MOQTADA AL SADR E IL SUO RUOLO IN MEDIO ORIENTE.

MOQTADA AL SADR E IL SUO RUOLO IN MEDIO ORIENTE.

Moqtada al Sadr (PHOTO/HAIDAR HAMDANI)

Moqtada al Sadr
(Ph. Haidar Hamdani)

Un saggio, più che un articolo, sulla figura di un personaggio importante nel Medio Oriente, poco conosciuto dai media italiani, se non dagli specialisti del settore.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

(articolo redatto con la collaborazione di Maria Gabriella Pasqualini)

Il primo agosto 2017 Moqtada al Sadr ha incontrato a Riyad il principe ereditario saudita Mohammed ibn Salman. E’ stato un incontro storico per i due personaggi che decidono di lavorare insieme per migliorare le relazioni anche commerciali fra Iraq e Arabia Saudita, che promette l’apertura di un consolato saudita a Najaf. Tanto che il principe saudita si dichiara disponibile a versare nelle casse del governo di Baghdad 10 milioni di dollari per aiutare gli sfollati interni dell’Iraq.

Le origini di Moqtada al Sadr

Per meglio comprendere lo spessore politico di Moktada al Sadr occorre iniziare da Musa al-Sadr, nato in Iran a Qom nel 1928 da una famiglia di esponenti religiosi sciiti provenienti dalla regione del Jabal Amil, nel sud del Libano.

Con la fine dello shah Reza Pahlavi e la nascita nel 1979 della repubblica islamica dell’imam Khomeini, Qom diventò il centro dello sciismo, della religione e dell’ ideologia. Per secoli lo sciismo predominante era quello della corrente quietista del maestro di Khomeini, l’ayatollah Abdulkarim Haeri, la cui convinzione era: ”I religiosi devono tenersi fuori dalla politica”.

Su questa base si fondava Qom ma quando diventò Ayatollah, Khomeini diede inizio a un percorso totalmente opposto a quello del suo maestro.

L’opinione di Khomeini è che: “Il concetto di Guida Suprema, il velayat-e-faqih, comprende gli incarichi di leader e delle istituzioni che rappresentano i tre poteri, esecutivo, legislativo e giudiziario”. Inizialmente non tutti gli sciiti convergevano con questa ideologia.

La città di Qom ha vissuto per secoli tra storia e leggenda e come centro commerciale senza mai entrare nel vivo degli eventi. Kerbala e Najaf in Iraq, con i mausolei di Hussein e Alì, la superavano come centro di studi islamici.

Attualmente, Qom ha più di un milione di abitanti e oltre 70 scuole teologiche, un seminario con dozzine di istituti di ricerca nei campi di filosofia, esegesi coranica, teologia, morale, diritto, apologetica, economia, sociologia, con oltre 100 case editrici che pubblicano migliaia di volumi all’anno. Tra le numerose biblioteche la più prestigiosa è la Najafi, con più di 500.000 volumi e oltre 26.000 antichissimi manoscritti, acquistati uno a uno dal fondatore: l’Ayatollah Najafi.

Questo era il mondo della Qom dell’imam Musa al Sadr, che, se non fosse scomparso in Libia nel 1978, avrebbe potuto cambiare la traiettoria dello sciismo. Figlio dell’imam Sadr al Din, dopo essersi formato nello studio delle scienze religiose, si laurea in sharia e scienze politiche presso l’Università di Teheran nel 1956, poi si insedia a Tiro il 1960 in Libano, dove fonda il movimento Amal, attivo e seguito nel sud del Libano a forte maggioranza sciita.

Alto e affascinante, parlava molte lingue ed era un oratore brillante con grandi capacità organizzative e abilità nel raccogliere fondi per cause sociali, umanitarie e alla fondazione delle milizie Amal, nei cui campi di addestramento passavano attivisti iracheni, iraniani e un corpo di pasdaran, le Guardie della rivoluzione khomeinista.

Interessato ad Al Assad e agli Alauiti, quando fu capo dell’Alto Consiglio sciita libanese emette una fatwa (responso sulla legge religiosa) in cui si sancisce che gli alauiti sono membri a pieno titolo della grande comunità islamica degli sciiti come seguaci di Alì, il primo dei Dodici imam. Da allora, lo sciismo diventa uno dei pilastri del regime, sempre più legato a Damasco e alla repubblica islamica iraniana, che un tempo condividevano un nemico comune, il presidente iracheno Saddam Hussein.

