LIBANO. CASUS BELLI CON ISRAELE: INTELLIGENCE, MURI E GAS.

LIBANO. CASUS BELLI CON ISRAELE: INTELLIGENCE, MURI E GAS.

Ziad Ahmad Itani

Ziad Ahmad Itani

I giacimenti di gas del Bacino del Levante spiegano anche il recente stop a una piattaforma ENI che si dirigeva verso Cipro. La situazione idi quei ricchi giacimenti di gas è complessa e i vari ‘blocchi’ sono rivendicati da alcuni stati rivieraschi.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

1.Il servizio israeliano recluta Ziad Ahmad Itani, ex giornalista, sceneggiatore e drammaturgo libanese.

Quale ragioni spingono l’intelligence israeliana ? Secondo la sicurezza interna libanese, Itani, dopo l’arresto del 24 novembre scorso, confessa la sua responsabilità. Più precisamente, nel suo appartamento di Beirut sono stati trovati quattro computer e cinque cellulari, contenenti “informazioni segrete”.

L’arresto di Itani avviene dopo quello avvenuto in un Hotel di Beirut di una donna trentunenne, di cui la stampa libanese riporta solo il nome, Jennan, dell’associazione “Insieme per la Palestina”. E’ accusata di essere una “risorsa” gestita da un agente del Mossad, identificato dall’intelligence libanese come Hossam Safadi.

La TV qatariota Al Jazeera e il quotidiano Al Akbar rivelano l’andamento dell’interrogatorio e delle confessioni di Ziad

Itani. L’ex giornalista è stato adescato da una donna, Colette, di nazionalità svedese, che si era presentata sui social come un’attivista dei diritti umani. I due decidono poco dopo di incontrarsi.

Il Mossad li riprende mentre sono a letto e ricatta Itani che accetta di spiare per conto di Israele, spiegando che, per la minaccia di fare arrivare alla moglie le immagini della relazione, aveva temuto di perdere la famiglia.

Chi doveva sorvegliare Itani da riferire al Mossad?

In realtà, Itani aveva solo qualche amicizia nell’entourage di ministri, insomma nulla che potesse interessare il Mossad. Pierre Abi Saaab, vice direttore di Al Ahbar, sostiene che il caso di Itani è consustanziale alla nuova strategia d’intelligence, che tende alla normalizzazione di Israele “nella cultura politica araba”.

Tel Aviv – aggiunge Saab – avendo ora la collaborazione dietro le quinte di un buon numero di Paesi arabi, in particolare delle monarchie del Golfo, oggi lavora su come cambiare nella regione e nel resto del mondo la narrazione su Israele. Per questo il Mossad avrebbe dovuto concentrarsi anche sul reclutamento di personaggi del mondo culturale, dello spettacolo e del cinema, gente come Itani, con tante relazioni nella società civile e nel mondo dell’arte.

In Libano, l’ex giornalista è noto anche per il suo percorso politico particolare. E’ stato, prima, sostenitore dell’alleanza “8 marzo”, che comprende Hezb’Allah e il principale partito cristiano, la Corrente dei Patrioti Liberi, fondato dal presidente Michel Aoun.

Poi è diventato un nazionalista nasseriano, e infine è passato all’alleanza “14 marzo”, quella del premier Saad Hariri e dei suoi alleati.

Itani aveva il compito di promuovere una campagna per ottenere un’immagine positiva di Israele e di riferire informazioni su esponenti della cultura e dell’arte libanesi che promuovevano o partecipavano all’estero ad attività politiche e sociali contro lo Stato ebraico.

Un’ipotesi forse non lontana dalla realtà se si considera che il governo israeliano sta investendo milioni di euro per contrastare le campagne degli attivisti del ”Boicottaggio, disinvestimento, sanzioni” (Bds) e le organizzazioni che denunciano le sue politiche nei confronti con i palestinesi.

2.Denuncia del presidente libanese contro Israele.

Il presidente Michel Aoun invia, il 20 dicembre scorso, una denuncia al coordinatore speciale dell’Onu, Pernille Dahler Kardel, contro lo Stato Israeliano che sta per costruire un muro di separazione lungo la “linea blu”, la frontiera fra Libano e Israele disegnata dalle Nazioni Unite nel 2000, quando l’esercito israeliano si ritirò dal Sud del Paese.

