativa sarebbe utile.

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