LIBANO. QUALE FUTURO ?

LIBANO. QUALE FUTURO ?

Saad Hariri con la moglie Laura

Saad Hariri (al centro) con la moglie Laura

E’ ormai chiaro che la politica dell’Arabia saudita è rivolta a contrastare l’influenza sciita iraniana in Medio Oriente, in particolare in Libano, che finora è riuscito a trovare un instabile ma necessario equilibrio. Segue un’analisi molto chiara di quello che sta avvenendo in quella regione con le dimissioni del Primo Ministro libanese Saad Hariri.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

1.FINE DELLA STABILITA’ DEL LIBANO

La stabilità in Libano è durata solo un anno. Due giorni dopo l’incontro con la stampa e il bilancio sul primo anno di presidenza della Repubblica da parte di Michel Aoun, il primo ministro Saad Hariri annuncia dall’Arabia Saudita le dimissioni con un comunicato televisivo dall’emittente Al Arabya.

Come già riferito, il motivo ufficiale sarebbe un clima di tensione simile a quello che portò all’assassinio del padre, Rafiq Hariri, nel 2005 con una situazione politica resa più complicata dall’egemonia politica di Hezb’Hallah.

Ma le motivazioni potrebbero essere diverse. Secondo quasi tutta la stampa libanese, da quella più progressista (As-Safir) a quella più conservatrice (L’Orient le jour), il premier sunnita sarebbe stato costretto da Mohammed Bin Salman e dal ministro degli affari del Golfo, Thamer Sahban, a una scelta: dimissioni o arresto.

Come di consueto, il primo esponente politico a intervenire è il segretario generale di Hezb’Allah, Sayyed Hassan Nasrallah, che definisce poco chiare le motivazioni di Hariri, che, secondo lui, sono state “forzate” e non spontanee, anche perché avvenute in Arabia Saudita e non in patria.

Nasrallah aggiunge che si tratta della continuazione di una strategia del terrore portata avanti da Tel Aviv, principale alleato dei sauditi, e riguarda la continua frustrazione saudita di fronte alle cocenti sconfitte in Siria, Irak e Yemen, concludendo: “sappiamo bene quale può essere la strategia arrogante di Riyadh e Tel Aviv, ma invito tutti ad aspettare il rientro di Hariri per capire le motivazioni e trovare soluzioni”.

Nasrallah nega poi con forza il coinvolgimento di Hezb’Allah nell’attacco con il missile – iraniano, secondo americani e sauditi – lanciato nei giorni scorsi dai ribelli sciiti Ansarullah (Houthi) dallo Yemen e intercettato da Riyadh. “L’Iran – ammette il leader del movimento sciita – ha un’influenza in Libano, ma a differenza di Riyadh, non si mescola negli affari libanesi imponendo la nomina del primo ministro, organizzando le elezioni e stabilendo a chi assegnare “le licenze per lo sfruttamento delle risorse energetiche” .

Principalmente, Nasrallah solleva un interrogativo centrale sull’obiettivo delle manovre nella regione dal 32 enne principe ereditario saudita Mohammad Bin Salman, ormai al comando effettivo del Regno. Riyadh, afferma il leader di Hezb’Allah, vuole che Israele scateni una guerra contro il Libano, aggiungendo che “la guerra dell’estate 2006 è avvenuta su richiesta dell’Arabia Saudita”.

“L’Arabia Saudita sta fomentando lo scontro fra i libanesi, incita i Paesi arabi ad adottare misure contro il Libano ed esorta anche altri Paesi, ma quello che è più pericoloso è che istiga Israele a colpire il Libano”, aggiunge ancora Nasrallah, “perché non può affrontare l’Iran”.

2.ANALISI ISRAELIANA

Paradossalmente, è il quotidiano israeliano Haaretz a pubblicare una lunga analisi di Hamos Harel il quale scrive che Riyadh sta cercando di spostare il campo di battaglia con l’Iran dalla Siria al Libano e innescare una reazione a catena. All’origine c’è la vittoria militare di Damasco contro gli jihadisti, ribelli finanziati e armati da sauditi, qatarioti, turchi e governi occidentali.

