MEDIO ORIENTE. SI PREPARA LA GUERRA?

MEDIO ORIENTE. SI PREPARA LA GUERRA?

Avigdor Lieberman

Avigdor Lieberman

Una lucida analisi della situazione attuale in Medio Oriente. Situazione indubbiamente molto pericolosa che può precludere a un nuovo conflitto nell’area.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

1.  L’operazione “Blue Flag 2017”

Israele si addestra a una guerra contro l’Iran insieme agli aerei di Stati Uniti, Italia e Germania nell’Operazione “Blue Flag 2017”.

La sera del 15 novembre un jet israeliano si alza in volo durante le esercitazioni congiunte con USA, Germania, Francia, Italia, Polonia, India e Grecia nel deserto del Negev.

Per la prima volta, l’aeronautica israeliana organizza apertamente esercitazioni aeree con Paesi alleati e aperte anche ad altri sette Paesi, tutti organizzati a simulare un’eventuale guerra contro Hezb’Allah e Iran in cui potenzialmente potrebbero intervenire anche i caccia dell’aviazione russa.

Nella base aerea di Uvda, nel deserto del Negev, fino al 16 novembre sono state schierate decine di aerei di Stati Uniti, Italia, Francia, Germania, Grecia, Polonia e India, la superpotenza asiatica è divenuta un altro alleato militare a Sud del colosso saudita. Più dell’importanza militare della “Blue Flag 2017”, è il carattere politico dell’operazione che risalta. Sino al giorno precedente, Israele ha condotto esercitazioni militari soprattutto con gli Stati Uniti. Nel settore aeronautico anche l’Italia è stata un partner importante: jet israeliani spesso hanno volato in Sardegna, per addestrarsi nel poligono sardo di Decimomannu.

Altra novità è che quest’anno le esercitazioni non sono state tenute segrete, al contrario l’ufficio stampa di “IDF” (Israeli Defence Forces) ha aperto ai giornalisti la base. Un uso “politico” dell’esercitazione – le minacce anti Iran riguardano anche il Libano – non riduce la sostanza militare: quaranta aerei stranieri e trenta jet israeliani, formazioni contrapposte con simulazioni impostate dagli americani.

Tutta quest’attività segnala che governi di diversi Paesi hanno deciso di dare luce verde a qualcosa che in passato non era mai stato fatto, almeno in Italia, per non apparire sbilanciati a favore di Israele contro i Paesi arabi. Se l’Italia in segreto si è sempre esercitata con Israele (perfino nel settore dei sommergibili), la Francia, filo-araba, partecipa per la prima volta. In conseguenza, ora i problemi saranno con Iran e Libano.

L’altra faccia della medaglia conferma che il clima in tutto il Medio Oriente sta peggiorando. Da quando l’Iran è avanzato in Siria fino ad arrivare ai confini con Israele e da quando l’Arabia Saudita ha iniziato a reagire con qualche azzardo, come Yemen e Qatar, le prospettive di soluzioni politiche si riducono e una nuova guerra in Libano fra Israele e Hezb’ Allah diventa inevitabile.

2. La preparazione del conflitto.

Combattere l’“influenza maligna dell’Iran” e “ottimismo nella regione” per il raggiungimento della pace tra israeliani e palestinesi. Questo in sintesi, il risultato del terzo incontro ufficiale tra il presidente USA, Donald Trump e il premier israeliano, Benjamin Netanyahu.

Il vertice fra i due leader, tenutosi a New York il giorno prima dell’apertura dei lavori dell’Assemblea Generale dell’ONU, era stato anticipato da Trump alla stampa in cui il presidente aveva espresso il suo ottimismo verso la risoluzione del conflitto israelo-palestinese.

La realtà dei fatti è ben diversa: come prevedibile, infatti, il dramma palestinese è stato marginale nel loro incontro perché i due si sono limitati a ripetere il solito ritornello: “continuare gli sforzi per raggiungere un accordo di pace permanente tra israeliani e palestinesi esprimendo “ottimismo” per la possibilità che la pace possa nascere dall’ ’”espansione delle opportunità economiche”.

Così liquidata velocemente la causa palestinese, sono poi passati al vero tema: “il pericolo” Iran. Gli USA sono impegnati a difendere la loro sicurezza e quella degli israeliani da iraniani e siriani”. “Le due parti – recita il comunicato – hanno discusso della loro continua cooperazione in una serie di campi e sottolineato come i loro obiettivi siano contrastare l’influenza maligna iraniana nella regione e risolvere la crisi siriana secondo gli interessi americani e israeliani”.

Netanyahu rivela alla stampa che l’amministrazione americana vuole modificare l’accordo sul nucleare iraniano:” Gli americani hanno cambiato il loro approccio verso l’Iran. Noi consideriamo come gli israeliani che l’intesa con l’Iran sia terribile. C’è un interesse reale da parte statunitense a risolvere i problemi dell’accordo… tra questi quello più grande non è se l’Iran viola l’accordo, ma se lo rispetta. A breve, gli iraniani avranno accesso all’arricchimento dell’uranio su scala industriale e potranno costruire un arsenale di bombe atomiche”.