Questo fu anche la fine dell’alauitismo originario. Infatti, gli alauiti non andavano in moschea, non praticavano il Ramadan, osservavano rituali completamente diversi e credevano nella metempsicosi, la trasmigrazione delle anime. Con l’affiliazione allo sciismo, gli Al Assad iniziano a comportarsi come “veri musulmani” trascinando con loro gran parte della minoranza alauita.

L’imam Sayyed Musa al Sadr aveva avuto un ruolo fondamentale nella trasformazione della setta degli alauiti. Gli al Sadr sono una delle dinastie più prestigiose dello sciismo e la famiglia di Musa al Sadr, attraverso le parentele con gli Sherefeddine e i Noureddine, faceva risalire le sue origini al Settimo dei Dodici Imam, Musa al Kazim, a sua volta discendente di Alì e Fatima, la figlia di Maometto.

Come tutti i discendenti di Maometto, gli Al Sadr, ramificati con i loro alberi genealogici collaterali dall’Iran, all’Iraq, al Libano e al Golfo, indossano come segno distintivo il turbante nero e vantano l’appellativo di Sayyed. Ecco perché anche adesso Moktada al Sadr indossa il turbante nero.

Musa al- Sadr era cugino di Mohammad Baqr al -Sadr, giurista, politologo illustre e definito una specie di Khomeini, poi ucciso con la sorella da Saddam Hussein nel 1980.

Mohammed Baqr era zio di Moqtada al Sadr, divenuto uno dei capi degli sciiti iracheni dopo l’invasione americana del 2003, il cui padre, Sadiq al Sadr, fu ucciso dal regime sunnita iracheno nel 1999. In Iraq, al Sadr rappresentava la resistenza al potere sunnita monopolizzato dal clan di Tikrit di Saddam Hussein. Il monopolio sunnita prosegue con il golpe del 1963 e quello baathista del 1968, che posiziona ai vertici il clan fedele a Saddam Hussein accanito contro gli sciiti: ordina di impiccare o assassinare tutti i più importanti ayatollah, deporta migliaia di sciiti nel biennio 1979/1980 e con la repressione della rivolta della primavera 1991, seguita alla guerra del Golfo, ne massacra nel Sud almeno 100.000.

Nel 2003, gli USA accusano il loro peggior nemico Moqtada al Sadr della morte di un oppositore, Abdul Majdi al-Khoi (in esilio a Londra,il cui fratello Taqi era stato assassinato nel 1994 dai sicari di Saddam) rientrato in Iraq, il 10 aprile 2003 e accoltellato nella moschea di Alì a Najaf. Emettono di conseguenza un mandato di cattura che dovranno annullare per frenare le rivolte dell’Esercito del Mahdi guidato da Moqtada. Con la fine del regime baathista gli USA cambiano partner e consegnano il governo alla maggioranza sciita alleata dell’Iran.

Il ritratto di Moqtada al Sadr era affisso dovunque insieme a quello del leader libanese di Hezb’Allah, Sayyed Hassan Nasrallah, e a Sadr City, una dei più grandi quartieri di Baghdad dove la popolazione ricordava a tutti la genealogia di Moqtada al Sadr, la cui foto era arricchita da quelle dello zio, Mohammad Sadr, e del padre, Sadiq al Sadr, ucciso da Saddam nel 1999, insieme ai due fratelli di Moqtada. I due martiri al-Sadr, Musa e Sadiq, gli hanno trasmesso un’eredità spirituale e materiale significative.

Il prestigio politico e quello religioso di Moqtada è notevole nonostante nei suoi studi teologici si sia fermato prima della laurea islamica. Ha anche ereditato una rete di una decina di migliaia di combattenti a Baghdad ed estesa a tutto il Sud dell’Iran.

Per questo, quando gli USA hanno tentato per due volte di metterlo alle strette nel 2004, Moqtada ha fatto esplodere rivolte da Baghdad a Najaf e a Nassiriya, e nel 2008 a Bassora.

E a Najaf, con il tempio di Alì, sormontato da una cupola d’oro, non v’è dubbio che comandi solo lui, nonostante abbia 43 anni e nessuna qualifica di alto grado nelle gerarchia religiosa.

