Un articolo molto chiaro sul quel che sta succedendo nella regione strategica siro-kurdo-turca, utilissimo per comprendere gli attori di un conflitto nel conflitto. Da leggere con attenzione.
Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini
1.L’inizio di un’altra guerra
Il 20 gennaio corrente, il ministro della difesa turco, Nureddin Canikli, comunica l’inizio di un’operazione militare denominata “ ramo d’ulivo”, per il controllo del cantone di Afrin, enclave a maggioranza curda nel Nord-Ovest della Siria.
Sono pronti 5.000 miliziani dell’Esercito libero siriano (Fsa) sostenuto da due Brigate delle forze speciali turche guidate dal generale Metin Temel.
Nell’immediato, l’esercito turco continua il bombardamento con gli hotwitzer (un cannone corto usato per proietti a medio raggio e con traiettorie relativamente alte) a eccezione delle posizioni fortificate costruite a Sud di Afrin, nella regione di Idlib, come parte del piano concordato con Russia, Iran e Siria, per la realizzazione di zone cuscinetto.
Di fatto, da mesi la Turchia prepara una nuova guerra ad Afrin e lancia strali contro le milizie Sdf (Forze Democratiche Siriane), accusate di terrorismo per via dei legami tra “Ypg”(unità di protezione popolare) e Pkk (Partito dei Lavoratori del Kurdistan).
Secondo un comandante Fsa, l’inizio delle operazioni potrebbe essere imminente e previsto a partire alle ore 7 del giorno 20 corrente mese. Afrin è una delle poche aree della Siria risparmiate finora dalla guerra perché il tessuto agricolo, industriale e commerciale si è rivelato autosufficiente per l’economia di guerra. L’afflusso di rifugiati ha raddoppiato la popolazione: nuove bocche da sfamare, ma anche braccia per combattere. Afrin, isolata dalle altre zone controllate dalle Sdf, è più difficile da difendere contro un attacco su larga scala come quello programmato dalla Turchia.
2.I Paesi attivi in area
La presenza di personale militare russo, tra cui un generale, nella base militare di Kafr Jannah, incuneata tra Fsa e Sdf, rappresenta una garanzia di difesa per Afrin. Ma sin dal giorno precedente al 20 gennaio, alcune agenzie riportano il ritiro delle truppe russe verso Aleppo, anche se la notizia è smentita da fonti siriane e curde e, soprattutto, dal ministro russo Lavrov. La Russia, alla quale la Turchia chiederà fino all’ultimo il proprio benestare, è importante perché Mosca controlla sia i cieli siriani – necessari per dare supporto aereo all’operazione – sia l’alleato strategico del governo di Damasco.
Le minacce del vice ministro degli esteri siriano, Faisal Meqdad, di abbattere i caccia turchi non si concretizzeranno senza l’o.k. russo, che dallo stallo in corso spera di strappare concessioni territoriali alle Sdf che controllano il Nord del Paese.
Per ammorbidire la linea di Putin, il comandante delle forze armate turche, Hulusi Akar, e il capo dei servizi segreti, Hakan Fidan, sono volati il giorno prima a Mosca per un incontro che le due parti hanno definito proficuo, pur senza rivelare dettagli su eventuali accordi raggiunti.
Intanto, il portavoce del dipartimento di Stato americano, Heather Nauert, rinnova alla Turchia la richiesta di non intervento. I piani americani della costituzione di una forza di confine di 30000 effettivi in Rojava (tra cui il Ypj _ -Unità di protezione delle donne-), provoca l’ira turca e convince Ankara a mettere in moto la macchina militare. A poco valgono le smentite successive, se non a generare ancora più confusione e risentimenti verso Washington. Erdogan cerca di intimidire gli USA minacciando la stabilità dei progetti americani in Siria e lo fa prendendo di mira Afrin e la sua rivoluzione.
3.Ankara senza freni
Dopo martellanti bombardamenti dal confine, la Turchia invia i suoi aerei da guerra che attaccano la regione per un’intera giornata, sia lungo il confine turco sia nel centro e nei dintorni dalla città di Afrin.
