Catalunya: instabilità. Il dialogo tra Madrid e Barcellona sembra ancora molto difficile.

Catalunya: instabilità. Il dialogo tra Madrid e Barcellona sembra ancora molto difficile.

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La strada per la soluzione del problema dell’indipendentismo catalano è ancora irta di difficoltà, malgrado i risultati delle elezioni di ieri 21 dicembre, che vedono in realtà vincenti le formazioni ‘repubblicane’ pur non in completo accordo fra di loro; anche se la formazione Ciutadans (sezione catalana di Ciudadanos) è stata la forza politica più votata, gli indipendentisti conservano la maggioranza nel Parlamento: questo è il risultato.

Il Presidente del Governo spagnolo, Mariano Rajoy, il vero sconfitto di queste elezioni catalane, non lancia messaggi distensivi, anche se ha assicurato, nella conferenza stampa odierna post elezioni catalane, che farà ogni sforzo per ‘mantenere’ un dialogo sulla questione catalana e sui risultati elettorali che certamente non gli sono stati favorevoli, anzi tutt’altro. Ha dichiarato di essere disponibile al dialogo con il nuovo governo esecutivo catalano sempre che questo però abbandoni ‘decisioni unilaterali’… Ha riconosciuto che, tra gli obiettivi più importanti, vi è al momento quello di superare la pericolosa frattura tra cittadini, presente fino all’interno delle famiglie.

A questo proposito, insiste Rajoy, ci vorrà molto tempo per ricomporla ma, secondo Madrid, la necessaria riconciliazione deve venire con la legge e nel rispetto di tutti, maggioranze e minoranze. Non indica, però, in concreto i passi da fare.

Non poteva dire altro il rappresentante del governo di Madrid che aveva applicato l’articolo 155, facendo di conseguenza partire l’indagine giudiziaria che ha messo in carcere alcuni esponenti dell’indipendentismo catalano; per non dimenticare che nel referendum dell’ottobre aveva fatto dare ordini alla ‘Guardia civil’ di impedire in ogni modo che i cittadini si recassero alle urne del referendum. Mandato assolto con durezza.

Rajoy ha anche parlato di ‘collaborazione costruttiva realista per poter eliminare le incertezze e generare di stabilità e sicurezza’. Nella sua analisi dei risultati elettorali, ha messo ben in chiaro che nessuno può parlare a nome della Catalunya se non guarda a tutto il territorio perché questa regione non è ‘monolitica ma pluralistica’ e tutti devono ‘coltivare’ questa pluralità come una ricchezza che deve essere rispettata e conservata.

Sempre nella sua conferenza stampa, egli ha sostenuto che se non si adottano decisioni ‘unilaterali’ da parte del governo catalano allora la situazione può decisamente cambiare. Rajoy non ha indicato una offerta politica concreta ma ha ancora parlato di leggi, di costituzione, non riconoscendo che l’alta partecipazione alle consultazioni elettorali ha messo in chiaro che gli indipendentisti hanno comunque vinto una consultazione nella quale l’82% della popolazione catalana è andata alle urne.

Ha dichiarato che, secondo lui, gli indipendentisti hanno perduto appoggi anche se è meno di quello che sarebbe stato auspicabile secondo il governo centrale.

Puigdemont ha offerto al Primo Ministro spagnolo la possibilità di una riunione congiunta a Bruxelles o in un qualsiasi paese europeo ma fuori del territorio spagnolo a causa della sua situazione processuale. La risposta di Rajoy non è stata positiva: siederà a un tavolo di consultazioni solamente con chi ha vinto le elezioni cioè con Ines Arrimadas, leader del partito de los Ciutadans, primo partito, reale vincitore delle elezioni per numero di voti. Rajoy ha detto che accetterà di parlare con chi sarà il presidente della Generalitat, che deve essere eletto, prendere possesso della funzione e essere nelle condizioni di parlare con lui. Ma Puigdemont, anche se eletto Presidente, al suo ingresso sul suolo spagnolo, dovrebbe venir arrestato. E quindi?