La pianificazione dell’escalation però potrebbe essere stata comune, ipotizza la rivista americana Foreign Policy, sottolineando gli stretti legami fra il presidente USA, il premier israeliano Netanyahu e Mohammed Bin Salman, allo scopo di mettere l’Iran nell’angolo.

Che il pericolo di una guerra si sia fatto più concreto lo segnala anche il Segretario Generale dell’ONU, Antonio Guterres: “Ritengo essenziale che nella regione non scoppino nuovi conflitti perché potrebbero esserci conseguenze devastanti”, e invece va preservata l’unità e la stabilità del Libano.

Inoltre, non è chiaro se il presidente francese, Emmanuel Macron, sia andato a Riyadh anche per convincere il principe ereditario a lasciar partire Saad Hariri, che secondo i libanesi, sarebbe agli arresti domiciliari perché coinvolto nella retata che ha visto finire in manette centinaia tra principi, ministri, dignitari e uomini d’affari. Il portale Middle East Eye riferisce che alcuni degli arrestati sarebbero stati torturati.

Hariri sarebbe libero di muoversi, afferma il ministro degli esteri francese, Jean-Yves Le Drian, ma a Beirut crescono ansia e rabbia. La stessa famiglia Hariri, pur essendo legata a doppio filo a Riyadh, vuole il suo rientro. Hariri, comunque incontra vari ambasciatori nella sua residenza, tra i quali quello italiano, ma resta ancora a Riyadh. Lo stesso presidente Aoun dichiara di non accettare le sue dimissioni fino a quando “ non verranno presentate di persona da Hariri in territorio libanese” e giudica molto gravi le accuse di un possibile attentato, smentite categoricamente da tutti gli apparati di sicurezza libanesi”.

3.NUOVO INTERVENTO DI SAAD HARIRI

Riprende a parlare Hariri: “… nel regno saudita sono libero. Ho libertà completa ma voglio proteggere la mia famiglia. Tornerò in Libano fra pochi giorni e formalizzerò le mie dimissioni”. Poi aggiunge, usando la narrativa saudita, “…Una marcia indietro rispetto alle dimissioni è possibile nel caso in cui le forze politiche rispetteranno una politica di auto-esclusione dai conflitti regionali, evitando di coinvolgere il Paese nelle guerre vicine”.

Ovvio il riferimento a Hezb’Allah, nonostante gli undici mesi di governo comune e di convivenza e divisione dei poteri non solo con il movimento sciita ma anche con il presidente Aoun, legato al gruppo di Nasrallah.

Ancora, il presidente Aoun reagisce alla parole di Hariri, insistendo sullo status di “prigioniero” del primo ministro: “Hariri vive in circostanze misteriose in Arabia saudita con Riyadh che ne limita la libertà e impone condizioni sulla sua residenza e sui contatti con i membri della sua famiglia”.

Il presidente libanese torna a chiedere ai sauditi di chiarire le condizioni di Hariri, che preoccupa tutto il popolo libanese, per lo più convinto chelo status del premier non sia affatto cristallino come lui prova a far passare. In merito, una parziale conferma arriva da una fonte vicina allo stesso Hariri, che, parlando con la Reuters, afferma che il premier si è dimesso contro la sua volontà costretto dai Saud. Aggiungono altre fonti, che il piano saudita potrebbe essere quello di sostituire Saad con il fratello più grance, Bahaa.

Intanto, la Lega Araba, il 12 novembre, decide di tenere un meeting d’urgenza dei ministri degli esteri fra una settimana per discutere “gli strumenti per controllare l’interferenza iraniana nei Paesi arabi”. La visione saudita, dunque, si fa strada, palesemente rivolta a generare il caos in una regione già martoriata da conflitti bellici e scontri ben poco latenti, la politica di Riyadh prova a rivoluzionare l’attuale “equilibrio” provocando terremoti politici tra i Paesi e all’interno degli stessi.

