FRAGILITÀ’ DEL LIBANO e POLITICA SAUDITA

FRAGILITÀ’ DEL LIBANO e POLITICA SAUDITA

Il Mausoleo di Rafik Hariri e degli uomini morti con lui nell'attentato a Beirut (©firuzeh)

Il Mausoleo di Rafik Hariri e degli uomini morti con lui nell’attentato, a Beirut (©firuzeh)

Qualche interessante elemento per comprendere le dimissioni di Said Hariri annunciate in Arabia Saudita, la forza di Hebz’Allah in Libano e quel che si sta scatenando in Arabia Saudita in questi giorni….

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

  1. Dopo tre anni di contrapposizioni fra i due più forti schieramenti (movimento “14 Marzo” sunnita, filo saudita e filo occidentale, in lotta contro il movimento “8 Marzo”, filo siriano ed Hezb’Hallah, entrambi sciiti) l’ elezione di Aoun sancisce la sconfitta di Hariri e dell’asse rappresentato dagli sponsor del leader sunnita: USA, Francia e Arabia Saudita.

L’elezione del presidente Aoun, sostenuto da Hezb’Allah dimostra l’affermazione politica del partito sciita e del suo generale, Sayyed Hassan Nasrallah, indefesso mediatore nei lunghi anni di stallo politico del Paese.

Il presidente Aoun indica i principali risultati ottenuti:

  • definitiva scomparsa di qualsiasi focolaio jihadista dal Paese dei cedri;
  • impegno per una soluzione del conflitto siriano che preveda il rientro del milione di profughi siriani ospitati all’interno dello Stato libanese;
  • riforma fiscale con la presentazione del primo bilancio dopo 12 anni;
  • prossima riforma della legge elettorale “ormai obsoleta e aliena dall’odierna realtà del Libano”.

Questi risultati aumentano progressivamente negli ultimi mesi le pressioni degli USA e dei suoi principali alleati areali: Israele e Arabia Saudita.

Il presidente americano Donald Trump annuncia una minaccia terroristica sul territorio americano – definita da molte testate statunitensi, a partire dal quotidiano New York Times, “pura follia” – che però non gli impedisce di far adottare numerose misure restrittive contro Hezb’Allah, in chiave anti-iraniana.

In breve: la prima misura imporrà limitazioni alle banche che finanziano Hezb’Allah; la seconda condanna sia l’Iran che la milizia libanese per (asserito) utilizzo di civili come “scudi umani” nell’ambito del conflitto siriano, in cui Iran ed Hezb’Allah sostengono il regime siriano del presidente Bashar al- Assad; la terza esorta l’Unione Europea ad inserire Hezb’Allah nella lista delle organizzazioni terroristiche.

Dal loro canto, Tel Aviv continua la sua campagna di provocazioni ed esercitazioni militari lungo il confine libanese e l’Arabia Saudita intavola una serie di azioni volte a destabilizzare il governo di Beirut.

In merito, il quotidiano libanese Al- Akhbar il 30 ottobre scorso riporta la notizia della visita del premier libanese Saad Hariri, definita come “una vera e propria violazione dei princìpi diplomatici” per i tentativi dei Saud di imporre i suoi diktat verso Beirut per riaccendere le divisioni fra i due schieramenti politici in Libano.

Lo stesso quotidiano aggiunge che il ministro degli affari del Golfo, Thamer al Sabhan, abbia richiesto a Hariri di “dimettersi dalla guida del governo per aprire una nuova crisi” in cambio di un rinnovato sostegno economico allo schieramento anti-Hezb’Allah. Una richiesta che porterebbe il vecchio pupillo dei sauditi a tornare indietro sui suoi passi dopo il decisivo sostegno del suo partito, il “Mustaqbal”, per l’elezione del presidente Aoun e la sua nomina a primo ministro del governo.

Scelta che sarebbe fatta con l’obiettivo di dichiarare di “agire per il bene del Libano e di tutti i libanesi”, ma soprattutto per recuperare consensi dopo la recente sconfitta delle elezioni amministrative del 2016.

Ufficialmente, la risposta di Hariri, arrivata attraverso il portavoce del partito, Nedar Hariri, assicura “di voler mantenere l’accordo politico con il presidente della Repubblica Aoun e di continuare a sostenere il governo di unità nazionale”.