Moqtada, sposato con una cugina e senza figli, in quegli anni di combattimenti, restò a Najaf da dove minacciava un jihad contro gli americani se non se ne fossero andati dal Paese. Nel 2005 aveva ottenuto la quota maggiore dei seggi nel blocco sciita alle elezioni. Nel 2006 Moqtada poteva contare su migliaia di uomini armati. Il 2006 è anche l’anno in cui scompare l’imam Musa al-Sadr: v. in questo sito

www.osservatorioanalitico.com/?p=7993

Ma, fra rivolte e battaglie, l’ultima quella di Bassora nel 2008, Moqtada non ha ancora realizzato il suo obiettivo di conquistare la leadership del Paese, per cui, richiamato dall’Iran, viene convinto a utilizzare le armi soltanto per costituire milizie anti-Califfato. Le roccaforti del suo potere sono, al 2017, intatte.

Più chiaramente, Moqtada vuole diventare il leader dell’Iraq mettendo in secondo piano anche l’autorità dell’Hawza, l’alto Consiglio religioso di Najaf, composto da quattro Grandi Ayatollah: l’iracheno Said al Hakim, l’iraniano Alì al Sistani, il più prestigioso, Mohamed Seved Fayadl afghano, e Bashir al Najafi, di origine indiana.

Il Consiglio di Najaf è una specie di “multinazionale sciita” e per questo Moqtada insisteva e insiste ancora oggi sul nazionalismo iracheno come carattere distintivo del suo movimento.

Obiettivo ambizioso che è avversato dagli americani, da gran parte dei sunniti e da numerosi sciiti, come la famiglia Hakim, eterni rivali degli al-Sadr.

Perché, Moqtada insiste sul nazionalismo e sull’emarginazione del Consiglio religioso di Najaf composto dai Grandi quattro Ayatollah? In realtà, la posta in gioco è sempre il potere, il prestigio religioso e politico con la strumentalizzazione della fede settaria, il controllo delle finanze del clero e, soprattutto, del petrolio del Sud, il carburante indispensabile con i petroldollari dei grandi progetti politici in quella zona del Medio Oriente.

Moqtada Al Sadr in Arabia Saudita

Il suo viaggio in Arabia Saudita, dunque, conferma all’Iran le fratture, territoriali e sociali, con Moqtada proprio all’indomani della vittoria a Mosul contro l’ISIS. Sono le Hashd al Shaabi sciite (Forze di mobilitazione popolare) che sostengono i nuovi contatti di Moqtada.

Sul punto, Karim Nuri della Hashd al Shaabi ha detto che: “L’Iraq è un Paese arabo e non può abbandonare le sue radici arabe… La visita di Sadr in Arabia Saudita conferma che l’Iraq si allontana dal settarismo regionale…

Gli ha fatto eco il portavoce di Sadr, Salah al Obeidi, che ha aggiunto:” Sadr e bin Salman hanno scelto di usare il linguaggio della moderazione e di sbarazzarsi del discorso settario”.

Non mancano voci sciite contrarie che ritengono inopportuno il viaggio in un Paese che ha contribuito a indebolire l’Iraq, finanziando i gruppi sunniti più radicali e continuando a lanciare proclami contro lo sciismo.

Commenti non ufficiali ma simili arrivano dall’Iran anche perché Sadr incontra il principe Mohammed mentre i sauditi sono impegnati in una feroce repressione nella provincia orientale del regno, dove pochi giorni addietro, cinque cittadini sciiti sono stati uccisi dalle locali forze di sicurezza.

Riyad è ora pronta a invertire la rotta? Il portavoce di Sadr ne è convinto. Il principe Mohammed ibn Salman, sostiene al Obeidi, “ha ammesso che l’ex amministrazione saudita ha fatto degli errori… e che questi errori hanno aiutato l’Iran a dominare l’Iraq”.

Il punto nodale è allora questo: più che intavolare relazioni amichevoli con Baghdad, il principe ereditario, di fatto già al potere al posto del padre re Salman, intende operare in Iraq per sottrarlo all’Iran e spezzare la “mezzaluna sciita”.

In altre parole, il principe saudita, preso atto della sconfitta in Siria, dove nonostante l’aiuto finanziario e militare dato dalle forze salafite e jihadiste il “nemico” Bashar al Assad resta al potere, si trova in grave difficoltà in Yemen dove la sua guerra ai ribelli Houthi, sostenuti dall’Iran, non ha dato i risultati sperati.