Il Libano rischia molto: l’attuale governo è stato frutto di una lunghissima negoziazione, giunta dopo due anni di discussioni tra le varie forze politiche e che ha condotto a un governo di unità nazionale, sostenuto anche da Hezb’Allah.

Con grande difficoltà, Beirut è riuscita a non farsi coinvolgere dalle guerre regionali che stanno distruggendo i Paesi vicini; ha accolto milioni di profughi siriani, che oggi vivono in condizioni di estrema difficoltà nei campus e nelle città libanesi; ha visto crescere il ruolo militare di Hezb’Allah in Siria; ha subìto attacchi da parte di Daesh e dei qaeddisti di Al-Nursa al confine con la Siria, ma ha evitato che le tensioni dei vicini si trasferissero nel Paese e si traducessero in un conflitto interno devastante.

Ora, l’Arabia Saudita, tramite Hariri, prova a mettere nell’angolo Hezb’Allah, costringendolo a un passo indietro o a una rottura definitiva. Una scelta che ricadrebbe sulle spalle dell’Iran, al momento la potenza più forte sul piano militare e su quello politico nella regione, con buona pace di Riyadh che raccoglie i cocci del suo bellicismo in Yemen, Siria e anche Qatar, destabilizzando il Paese.

4.L’INCONTRO DI HARIRI CON ALI’ AKBAR VELAYATI.

Prima che Hariri annunciasse le sue dimissioni, aveva appena incontrato Alì Akbar Velayati, il consigliere per gli affari esteri della Guida Suprema iraniana. Nonostante la difficoltà a guidare un governo di coalizione nazionale in un Pase di tanti gruppi settari e interessi, Hariri era desideroso di mantenere il necessario livello di coesione tra le varie fazioni del suo governo.

L’affermazione, secondo la quale Hariri avrebbe scoperto un piano per attentare alla sua vita pochi giorni prima e che questa scoperta lo abbia spinto subito lasciare il Paese e ad annunciare le dimissioni non appare molto logica.

Se sapeva del tentativo di omicidio – nel quale il leader libanese sunnita ha implicato Hezb’Allah e gli iraniani – perché ha incontrato Velayati e gli ha annunciato l’intenzione di andare nella città egiziana di Sharm el Sheikh per partecipare a una conferenza internazionale giovanile? Al contrario, Hariri è subito partito per Riyadh da dove, invece che dal suo ufficio ha rilasciato un discorso fumoso diretto al popolo libanese con il quale annunciava le dimissioni.

E’ molto più probabile, invece, che Hariri, sia stato convocato dai sauditi la sera del 3 novembre e che sia stato il suo alleato saudita a costringerlo a lasciare. Dunque, che significa il passo di Hariri?

Il Libano si trova in mezzo a numerose crisi sovrapposte. Eppure, Hariri non ha nascosto, nel suo breve comunicato, che la principale ragione dietro le dimissioni era la crescente influenza di Hezb’Allah in Libano e il suo dominio sul processo decisionale libanese, da una parte, e la politica espansionista iraniana nel contesto arabo, a partire da Libano e Siria, dall’altra.

In altre parole, Hariri voleva mandare un messaggio attraverso le sue dimissioni ai suoi amici e ai suoi nemici, o in altre parole che era determinato ad allinearsi con le forze anti-iraniane nella regione. Tuttavia, non avrebbe compiuto questo passo se non fosse stato assolutamente certo che gli alleati sauditi hanno intenzione di imbarcarsi in un confronto con l’Iran in Libano. Ed è questo il cuore della questione.

Un anno fa, la posizione regionale dell’Arabia Saudita non era il massimo. Questi spiega perché Hariri ha accettato un accordo di condivisione del potere in Libano con Aoun. Da un lato i sauditi avevano completamente perso la speranza che gli USA, sotto l’amministrazione Obama, avrebbero giocato un ruolo più attivo nel controbattere all’espansionismo iraniano. Dall’altra, era diventato ovvio che la guerra in Yemen aveva fallito il raggiungimento dei principali obiettivi: sia Egitto che Pakistan hanno rifiutato di fornire assistenza tangibile agli alleati sauditi.

