Il contrasto al fenomeno della pirateria: stato dell’arte.

Il contrasto al fenomeno della pirateria: stato dell’arte.

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Siamo focalizzati sugli scafisti e il contrabbando di esseri umani ma nel Golfo di Aden, nell’Oceano Indiano, nello stretto di Bab-el Mandeb e in quello di Hormuz la pirateria nel Corno d’Africa continua e si rafforza. Un panorama della situazione attuale.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Il fenomeno della pirateria nel Corno d’Africa continua ad avere un forte impatto a livello regionale e mondiale, con notevoli ripercussioni economiche.

Un recente studio della Banca Mondiale ha stimato una perdita economica globale di circa diciassette miliardi di dollari all’anno per la pirateria nel Golfo di Aden (posizionato nell’Oceano Indiano tra lo Yemen, sulla costa meridionale della penisola araba e la Somalia, in Africa), rotta strategica per il trasporto del greggio dai Paesi del Golfo verso l’Europa.

La Pirateria non riguarda solo il Golfo di Aden, ma interessa anche parte dell’oceano Indiano, il Mar Arabico, lo stretto di Bab el-Mandeb nel Mar Rosso e finanche quello di Hormuz che divide la Penisola Arabica dalla costa iraniana.

I pirati somali, ben organizzati, equipaggiati e supportati da un’efficace struttura d’intelligence, nel corso dell’ultimo decennio hanno attaccato e sequestrato numerose navi tra cui le saudite Sirius Star e al Nisr al Saudi (rilasciate dopo il pagamento di un riscatto di tre e due milioni di dollari), la MV Arrilah-1 degli Emirati Arabi Uniti liberata in cambio di dodici milioni di dollari.

La lista completa è lunga, senza contare i numerosi tentativi di sequestro non andati a buon fine.

Per molti anni la portata e gli effetti della pirateria sulla sicurezza globale sono state sottostimate dalla Comunità Internazionale e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha sempre fatto ricorso al Capitolo VII della Carta ONU, statuendo che i pirati rappresentano una minaccia per la pace mondiale.

Nell’evoluzione della questione, attraverso lo strumento delle risoluzioni internazionali, il Consiglio di Sicurezza ha a più riprese sollecitato tutti i paesi a porre in essere ogni misura necessaria per sconfiggere la pirateria, compreso il pattugliamento delle coste somale e del Golfo di Aden.

Una risposta sulla pirateria s’è avuta da parte di singoli paesi ma anche d’organizzazioni internazionali tra cui l’European Union Naval Force-EURNAVAFOR, la NATO, la Contact Group on Piracy Off the Coast of Somalia-CGPCS, l’United States Combined Task Forces-CTF.

Si deve rimarcare però una scarsa adesione e una flebile iniziativa da parte dei paesi del Golfo, i più coinvolti e maggiormente minacciati dalle azioni criminose della pirateria marittima.

Il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti hanno sovvenzionato le attività della CGPCS, mentre l’Arabia Saudita e il Bahrein hanno sponsorizzato le operazioni della CTF.

Il 2008 registra uno step importante del Consiglio di Sicurezza ONU con la Risoluzione 1816 e l’invito agli Stati membri di bloccare tale crimine utilizzando delle navi militari lungo le coste somale.

Da quel momento ad oggi circa una trentina di navi a rotazione pattugliano il Golfo di Aden, il Mar Arabico e parte dell’Oceano Indiano.

Di rilievo strategico la costituzione del Combined Maritime Forces-CMF a guida americana, per garantire e proteggere la navigazione delle navi lungo le coste, per contrastare la pirateria marittima, per impedire qualsiasi atto di matrice terroristica e per implementare la cooperazione regionale.

La CMF è costituita da tre Task Forces, ognuna con il compito di controllare uno specifico settore di competenza dei circa due milioni e mezzo di miglia quadrate di acque internazionali.

La prima Task Force controlla l’Oceano Indiano, il Golfo di Aden, il Mar Rosso, il Mar Arabico e il Golfo dell’Oman nella parte più orientale della Penisola Arabica, che mette in collegamento il Mar Arabico con lo Stretto di Hormuz e il Golfo Persico.

La seconda Task Force si sovrappone nel controllo del Golfo di Aden e delle coste somale, mentre la terza concentra la propria attività nel Golfo Arabico.

A rafforzamento della CMF, in tempi successivi è stata costituita l’EU-NAVFOR, meglio conosciuta come Operazione Atalanta, con la creazione del Centro di Sicurezza marittimo nel Corno d’Africa per scongiurare, prevenire e reprimere gli atti di pirateria lungo le coste somale.

L’EU-NAVFOR ha altresì il compito di scortare le navi cariche di aiuti umanitari del World Food Programme dirette nel Corno d’Africa e quelle che trasportano le forniture per l’AMISOM, l’African Union Forces in Somalia, nonché bandire la pesca illegale al di fuori delle acque territoriali somale.

Un ruolo importante anti-pirateria è stato svolto, dall’agosto del 2009 sino allo scorso novembre 2016, dalle forze navali della NATO attraverso una serie di operazioni: l’Operation Allied Provider, l’Operation Allied Protector e, infine, l’Operation Ocean Shield.

Molti paesi hanno inviato motu proprio delle navi nelle zone infestate dai pirati, tra cui la Cina, la Russia, l’India, l’Arabia Saudita, l’Iran, la Corea del Sud e la Malesia.

L’Arabia Saudita ha partecipato anche a una Task Force araba insieme al Qatar, al Bahrein, all’Egitto, alla Giordania, al Kuwait, all’Oman e agli Emirati Arabi Uniti ed è stata coinvolta nella creazione della Peninsula Shield Force, un Centro informativo con sede in Bahrein.

L’invio di navi militari nel Corno d’Africa a protezione del flusso marittimo evidenzia l’importanza strategica ed economica della zona; una rilevanza così preminente da rendere possibile una cooperazione tra paesi storicamente restii a qualsiasi forma di collaborazione.

L’impegno di uomini e mezzi di siffatta portata si è rivelato sufficiente nel contrastare il fenomeno della pirateria in quest’ultimo decennio?

E’ indubbio che l’impiego delle navi e dei militari e una più efficace legislazione in materia hanno contributo a una sensibile riduzione dei fenomeni della pirateria, ma il problema persiste e non è stato pienamente debellato.

E’ evidente che il controllo nel Golfo di Aden del transito annuale di non meno di venticinque mila navi è un impegno molto gravoso e oneroso economicamente.

Cosa fare quindi per migliorare ulteriormente la situazione?

E’ imprescindibile il mantenimento degli standard operativi raggiunti e, ove possibile, cercare di migliorarli.

E’ altresì essenziale ridurre quanto più possibile la presenza delle navi nelle zone infestate dai pirati, soprattutto nei tratti di mare in cui il pattugliamento non può essere assicurato.

Nel contempo, si rende sempre più stringente la necessità di potenziare il già esistente corridoio nel Golfo di Aden, l’Internationally Recommended Transit Corridor, creandone di nuovi in altre zone e rendendoli obbligatori per tutte le navi in transito.

Uno strumento che non eliminerebbe completamente il fenomeno della pirateria, ma di certo ne ridurrebbe la valenza, alla luce anche d’imprevedibili (ma possibili) scenari geopolitici, tra cui, ad esempio, il deterioramento della situazione nello Yemen e in Somalia che potrebbero trasformarsi in terre nullius a vantaggio dei gruppi estremisti e degli stessi pirati.

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