Ecco perché il principe intende entrare a Baghdad facendosi aprire la porta da quei personaggi politici e religiosi iracheni che, con accenti diversi, non vedono di buon occhio l’influenza iraniana nel loro Paese, come il premier iracheno Haidar al Abadi e il ministro dell’interno Qassem al- Araji e che nei prossimi giorni sono attesi a Riyad l’ex premier Iyad Allawi e altri politici iracheni non alleati dell’Iran.

Tra costoro, considerato il più importante, è Muqtada al Sadr, leader di un movimento che conta in parlamento 34 seggi e guida una milizia, Saraya as Salam, di 60 mila uomini che, in passato, sotto la bandiera dell’Esercito del Madhi, hanno combattuto contro gli americani. Pur avendo vissuto in Iran, Muqtada critica l’influenza di Teheran e mesi addietro, avrebbe chiesto ad Assad di farsi da parte.

In cambio dell’appoggio, Sadr avrebbe ottenuto dai regnanti Sauditi la promessa di finanziamenti per le prossime elezioni in Iraq, che si annunciano ad alta tensione anche perché l’importante leader sciita Ammar al Hazakim è uscito dal Consiglio Supremo per la Rivoluzione islamica per creare una nuova forza politica (il Partito della saggezza) che potrebbe avere successo a scapito proprio del movimento di al Sadr.

La situazione attuale

Moqtada al Sadr si è recato a Riyad convinto che l’Arabia Saudita abbia un doppio obiettivo:

  • assicurare attraverso un accordo politico un’ampia autonomia alle regioni sunnite, in un Paese popolato in maggioranza e governato dagli sciiti;
  • erodere l’influenza iraniana puntando sull’identità araba degli sciiti iracheni.

Di fatto, dopo la visita a sorpresa del ministro degli esteri saudita, Adel al Jubeir a Baghdad e gli incontri avvenuti nelle ultime settimane, Arabia Saudita e Iraq hanno riaperto i transiti di frontiera rimasti chiusi da quasi 30 anni Secondo i media arabi, Sadr e altri esponenti iracheni starebbero negoziando un’intesa con Riyadh affinché abbia un ruolo primario nella ricostruzione delle città sunnite devastate dalla guerra: Mosul, Tikrit, Ramadi e Falluja per le quali sarebbero necessari circa 100 miliardi per la ricostruzione.

Moqtada al Sadr riafferma che la rinegoziazione dello status dei sunniti iracheni, emarginati dopo la caduta di Saddam Hussein, deve essere centrale nei programmi del Paese.

Inoltre, Abdulbari al Zebari, capo delle relazioni esterne del parlamento iracheno, dichiara che ”I rapporti fra iracheni e sauditi sono in crescita grazie all’amministrazione americana che aiuta Arabia Saudita e il Golfo a ricostruire le relazioni con il resto della regione…. Gli iracheni accolgono con favore tutti i finanziamenti esteri o regionali”.

L’appello agli sciiti iracheni a recuperare “le radici arabe” – come sta facendo Moqtada al Sadr – è un punto centrale della strategia saudita e arriva mentre l’Iraq si spacca sul futuro delle “Unità di mobilitazione popolare” (UMP), le forze paramilitari sciite, risultate decisive nei combattimenti contro l’ISIS. Molti vorrebbero scioglierle, molti altri chiedono di assorbirle nell’esercito, ma solo quelle che includono cittadini iracheni.

Il mese scorso, il ministro della difesa ha accolto nelle forze armate 1.000 uomini della Divisione sciita da Combattimento “Abbas”, che fa capo alla guida religiosa del Paese dell’Ayatollah Alì al Sistani, da anni diffidente verso l’Iran, essendo il sostenitore dei “quietisti” (divisione tra religione e politica). Sistani, peraltro, richiede il rientro in patria di tutti gli iracheni andati a combattere in Siria dalla parte del presidente Bashar al-Assad.

In Iran, mentre la leadership tace, i media non mancano di criticare apertamente Moqtada al Sadr e gli altri esponenti iracheni che accusano di fare il gioco dei sauditi, responsabili dei massacri di sciiti sia in seno al “Consiglio di Cooperazione del Golfo” (Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman, Qatar) che armano e finanziano formazioni qaediste e spesso anche Daesh.

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