La posizione fortemente anti-iraniana di Netanyahu raccoglie ampi consensi in Israele. L’ultimo a ribadirlo è il capo del Mossad, Yossi Cohen: “L’Iran è il Nord Corea di ieri (il riferimento è al lancio missilistico del 18 settembre scorso) per cui dobbiamo agire ora così da non svegliarci con la bomba nucleare iraniana”. Cohen è convinto che bisogna abbandonare la posizione prudente di altri ufficiali israeliani che invece chiedono a Tel Aviv di non spingere Washington a una nuova “avventura mediorientale visto quanto è accaduto oltre 10 anni addietro in Iraq e le sue inesistenti armi di distruzione di massa”.

Intanto, da Gerusalemme, dove il 18 settembre scorso, a una cerimonia per un nuovo campus dell’esercito israeliano, fa eco al premier il suo ministro Avigdor Lieberman: “il leader di Yisrael Beitenu ha detto che Israele è più preparato che mai a un futuro conflitto militare, ma deve continuare a migliorarsi per rispondere alle crescenti minacce regionali”. Dichiarazioni in risposta a quelle pronunciate poco prima dal capo di Stato Maggiore dell’esercito iraniano secondo cui “Haifa e Tel Aviv saranno rase al suolo se il regime sionista fa una mossa sbagliata”.

3. Torna l’Asse del Male.

Corea e Iran sono i supercattivi per George W. Bush nel 2001, assieme all’Iraq. In quindici anni e due presidenti dopo, nello scorso settembre, torna l’Asse del Male, edizione Trump, con l’Iraq spianato dalle bombe USA e dalla fanteria ISIS, mentre l’Iran esegue un test del nuovo missile balistico Khorramshahr, con un raggio d’azione di 2.000 kilometri. La Corea traballa per un terremoto e il mondo trema per una nuova bomba atomica.

L’Asse del Male è l’invenzione di George W. Busch nella sua caccia al terrorismo internazionale dopo l’11 settembre del 2001. Ne nacquero due guerre a perdere, Afghanistan e Iraq, mentre sono rimasti in campo Corea del Nord e Iran.

Nei giorni scorsi, Trump insulta personalmente il presidente coreano, minaccia di spianare il Paese e preavverte il mondo che sul nucleare iraniano nulla gli importa del parere contrario degli alleati e che vuole punire i nemici Ayatollah per difendere Arabia Saudita e Israele.

In realtà, l’Iran testa il missile per due motivi: dimostrare che certe prepotenze non sono gradite e arricchire la parata militare a Teheran per commemorare la guerra scatenata dall’Iraq – su richiesta americana – durata dal 1980 al 1988.

La televisione del Paese manda in onda le immagini del lancio mentre il presidente Rohani annunciava l’intenzione dell’Iran di rafforzare le sue capacità militari. Una risposta evidente a Trump, che ha rimesso in discussione l’accordo sul nucleare con Teheran, da lui definito “imbarazzante” e ha imposto nuove sanzioni all’Iran proprio per via del programma missilistico.

“Il nostro potere militare non è progettato per attaccare altri Paesi” aveva detto Rohani all’Assemblea delle Nazioni Unite. E’ un problema vero per Stati Uniti e alleati mediorientali l’appoggio dell’Iran al regime siriano, agli islamisti palestinesi e ai ribelli Houthi in Yemen e contro Arabia saudita e Israele.

Per quanto concerne la Corea del Nord, la scossa sismica di magnitudo 3,4, che fa tremare il mondo che teme una nuova bomba atomica in risposta agli insulti rivolti al “leader massimo” dal collega USA.

Secondo fonti attendibili, il terremoto sarebbe invece di origine naturale, mentre secondo i sudcoreani il terremoto potrebbe essere anche effetto di un crollo del terreno e delle strutture del sito di prova.

L”USG” (United States Geological Survey) si limita a costatare che “il sisma è avvenuto nell’area del test del 3 settembre scorso, a una ventina di chilometri di” distanza”, ma afferma pure che “questa volta non possiamo confermare con certezza la causa (naturale o artificiale”) della scossa”.

L’evento comunque accadeva mentre in Alabama Trump definiva Kim Jong-un “Piccolo pazzo”, dopo averlo chiamato “uomo missile in missione suicida” all’ONU. Il nuovo affondo del presidente statunitense rischia di acuire ulteriormente la tensione tra USA e Corea del Nord, all’indomani della minaccia lanciata da Pyogyang di fare esplodere un ordigno esplosivo nel mar del Pacifico.

4. La posizione iraniana

Hassan Rohani punta su un “ruolo costruttivo” dell’Europa per accrescere l’isolamento di Donald Trump, che non ha certificato l’accordo sul programma nucleare iraniano e le nuove sanzioni decise da Washington potrebbero presto moltiplicarsi.