  1. Questo quadro rassicurante crolla in pochi giorni.

Nella sua seconda visita in una settimana in Arabia Saudita (30 ottobre), a Riyadh al dichiarato fine di “rafforzare la stabilità del Libano e i legami con il Paese del Golfo”, Hariri cambia tutto: “Annuncio le mie dimissioni dal ruolo di primo ministro” dichiara a Riyadh, suscitando la sorpresa generale. Dichiara di temere di essere assassinato e accusa il movimento sciita libanese Hezb’Allah e l’Iran “di soffocare il Libano”. Nel suo discorso, sostiene che l’atmosfera nel Paese è simile a quella che esisteva prima che il padre, il primo ministro Rafik Hariri, fosse assassinato nel 2005. “Viviamo in un clima simile all’atmosfera prevalsa prima dell’assassinio del martire Rafik Hariri”, precisando di avere le prove di un complotto per attentare alla sua vita.

“Il braccio dell’Iran nella regione ha usato il suo potere delle armi per imporre un fatto compiuto… “La regione sarà tolta dalle grinfie di Teheran. Voglio dire all’Iran e ai suoi accoliti che sono perdenti”, aggiunge l’ex premier libanese Saad Hariri.

Contestualmente, arrivano gli attacchi di Riyadh. Il ministro saudita degli affari del Golfo, Thamer al Sabhan, dichiara su tweet, riferendosi all’Iran “le mani del tradimento e dell’aggressività devono essere tagliate”.

Sahban, lo scorso mese di ottobre, si reca con i generali americani, a visitare Raqqa, appena liberata dai combattenti curdi promettendo aiuti politici per la ricostruzione, ignorando il governo siriano. Successivamente, Sahban attacca Iran ed Hezb’Allah’ aggiungendo che “coloro che considerano questi tweet solo dei miei punti di vista vedranno che nei prossimi giorni accadrà qualcosa su di eccezionale”.

In effetti, è andata così. Sahban incontra il 30 ottobre Hariri, poche ore prima dell’annuncio fatto dal premier libanese Secca la replica dell’Iran: “le dimissioni di Hariri sono state pianificate con Donald Trump e Mohammed bin Salman, il principe ereditario dell’Arabia Saudita, per destabilizzare la situazione in Libano” dichiara Hussein Sheikh al Islam, consigliere della Guida Suprema Alì Khamenei.

“La ripetizione di accuse senza fondamento contro l’Iran mostra che queste dimissioni presentano un nuovo scenario per creare tensioni in Libano” aggiunge il portavoce del ministro Bahram Ghassem

Gli fa eco lo schieramento libanese 8 Marzo, guidato da Hezb’Allah: “Hariri deve rispettare il Libano, è vergognoso che abbia annunciato le dimissioni a Riyadh e non a Beirut”.

La scelta di Hariri e di Riyadh di delegittimare il Libano e i suoi partner segna il destino del governo, la debolezza del presidente Aoun, il futuro della fragile unità nazionale che negli ultimi anni ha risparmiato al Paese tante tragedie se non una nuova guerra civile.

I rischi collegati a questa nuova fase di tensione e instabilità sono sottolineati da un protagonista della storia insanguinata del Libano, leader dei drusi e del Partito socialista progressista, Walid Joumblatt: “Non è proprio il momento adatto per le dimissioni di Saad Hariri. La decisione avrà ripercussioni su tutto il Paese”.

  1. Ma la narrazione di Hariri e i suoi sodali fa sorgere consistenti dubbi: il movimento sciita è emerso vincitore dalla guerra in Siria combattuta dalla parte del presidente Assad e dentro il governo libanese, il capo dello Stato Michel Aoun è suo alleato, la sua influenza è enorme e nessun avversario politico può mettere in discussione il ruolo della sua milizia che presenta un quadro favorevole. Quindi, per quale ragione Hezb’Hallah avrebbe dovuto organizzare un attentato per assassinare Saad Hariri, divenuto premier un anno addietro sulla base di un accordo raggiunto proprio con il movimento sciita?

Hariri racconta di un complotto ordito da Hzb’Allah per ucciderlo – secondo la TV saudita Al Arabiya – sarebbe scappato a un attentato a Beirut alcuni giorni fa – e di un clima in Libano che ricorderebbe quello in cui maturò l’assassinio del padre, Rafik, nel febbraio 2005.

Al contrario, è proprio Hariri l’incarnazione del peso che Riyadh ha nella politica libanese, viste le relazioni a doppio filo che mantiene con i sovrani Saud e la sua seconda cittadinanza saudita. Non manca però chi si schiera con il tradimento di Hariri e le richieste saudite.

E’ Samir Geagea, leader del partito della destra maronita, le Forze libanesi, già detenuto per essere corresponsabile dell’orrenda strage di Sabra e Shatila. Cosa è stata quella strage? E’ necessario un breve cenno.

Il 18 settembre 1982 le milizie cristiane falangiste di Elie Hobeik entrano in quei campi di profughi palestinesi e sciiti con la complicità dell’esercito israeliano che aveva invaso il Libano dove si erano rifugiati i palestinesi, scacciati nel settembre 1970 (noto come “settembre nero”) dalla Giordania.