Le milizie del Fsa scatenano i 5 mila soldati che tentano uno sfondamento con il sostegno del fuoco dell’artiglieria e dei carri armati stazionati in territorio turco. Incontrano la resistenza delle truppe curdi Ypg, che contano dalle 10.000 alle 20.000 unità. L’aviazione turca dichiara di aver colpito oltre 100 obiettivi, mentre è ancora sconosciuto il numero delle vittime.
Lo Stato Maggiore dell’Esercito turco comunica ufficialmente l’avvio dell’operazione. Nello stesso comunicato, sottolinea che l’operazione verrà condotta nel rispetto dell’integrità territoriale della Siria, colpendo sia bersagli appartenenti alle Ypg, che a Deash.
Comunicazione alquanto improbabile, atteso che nella regione non ci sono milizie di Daesh e che il regime siriano non intende accettare l’ennesima guerra turca sul proprio territorio.
Il ministro degli esteri turco, Meylut Cavusoglu, invia a Damasco lettere con i dettagli dell’operazione mentre gli ambasciatori di Iran, Russia e Stati Uniti sono convocati ad Ankara e formalmente aggiornati sullo svolgimento del conflitto.
Il presidente turco Recep Tayyp Erdogan parla dell’avvio della guerra durante un comizio del partito Akp a Kuthaya, nel cuore dell’Anatolia e dichiara: Coloro che armano i terroristi capiranno presto che non esiste altro partner affidabile nella regione ad eccezione della Turchia
Poi promette che, dopo Afrin, “Manbij sarà la prossima destinazione. Passo dopo passo ripuliremo da questa pestilenza terrorista che ci assedia tutto il Paese, fino al confine iracheno”.
Ma Ankara deve incassare il rifiuto americano di abbandonare Manbij, per cui se Erdogan vorrà dare concretezza alle minacce di invadere anche la zona di Manbij dovrebbe scacciare dalla regione anche la presenza americana con il rischio di uno scontro militare tra i due più importanti membri NATO.
Erdogan comunque continua la sua lotta mediatica su altri diversi versanti:
4.La posizione russa
Sul progetto di autonomia si è concentrata la critica del Ministro della Difesa russo, che in un comunicato dichiara: ”la ragione principale di questa situazione critica è la provocativa decisione degli USA di sostenere un’autonomia delle regioni a maggioranza curda. Le incontrollate spedizioni del Pentagono di armi moderne, tra cui i sistemi di difesa aerea portatili destinati alle forze pro-USA, hanno condotto all’avvio dell’operazione militare turca”.
Di diverso avviso è il portavoce Ypg, Nuri Mahmoud, secondo cui la Turchia starebbe utilizzando le armi americane destinate alle Sdf come scusa per attaccare Afrin…. “Non c’è mai stata alcuna minaccia verso la Turchia dai confini che stiamo difendendo. La nostra gente è riuscita a mettere in campo pratiche di autogoverno che il governo turco non vuole accettare”. Mahmoud poi passa da una questione di sicurezza a una questione ideologica. E’ la graduale istituzionalizzazione delle Sdf come esercito regolare a infastidire Ankara.
Le opposizioni in Turchia contestano l’operazione militare su Afrin, che condurrà il Paese a un ulteriore isolamento sulla scena internazionale senza portare alcuna soluzione realistica nei confronti del PKK (Partito dei lavoratori Kurdi) e dell’autonomismo curdo in generale, capace di sopravvivere a 40 anni di conflitto. C’é il rischio dell’ennesima emergenza umanitaria che dovrebbe frenare gli istinti bellicisti. Un appello alla comunità internazionale è lanciato da personalità prominenti.”Afrin è una delle regioni della Siria più stabili e sicure. Negli ultimi 5 anni ha raccolto moltissimi rifugiati da tutto il Paese, tanto che la sua popolazione è raddoppiata fino a 400.000 persone. Questo attacco è uno sfacciato atto di aggressione contro un territorio democraticamente e pacificamente governato”.