Il muro non rispetta la linea di confine internazionale”, dichiara Aoun, che ha aggiunge un dato significativo: “Dal 2000, Israele ha violato il confine libanese 11mila volte”.

Il 2 febbraio corrente il movimento sciita libanese condanna il ministro della difesa israeliano, Avigdor Lieberman, che tre giorni addietro aveva reclamato il controllo del suo Paese sul giacimento conosciuto come blocco 9, che il Libano considera all’interno delle sue acque territoriali e che per la sua esplorazione ha coinvolto anche l’italiana ENI.

“Si tratta di una nuova espressione di avidità di Israele, che vuole le ricchezze del Libano, le sue terre e la sua acqua. Queste dichiarazioni fanno parte della politica aggressiva contro il Libano, la sua sovranità e i suoi diritti legittimi” ha protestato Hezb’Allah, unendosi alle parole di condanna del capo di Stato Michel Aoun.

Tre giorni prima, era stato il premier Saad Hariri a contestare le affermazioni di Lieberman e a ribadire la sovranità libanese sul blocco 9.

Libano e Israele hanno una disputa irrisolta su una zona triangolare di mare di circa 860 km quadrati che si estende lungo il bordo di tre blocchi del giacimento di gas.

Secondo Lieberman il blocco 9 sarebbe israeliano e, durante la conferenza sulla sicurezza a Tel Aviv, ha commentato che “malgrado ciò, Beirut ha deciso di indire un’asta”, per l’assegnazione delle esplorazioni.

Il Libano è situato sul Bacino del Levante, un vasto giacimento scoperto a partire del 2009 che si estende nel Mediterraneo orientale e comprende anche Cipro, Egitto, Israele e Siria.

Lo scorso 14 settembre il consiglio dei ministri libanese aveva approvato l’assegnazione delle licenze a un consorzio formato da Eni, Total e dalla russa Novatek, per l’esplorazione di due giacimenti off-shore: il blocco 4, di fronte alla costa centrale del Paese, e, appunto, il blocco 9, più a Sud.

Interviene ancora Lieberman: ”Pubblicare una gara di appalto su un giacimento di gas, compreso il blocco 9, che, secondo qualsiasi norma, è nostro, rappresenta una condotta molto, molto provocante”.

Il ministro degli esteri libanese, Gebran Bassil, replica annunciando di aver inviato una lettera alle Nazioni Unite in cui si afferma il diritto del Libano a difendersi e a proteggere i suoi interessi economici.

Lieberman è stato molto esplicito anche sulla possibilità di una nuova guerra, figlia, a suo dire, dell’espansione dell’influenza iraniana nella regione. E ha avvertito che il Libano sarà ritenuto responsabile di una futura guerra perché, a suo dire, avrebbe sacrificato i suoi interessi nazionali sottomettendosi all’Iran.

“L’esercito del Libano e le milizie di Hezb’ Allah sono gli stessi: pagheranno tutti per intero il prezzo in caso di un’escalation”.

Non ha poi escluso un’invasione ampia nel Paese: “Non consentiremo scene come nel 2006, quando abbiamo visto i cittadini di Beirut sulla spiaggia mentre gli israeliani a Tel Aviv si trovavano nei rifugi”. A fine gennaio, il portavoce delle forze armate israeliane, generale Ronen Manelis, aveva detto che: “il Libano è diventato una grande fabbrica di missili (iraniani), sia per le sue azioni e omissioni sia per la comunità internazionale che ha chiuso gli occhi”.

Ha quindi puntato il dito contro Hezb’ Allah in possesso, pare, di circa 100 missili a corto e medio raggio, quindi in grado di raggiungere ogni angolo di Israele, e capace di mobilitare circa 30 mila combattenti, ben addestrati, per contrastare un’eventuale invasione israeliana di terra e lanciare attacchi oltre il confine.

Sul ruolo dell’esercito libanese intanto continua la disputa fra Israele e Stati Uniti. Washington promette altri aiuti militari a Beirut, invece il governo Netanyahu chiede di bloccarli perché, come ha affermato Lieberman, le forze armate libanesi non sono rivali bensì alleate di Hezb’Allah.

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Il gas nel mediterraneo orientale

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