Per quanto riguarda quegli esponenti indipendentisti che ancora si trovano in carcere, il Primo Ministro ha considerato che potranno pure essere candidati alla presidenza della Generalitat ma comunque debbono sottomettersi alla giustizia come qualsiasi cittadino. E quindi?

Rajoy non ha voluto riconoscere che i cattivi risultati del suo partito politico in Catalunya avessero una ragion d’essere in quella che è stata l’applicazione dell’articolo 155. Continua a sostenere che dal punto di vista costituzionale quell’articolo fu applicato come doveva essere applicato e anzi lo fu in ‘modo prudente’ con l’approvazione dalla seconda e dalla quarta forza politica del parlamento madrileno. Si possono quindi spiegare questi cattivi risultati con la concentrazione dei voti in una forza politica che era già leader dell’opposizione.

Per finire, Rajoy ha tenuto a sottolineare che non ci sono dubbi sulla continuità del suo governo: cioè non si dimetterà. Raggiunto da una domanda circa un’eventuale anticipo delle elezioni in Spagna, ha risposto che le legislature sono di quattro anni perché non si può obbligare costantemente cittadini a andare alle urne E soprattutto quel che ora non si deve fare, a suo avviso, è proprio convocare le elezioni generali perché il suo governo è in condizione di governare. Farà in modo che la legislatura termini alla sua scadenza naturale, cioè nel 2020.

Comunque alcune reazioni pratiche ci sono state oggi: il delegato del governo in Catalunya, Enric Millo ha sospeso oggi, su richiesta della cosiddetta ‘Tavola della Democrazia’, della quale fanno parte varie associazioni sindacati organizzazioni civili, l’applicazione dell’articolo 155 della costituzione sul territorio e ha dichiarato che l’obiettivo di quell’applicazione era solo di restaurare l’ordine costituzionale e convocare delle elezioni. Una volta cessato un governo che era andato contro la costituzione e con la convocazione delle elezioni catalane, quindi raggiunti questi due obiettivi, non occorreva mantenere l’applicazione dell’articolo 155.

ERC (Esquerra Repubblicana de Catalunya) alla domanda circa le indagini sui rappresentanti indipendentisti da parte del Tribunale Supremo ha riconosciuto che il problema è politico e che la politica deve dare una soluzione .

Per quanto riguarda la presidenza, questo partito ha dichiarato che non contempla altra alternativa che l’investitura di Puigdemont.

È evidente che la situazione continua ad essere estremamente instabile e divisa anche tra gli stessi partiti che hanno guadagnato i seggi.

Il fronte indipendentista non è unito, anche se mettendo insieme le anime di questi movimenti, ha la maggioranza dei seggi, 70: dimostrato quindi quale è l’orientamento generale della popolazione catalana divisa peraltro a metà. E’ pur vero che una tenue maggioranza è per l’unione con la Spagna.

Dalle dichiarazioni delle varie forze politiche catalane e centrali si evince che ogni parte analizza i risultati elettorali in modo completamente opposto e si pone di fronte all’interlocutore quasi con gli stessi atteggiamenti del settembre 2017. E’ difficile arrivare a un governo catalano, soprattutto con alcuni esponenti dei partiti indipendentisti ancora in carcere, dal 2 novembre scorso.

Se Rajoy (e la Corona che per ora tace) non abbandona la sua posizione ‘legalista’ a oltranza, né Barcellona né Madrid risolveranno un problema politico che al fondo ha due richieste principali: una finanziaria (minori risorse da tasse da versare al governo centrale) forse risolubile e l’altra più pesante: via la Monarchia per una Repubblica catalana. Ma può uno Stato essere una Monarchia e una Repubblica in una parte del suo territorio? Ecco che torna la questione dell’indipendenza della Catalunya, se si persiste nella richiesta di ordinamento repubblicano.

L’Europa tace. È evidente che non può entrare negli affari interni di uno Stato membro, anche se per altri motivi sta entrando negli affari interni della Polonia, forse anche a ragione.

Questa è una crisi non solo spagnola, ma molto europea. La diplomazia europea dovrebbe essere più attiva.

v. anche di Andrea Carteny

http://www.today.it/blog/nazionalismi-co/catalogna-vincitori-sconfitti.html

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