L’esercito israeliano mette posti di osservazione sui tetti degli edifici del campo e le Falangi finiranno il massacro dopo 2 giorni lasciando un numero di morti – compreso fra il 762 e 3.500 (altri riferiscono di 750 – 800) – tra cui teste di bambini, corpi di ragazze di 9 – 10 anni, con la testa forata e le gambe lanciate lontane, 16 persone uccise e sovrapposte uno sull’altro.

In merito, il 16 dicembre 1982, l’Assemblea generale dell’ONU condanna il massacro definendolo “un atto di genocidio “ nella Risoluzione 37/123, sezione D.

L’8 febbraio 1983, la commissione Kahan dichiara diretti responsabili le Falangi sotto la guida di Elie Hobeik e la responsabilità indiretta dei seguenti israeliani: il primo ministro Menachem Begin; il ministro della difesa Ariel Sharon; il capo di Stato maggiore dell’esercito Rafael Eitan. Inoltre, suggerisce le dimissioni di Sharon, la non conferma del direttore dell’esercito Yahoshua Saguy e la rimozione di tutti gli altri ufficiali. Elie Hobeik non è stato mai processato.

Riprendendo le dichiarazioni di Hariri, il presidente Aoun rileva che i tentativi dei sauditi rientrano nella loro azione politica di questi mesi che ”mira a creare divisioni confessionali all’interno sia del Paese del Paese dei cedri che dell’ Iraq”. Medesima decisione riguardo alle misure contro Heazb’Allah: “il partito sciita è una risorsa militare difensiva per tutta la popolazione libanese e rappresenta in quest’ottica la forza dell’unità nazionale contro la minaccia dei gruppi jihadisti e contro la politica aggressiva e colonialista israeliana… le azioni americane non avranno effetto nel Libano come i tentativi precedenti”.

  1. Come noto, gli Stati Uniti si accaniscono contro Hezb’Allah per colpire l’Iran, il loro vero obiettivo e assicurare la sicurezza di Israele. Le sanzioni finanziarie USA contro il movimento sciita alleato di Teheran, voluto dal senatore Edward Royce e approvato nei giorni scorsi, rischiano in realtà di subirle tutti i libanesi.

Il governo ormai assente dopo la defezione di Saad Hariri, teme riflessi negativi sul sistema bancario del Libano, una delle colonne portanti della disastrata economia nazionale, nonostante la recente approvazione della legge di bilancio. Di fatto, il Libano ha un rapporto debito pubblico/Pil del 148% e un deficit fiscale di 5 miliardi di dollari.

A inizio ottobre, Hariri aveva alzato le tasse e l’IVA per aumentare i salari, fermi da anni, ai dipendenti pubblici. In questa situazione le sanzioni americane contro Hezb’Allah, che risponde con la stessa moneta, si aggiungono quelli sempre più frequenti di Washington.

Gli Usa sono tornati anche a prendere di mira il presidente siriano Bashar Assad. Il segretario di Stato Tilllerson, pochi giorni addietro, rilancia lo slogan secondo cui “nel futuro della Siria non c’è posto per Assad”.

Contribuiscono a creare le condizioni per un nuovo conflitto nella regione, gli “scoop” su presunte attività di Hezb’Allah o a sostegno del movimento sciita in giro per il mondo. Uno degli ultimi riguarda l’Africa.

Secondo gli investigatori dell’Enogh Project, una ONG finanziata dall’attore George Clooney e da un sedicente attivista per i diritti umani, John Prenderdast, una banca della Repubblica Democratica del Congo avrebbe trasferito fondi a imprese legate a Hezb’Allah: si tratta della Bglfi-Bank Rdc, diretta da Francis Selemani Mtwale, il fratello adottivo del presidente Joseph Kabila. In un rapporto dal titolo eloquente “Il tesoro dei terroristi”, si parla di cinque trasferimenti di denaro operati dalla Bgfi-Bank, risalenti al 2001 e diretti a imprese legate a Kassim Tajideen, un uomo affari libanesi, ritenuto vicino a Hezb’Allah.

L’ONG chiede a Stati Uniti e Unione Europea sanzioni nei confronti dei dirigenti della banca congolese, che smentisce le accuse. Il gruppo diretto da Ahmed Tadjeen è anche accusato di aver comprato armi e munizioni per conto del presidente Kabila. Immediata la reazione del governo congolese: “Tutti i giorni vengono diffusi inchieste e rapporti di questo tipo. Ci siamo un po’ stancati” dichiara Lambert Mendè, portavoce dell’esecutivo sottolineando che “la banca non è diretta dal presidente ma da suo fratello, che non gode di alcuna immunità”.