Molti noti giornali sono contrari alla guerra turca contro Afrin e i curdi; “Il Figaro” parla di resistenza selvaggia dei combattenti curdi ad Afrin; “Il Financial Times” critica l’offensiva turca; “Le Monde” dà notizia dei civili dell’area di Ghouta, presi in trappola; “Faz.net.” teme un disastro per la NATO, a causa dell’offensiva di Ankara contro la milizia curda Ypg che ha messo gli USA in una posizione difficile e si chiede quanti siano importanti i carri armati tedeschi Leopard 2 venduti alla Turchia, che potrebbero essere utilizzati nella controversa lotta contro l’Ypg.
E’ la stampa tedesca a dare grande risalto ai rischi dell’operazione turca contro i curdi di Siria e le migliaia di curdi in Turchia. Per la Frankfurter Allgemeine Zeitung, l’offensiva di Ankara mette l’America in una posizione difficile. Lo dimostrano i commenti contraddittori da Washington e anche lo speaker della Casa Bianca, Sarah Sanders, parla delle preoccupazioni USA per la sicurezza dei turchi, alleati NATO. Altri media ricordano che nel maggio 2017 il presidente Trump ha approvato la fornitura al Ypg curdo di veicoli corazzati e armi anticarro, che ora risultano micidiali contro il carri Leopard 2 turchi acquistati dalla Germania.
Si tratta anche di un problema indistricabile di armamenti e alleanze per la NATO. La fornitura di armamenti tedeschi alla Turchia, non esemplare testimonianza di democrazia interna e di pacifismo estero, fa esplodere la polemica a Berlino. Il rapporto di forze Turchia e il Ypg curdo sono come Davide contro Golia, scrive la Frankfurtrer Allgemeine Zeitung, ma circa 10 mila combattenti curdi di grande esperienza, e troppa artiglieria e carri armati dalla parte turca sono micidiali.
Da quando è stato eletto presidente nel 2014, Erdogan ha aumentato l’uso del titolo di Comandante in Capo delle forze armate. “Questa operazione continuerà fino a quando l’ultimo terrorista non sarà stato neutralizzato”, dichiara Erdogan, piaccia o no agli Stati Uniti, principali fornitori di armi alle milizie curde in Siria. Nazionalismo turco che coinvolge le minoranze ebraiche e armene della Turchia, le quali hanno sentito il bisogno di rendere esplicito il loro sostegno all’intervento in Siria, come rileva lo spagnolo El Pais: “una scusa per prolungare lo stato di eccezione in Turchia e i metodi anti-democratici del governo”, denunciano pure le opposizioni interne. Almeno 91 persone – giornalisti e scrittori fra di loro – sono stati arrestati per aver pubblicato sui social network commenti contro l’invasione turca, accusati di diffondere “propaganda terrorista”.
A quel tempo, il governo tedesco accettò che i carri armati sarebbero stari usati solo per la difesa della NATO, e – secondo Faz.net – arrivò a ufficializzare l’export-record di 25 miliardi di euro negli ultimi 4 anni a Paesi in guerra.
Intanto il gruppo jihadista siriano Tahir al- Sham (già Fronte Al-Nusra) lancia numerose operazioni contro l’enclave curda Afrin, obiettivo dell’attacco dell’esercito turco e delle brigate ribelli siriane che combattono sotto la bandiera dell’esercito libero siriano.
Sin dal 23 gennaio, Tahir – al Sham afferma di aver attaccato e occupato le posizioni curde vicino al monastero di San Simeone, dopo un violento combattimento. Poche ore prima, il gruppo jihadista riferisce scontri con l’Ypg, vicino alla località di Darat Izza.
Il canale televisivo Al-Jazeera filma le forze di Ankara mentre creano posti di osservazione, scavano trincee e schierano veicoli blindati “i combattenti tra jihadisti e curdi quindi si sono svolti sotto il controllo dei soldati turchi”.