Oggi sembra che i sauditi siano maggiormente fiduciosi sul ruolo statunitense, specialmente dopo che Washington ha dato il via a una serie di misure per etichettare Hezb’Allah organizzazione terroristica. Inoltre, il presidente parla continuamente della sua contrarietà all’accordo sul nucleare con l’Iran re il Congresso ha votato per imporre un altro pacchetto di sanzioni a Teheran.

Oltre a questo, e nonostante le smentite saudite, pare che sia stato raggiunto un accordo tra i Saud e Israele contro l’Iran e i suoi alleati nella regione.

Sicuramente incitati dagli americani, i sauditi hanno preso decisioni negli ultimi mesi per costruire legami maggiori con l’Iraq nell’idea che il primo ministro iracheno, al-Abadi, possa emergere come leader nazionalista e lavorare per respingere l’influenza iraniana sull’Iraq. Segnali simili sono stati mandati a Mosca e Damasco, con la promessa che Riyadh si sarebbe preparata ad adottare una politica diversa, vis-à-vis, con il governo siriano una volta che Iran e milizie affiliate siano usciti dalla Siria.

5.ANALISI DELLA POSIZIONE SAUDITA

Eppure, niente di tutto ciò – dopo il fallimento dell’Arabia Saudita in Yemen – significherà che Riyadh otterrà risultati migliori in Libano. E’ difficile immaginare il successo di un’avventura saudita in Libano senza che si presentino certe condizioni.

Una nuova convergenza politica? Il Libano assisterà a una convergenza politica diversa da quella attuale? Le Forze maronite, insieme alla maggioranza di drusi e sunniti, si uniranno al campo saudita? E i Paesi del Golfo e l’Egitto saranno a fianco dell’Arabia Saudita?

In Yemen gli Emirati Arabi hanno adottato una politica che serve i loro interessi e hanno fatto lo stesso con la crisi siriana. Nonostante abbiano pubblicamente dichiarato sostegno all’Arabia Saudita, gli Emirati hanno mantenuto rapporti normali con l’Iran. E mentre al-Sisi dall’Egitto rifiutava di prendere parte alla guerra in Yemen, esercitava anche ogni possibile sforzo per mantenere il regime di Assad al potere. Nel frattempo, al-Sisi ha aperto le linee di comunicazione con gli iraniani.

Alla fine, la questione più importante ha a che fare con quanto i sauditi siano pronti a impegnarsi in una guerra lunga e stancante in Libano e se siano preparati a sopportare il costo umano e finanziario di tale guerra. Fin dalla metà degli anni ’80 l’Iran ha investito decine di miliardi di dollari nel rafforzamento di Hezb’Allah e nella costruzione delle sue capacità militari e della sua base popolare.

Non importa quanto l’amministrazione Trump sosterrà l’Arabia Saudita, gli americani non sembrano preparati a una guerra con l’Iran. Il massimo che Washington è intenzionata a fare è supportare i rivali dell’Iran che decideranno di confrontarlo.

Se l’attuale leadership saudita pensa di poter confidare su Israele, quel che è certo è che le opinioni pubbliche arabe e in particolare quella sunnita non appoggeranno una guerra di Israele al Libano, che probabilmente risulterebbe in centinaia se non migliaia di morti e la distruzione della città e delle infrastrutture libanesi, Inoltre, una guerra israeliana non aiuterà a far cadere Hezb’Allah né ad erodere la sua influenza e il suo ruolo.

In altri termini, le dimissioni di Hariri potrebbero essere il preludio dello scoppio di un altro confronto tra sauditi e iraniani. Tuttavia, è chiaro che non è stata fatta alcuna valutazione del conflitto e delle sue ripercussioni.

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Il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman

Il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman

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