Non è da escludere inoltre l’adesione di altri Paesi a una politica più rigida nei confronti della produzione militare convenzionale con l’Iran, missili balistici in testa. Ne sono consapevoli Israele e Arabia Saudita che, al contrario dell’Europa, hanno accolto con grande favore la mossa anti-Iran dell’amministrazione USA.

Teheran si muove con cautela perché vuole proteggere un accordo costato negoziati estenuanti e che ha permesso la fine delle sanzioni internazionali e la ripresa delle relazioni economiche e politiche tra l’Iran e il mondo. Rohani e il suo entourage sanno che rispondere con il pugno di ferro al passo fatto da Trump significherebbe fare il gioco dell’avversario e condannare a morte l’accordo. Per questo il presidente iraniano ha ribadito la volontà del suo Paese di rispettare l’intesa e ha lanciato segnali rassicuranti all’Europa.

L’intervento immediato a difesa dell’accordo fatto dalla rappresentante della politica estera dell’EU, Federica Mogherini, è stato molto importante a Teheran che l’ha accolto con soddisfazione. I leader iraniani però chiedono qualcosa di più di semplici dichiarazioni. In sostanza si aspettano che i Paesi europei rafforzino le relazioni economiche e politiche con Teheran, che facciano passi concreti per revocare le rimanenti sanzioni contro l’Iran e che prendano più apertamente le distanze da Trump.

Trump ha fornito altre munizioni a chi in Iran non ha mai voluto e creduto nell’accordo e la posizione di Rohani, che di quella intesa è stato uno degli artefici, si è fatta delicata.

La firma nel 2015 dell’accordo aveva alimentato, sull’onda delle promesse di Rohani, parecchio entusiasmo tra gli iraniani. La fine delle sanzioni internazionali era stata presentata come l’inizio di una ripresa economica vertiginosa. I programmi di sviluppo però sono stati realizzati solo in parte e gli investimenti internazionali se da un lato sono stati significativi, dall’altro sono rimasti sotto le aspettative. Ora l’accordo è attaccato e gli USA impongono nuove sanzioni.

Il siluro sganciato da Trump non avrà affondato Rohani ma l’ha messo in una posizione più precaria, più difficile. E quando, come si prevede nei prossimi mesi, gli USA approveranno altre sanzioni e misure punitive contro l’Iran, diventerà fondamentale il giudizio della Guida Suprema Alì Khamenei. Il suo sostegno alla linea morbida di Rohani potrebbe non essere più così scontato.

5. L’obiettivo Iran è dichiarato

Hezb’Allah il 21 ottobre avrebbe colpito intenzionalmente con cinque razzi il versante occidentale del Golan siriano, occupato da Israele.

Lo sostiene il ministro della difesa israeliano Avigdor Lieberman. “il fuoco lungo la frontiera è stato ordinato dal leader Hezb’Allah, Hassan Nasrallah” tuona Lieberman durante una riunione del suo partito, aggiungendo che Israele ritiene responsabile dell’attacco il presidente siriano Bashir Assad. In realtà non è facile conoscere la dinamica di quanto accaduto.

In ogni caso conta l’escalation di attacchi e rappresaglie tra Israele, Siria ed Hezb’Allah, presente con migliaia di combattenti in Siria a sostegno dell’esercito governativo impegnato contro le organizzazioni jihadiste e qaediste che controllano ancora porzioni del Paese.

Dopo i razzi caduti nel Golan, Israele ha distrutto tre automezzi dell’artiglieria siriana e il 16 ottobre aveva colpito una batteria anti-aerea nei pressi di Damasco che aveva sparato un missile SA5 contro alcuni caccia israeliani che avevano violato lo spazio aereo siriano e albanese.

Secondo Tel Aviv gli aerei erano in missione di ricognizione e sarebbero tornati indenni alla base. La versione siriana e di Hezb’Allah è opposta: i caccia intendevano bombardare obiettivi in Siria ma hanno incontrato un’inedita e pronta reazione della difesa anti-aerea, migliorata negli ultimi mesi grazie all’aiuto iraniano. Difficile trovare un punto d’incontro tra queste due versioni.

E’ certo però che, quando ci sarà il conflitto, coinvolgerà oltre il Libano, anche la Siria, come lo stesso Lieberman aveva affermato pochi giorni addietro parlando di “un fronte unico”.

Il governo Netanyahu e un importante ex generale, Amos Yadlin, ora analista militare, sostengono che il presidente Bashir Assad, forte dei successi militari ottenuti contro i nemici interni, appoggiato da Iran e Russia, si sarebbe fatto più “intraprendente”, quindi più pronto a rispondere militarmente ai raid aerei israeliani.

Per Israele perciò il vero obiettivo è l’Iran, al quale, l’ha detto qualche giorno addietro il premier Netanyahu al ministro degli esteri russo, Shaigu, non intende consentire una presenza a ridosso del Golan e più in generale in Siria.

Per ora Tel Aviv fa pressione su Mosca affinché costringa Teheran a farsi da parte. Entro breve tempo l’intero Medio Oriente sarà vittima di altre guerre.

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