Il dispiegamento di truppe turche nel nord della Siria era il seguito dell’accordo fra Iran, Turchia e Russia ad Astana (Kazakistan) sulla creazione di “4 zone di de-escalation”, la più grande delle quali era Idlib. L’accordo prevedeva la presenza di osservatori ai margini di questa provincia. L’esercito turco che era di stanza sulla linea di demarcazione che separa il territorio ribelle da quello curdo dell’enclave di Afrin, ha però interpretato a suo modo l’osservazione sul campo.
Le immagini dell’esercito di uno Stato membro della NATO che si muove sul campo di battaglia accompagnato da jihadisti di al-Qaeda diventa emblematico della natura ambigua del rapporto fra tale gruppo jihadista e Ankara.
7.Pioggia di missili e colpi di mortaio delle forze turche.
Sulla cittadina di Al-Ma’batli, nel distretto di Afrin, una famiglia di 7 persone è stata sterminata, case ed edifici pubblici sono stai distrutti dai colpi dei missili e dei mortai. A sette giorni dall’operazione turca contro il cantone della curda Rojava, la battaglia è quotidiana. Le scuole sono chiuse e i bombardamenti sono incessanti per cui nessuno può portarvi i figli. Si contano oltre 5 mila sfollati, già arrivati nei villaggi siriani al confine Nord.
Più difficile è il bilancio delle vittime. Negli ospedali di Afrin e nei comunicati delle Forze democratiche siriane si parla di cinquantanove civili uccisi e 134 feriti e quarantatre morti tra i combattenti delle Ypg e Ypj.
L’offensiva turca si abbatte sui civili, 1,2 milioni in tutto il cantone, di cui la metà sfollati da altre zone della Siria: ”Nel 2011 la popolazione di Afrin era la metà di oggi, spiegano telefonicamente i responsabili dell’Information Center of Afrin Resistance. Un dato che mostra l’ospitalità verso persone di altre religioni ed etnie. Con questo attacco brutale lo Stato turco tenta di distruggere un modello di coesistenza pacifica dei popoli, di cui Rojava è pioniera”.
Il problema principale è tenere in piedi il sistema sanitario: “Ci sono sei ospedali in tutto il cantone, solo 3 funzionanti al momento. Sin dal 25 scorso i caccia turchi hanno bombardato l’ospedale di Jinderes e questo rende la situazione ancora peggiore. Negli altri 5 mancano i medicinali”. Ma la città è protetta insistono: “Una delle tattiche della guerra turca è l’aspetto psicologico, la distorsione dei fatti. E’ vero che l’esercito turco e i gruppi estremisti affiliati hanno provato ad entrare ad Afrin ma sono solo riusciti ad arrivare alla collina di Qala, da cui sono stati respinti dalle Forze Democratiche Siriane. Hanno lanciato offensive sui villaggi Raco, Bilbil e Jinderes ma sono stati fermati dalle Sdf”.
Insomma due narrative diverse: da una parte, le Sdf riportano l’uccisione di 308 uomini, tra soldati turchi e miliziani dell’Esercito libero siriano, e dunque di un’efficace resistenza da parte di Afrin, nonostante quasi 700 colpi di mortaio e 191 raid aerei si siano abbattuti sul Nord-Ovest della Siria dall’inizio della guerra (20 gennaio scorso); dall’altra, Ankara minimizza, con il Ministero della Salute che il 29 gennaio dava un bilancio di tre soldati uccisi e 130 feriti, di cui già 82 dimessi. E l’esercito aggiunge: non sono solo quarantatre i combattenti curdi uccisi ma 343.
Il presidente, grazie anche alla censura imposta alla stampa turca e corredata da rastrellamenti, dipinge l’operazione come un successo. Tanto efficace che il 29 gennaio ne annuncia l’allargamento: non più solo a Manbij, nel Centro-Nord, ma fino al confine orientale dell’Iraq. Ovvero, l’esatto corridoio di terre che è Rojava, da Afrin a Jazira: “Ci sbarazzeremo dei terroristi di Manbij come promesso e la nostra battaglia continuerà finché nessun terrorista sarà più presente fino al nostro confine con l’Iraq”.