  1. In realtà, da mesi il ministro israeliano Avigdor Lieberman prepara il terreno a un nuovo conflitto regionale e nell’ottobre scorso, accusando le Forze libanesi di essere divenute “parte integrante del movimento sciita Hezb’Allah”.

Beirut reagisce ben sapendo che l’esercito libanese, malgrado la povertà di mezzi e risorse, è emerso negli ultimi anni come un pilastro della coesione nazionale in un Paese da anni spaccato tra i sostenitori del “fronte della resistenza”, quindi di Hezb’Allah e dell’alleanza con Siria e Iran, e coloro che al contrario invocano una stretta collaborazione con USA, Francia e Occidente.

Protesta il ministro della difesa, Yaacub Sarraf, che dichiara “Il Libano farà fronte a ogni aggressione israeliana. Ci opponiamo a ogni attacco contro la nostra sovranità, specialmente da parte di Israele e del terrorismo jihadista”. Di fatto, leader politici e comandanti militari israeliani da tempo avvertono che in caso di conflitto ordineranno di colpire ovunque in Libano, anche le forze armate lasciate fuori dal conflitto del 2006.

Sarraf condanna anche le ripetute violazioni dello spazio aereo nazionale da parte dell’aviazione israeliana durante raid che compie contro obiettivi in Siria o in missione di ricognizione.

Beirut, nel settembre scorso aveva minacciato di rivolgersi all’ONU per ottenere una condanna formale di Israele. Minaccia alla quale Tel Aviv aveva reagito ordinando ai suoi piloti, in un paio di occasioni, di sorvolare le città meridionali libanesi a bassa quota seminando il panico fra le popolazioni locali.

Lieberman, da suo canto, descrive la prossima che Israele combatterà come un conflitto su “due fronti, al Nord e al Sud.. al Nord gli Hazb’Hallah e al Sud Gaza”, riferendosi al movimento islamico Hamas, che controlla (ora non più, nota A.). Una nuova guerra è sempre più vicina, fa capire Lieberman.

Infatti, sin dallo scorso settembre, ha iniziato la più grande esercitazione militare degli ultimi 20 anni, con un addestramento che dura 10 giorni durante i quali “verranno simulati scenari che potremmo incontrare nel prossimo conflitto con Hezb’Allah”.

Pacificato per ora il confine Sud con la striscia di Gaza, le attenzioni di Tel Aviv sono tutte rivolte al Nord del Paese. Particolarmente monitorata è la situazione in Siria dove la devastante guerra civile sta producendo risultati contrari alle aspettative del governo Netanyahu per la presenza sempre più consistente di gruppi filo-iraniani e di Hezb’Allah nel Sud della Siria, in prossimità del Golan occupato.

Gli sforzi compiuti in questi anni da Israele (bombardamenti contro –supposti – carichi di armi diretti ai combattenti libanesi, aiuti sanitari e militari a gruppi qaedisti siriani, come denunciato anche dall’ONU), Al Assad non solo non è caduto, ma grazie, al sostegno dei suoi alleati (Russia, Iran ed Hezb’Allah), ha ripreso lentamente la parte occidentale del Paese e continua ad avanzare lentamente nelle aree centrali e orientale della Siria.

La guerra fra Israele ed Hezb’ Allah del 2006 terminò con un accordo di “cessate- il- fuoco”, che portò con la Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza ONU, ad aumento delle truppe dell’UNIFIL da 2.000 a 10.000 e, inoltre, invitò le due parti belligeranti alla formazione di una zona cuscinetto priva di “personale armato” a Sud del fiume Litani (20 km a Nord del confine israeliano). Una settimana prima, il C.d.S. ONU aveva riconfermato il mandato ONU in Libano anche se modificato in senso anti-Hezb’Allah, prevedendo che le truppe UNIFIL “prendano tutte le misure necessarie nelle aree in cui sono dispiegate per garantirne la sicurezza”, in termine di pattugliamenti e ispezioni.

Dall’altra parte del confine sono convinti che Israele si stia preparando a uno scontro ampio, volto a colpire prima di tutto l’Iran o almeno la sua presenza in Siria.

All’inizio dello scorso ottobre, il segretario generale di Hezb’Allah, Sayyed Hassan Nasrallah ammonisce Israele dal pianificare un nuovo conflitto: “L’attuale governo israeliano, presieduto da Natanyahu, conduce i suoi cittadini a morte e distruzione –avverte – Posso affermare che (gli israeliani, nota di scrivente) non hanno un’idea precisa di ciò che li attende se intraprenderanno questa stupida guerra”.

Ora la difficile posizione del Libano è precipitata.

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Il principe ereditario dell'Arabia Saudita Mohammed bin Salman

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