L’ampiamento delle mire turche, affatto inibite da un possibile faccia a faccia con i marines USA di stanza a Mabij o dai velati appelli europei ribaditi a Bruxelles al ministro per gli affari UE, Celik, ha mosso le autorità curdo-siriane che hanno lanciato un appello al governo di Damasco affinché intervenga al loro fianco per fermare l’aggressione turca e la violazione della sovranità nazionale siriana.
Al presidente Assad è stato chiesto di inviare l’esercito “a protezione della frontiera della zona di Afrin”. Una mano tesa a un governo con cui i curdi non sono mai entrati in conflitto, preferendo di non allargare la fila delle opposizioni e non negando mai alla nazione siriana: un anno fa Rojava lo ribadì ribattezzandosi Federazione del Nord della Siria, scevra di riferimenti a etnie o confessioni.
8.La Turchia non avanza e il popolo di Afrin si difende.
Undici giorni dopo l’operazione “Ramo d’ulivo” sulla città di Afrin l’aviazione di Ankara sgancia bombe e volantini diretti ai civili chiedendo di schierarsi contro i terroristi. Nella città di Qamishlo, nel cantone di Jazira, decine di migliaia di persone, di diverse etnie, marciano sventolando le bandiere delle Sdf e delle Ypg e Ypj in solidarietà con Afrin.
Nelle stesse ore colpi di artiglieria e raid aerei colpiscono diversi villaggi del distretto di Afrin (Xelil, Mamela, Bilbile, Dersane, Hemam) e tentano di invadere la comunità con soldati turchi e migliaia di miliziani siriani di opposizione. Senza riuscirci.
Asiya Abdullah, co-presidentessa del partito curdo-siriano Pyd, in collegamento telefonico da Afrin con il Senato italiano, spiega: “Noi curdi, arabi, siriaci, Turkmeni abbiamo sconfitto Daesh e creato un sistema di autogesione comune. La nostra era una regione di pace, oggi è in guerra. Se Afrin verrà strappata alla sua popolazione, l’unica conseguenza sarà la sua occupazione da parte del Fronte Al-Nursa e di altri gruppi islamisti, i gruppi che oggi affiancano la Stato Turco e fanno parte dell’Esercito Libero Siriano. La Turchia sta commettendo un genocidio”.
Sullo sfondo corrono video girati negli ospedali del cantone: bambini, donne, anziani feriti, corpi senza vita caricati su camioncini. Una guerra contro i civili da parte del secondo esercito della NATO.
La Turchia combatte anche con la propaganda: parla di avanzamenti sul terreno ma le Ypg negano. Che succede? L’esercito turco ha in mano armi pesanti e sofisticate, armi prodotte dai Paesi della NATO, ed è sostenuto da 25mila miliziani legati a Daesh, al-Nusra, ai gruppi Turchmeni islamisti.
Afrin è un distretto piccolo, ma nonostante ciò la Turchia non sta avanzando: i combattenti che difendono Afrin sono quelli che hanno liberato Kobane e Raqqa, e stanno arrivando da tutta la regione. La Turchia non è avanzata di un metro. La Turchia attacca tramite gli islamisti dal 2014, senza ottenere nulla. Per questo è scesa personalmente in campo. Da parte loro i quaedisti di Al Nusra, Daesh, Ahrar al-Sham puntano a prendere questi territori.
Afrin e Rojava sono parte della Siria. Damasco ha il dovere di proteggere i suoi confini dagli attacchi di un altro Paese. Purtroppo non lo fa perché oggi gli interessi legano la Siria alla Turchia con cui collabora sperando di poter tornare qui. Le Ypg non intendono consegnare Afrin né alla Turchia né al regime: vogliono una Federazione autonoma all’interno dello Stato siriano, per vivere in pace i vicini.
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