LA LIBIA FRA ITALIA E FRANCIA

LA LIBIA FRA ITALIA E FRANCIA

L'incontro diplomatico in Francia

L’incontro diplomatico in Francia

Analisi puntuale degli avvenimenti degli ultimi giorni tra Francia, Italia e Libia. Personalmente non credo a una pacificazione della Libia fino a che non si imporrà un uomo forte…alla Gheddafi. Sic.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

  1. L’invito francese a Sarraj e Haftar

Il 25 luglio, il presidente francese Emmanuel Macron invita Fayez al Sarraj e Khalifa al Haftar, reduci dal vertice di Abu Dhabi dello scorso maggio, a Parigi.

Dopo le vittorie sul terreno del “Libyan National Army” (di Haftar) e il supporto di Cina e Russia a favore della Cirenaica, la mancata presa di distanza della presidenza statunitense dall’iniziativa francese sembra confermare un quadro in cui la mediazione è considerata possibile solo se risulti accettabile per Haftar e per la Cirenaica.

Con il mancato invito della delegazione italiana ai colloqui, la Francia sembra voler assumere un ruolo da protagonista nel contesto libico, mentre l’Italia appare essere il Paese più danneggiato dal rinnovato protagonismo francese.

Più chiaramente, la scelta di supportare in maniera incondizionata il governo di accordo nazionale di Al Sarraj per garantire il legame preferenziale fra Tripolitania e Italia e tutelare gli investimenti che il capitale italiano ha nell’area, potrebbe addirittura dimostrarsi un’arma contro la stessa Italia.

Il forum sulla cooperazione economica italo-libica svoltosi ad Agrigento a inizio giugno scorso, che ha portato la firma di nuovi accordi fra il deputato del Consiglio Presidenziale Ahmed Maiteq, e il ministro degli esteri italiano, Angelino Alfano, aveva lo scopo di riaffermare la prelazione italiana sulla futura riconciliazione libica e sull’economia del Paese a guerra finita.

Allo stesso modo, il viaggio del ministro degli interni Marco Minniti ambiva a risolvere la problematica dell’immigrazione attraverso nuovi accordi con la controparte libica.

L’attivismo italiano, però, non sembra trovare favore nelle controparti libiche. Il governo della Cirenaica e il generale Haftar hanno mantenuto una certa distanza dalle posizioni italiane condannandone più volte l’operato, considerato irrispettoso se non di interferenze nelle questioni interne.

Attualmente si assiste anche a un raffreddamento dei rapporti con Tripoli. Nonostante incontri e promesse di accordo, alla vigilia dell’incontro di Tunisi, l’Italia potrebbe essere esautorata dal ruolo per cui essa stessa si era proposta. Tra gli interventi previsti nel piano di   Minniti per la risoluzione della questione migrazione spicca la richiesta italiana di creare e assistere nella gestione un’area di ricerca e salvataggio (Search and Rescue-Sar).

Come riporta un interessante articolo del Sole 24 Ore, il 15 luglio, a sorpresa, il governo libico, in una lettera ufficiale all’ ”International Maritime Organization” (Imo), agenzia specializzata dell’ONU per la cooperazione marittima e la sicurezza della navigazione, avrebbe dichiarato di aver definito la propria Sar delegando la sicurezza della stessa al governo di Malta.

  1. L’incontro francese con Sarraj e Haftar

L’incontro del presidente francese e i due leader libici si svolge a La Celle- Saint Cloud, vicino a Parigi. La stretta di mano fra i due rivali libici, più ancora dell’accordo in dieci punti siglati da entrambi, è il primo concreto successo del presidente Macron, che, subito dopo, chiama il presidente del governo italiano, Paolo Gentiloni, per tranquillizzarlo dopo lo spodestamento di ruolo in quella che è considerata da tempo l’ex colonia italiana. Lo informa che Haftar e Sarraj hanno accettato il giorno prima un cessate- il- fuoco, che non è il primo, e hanno concordato sulla necessità di arrivare a elezioni politiche generali e presidenziali nella primavera del 2018.

Di fatto, il presidente francese si accredita un significativo passo in avanti nel senso della pacificazione, atteso che nell’incontro del 2 maggio scorso ad Abu Dhabi con la mediazione degli Emirati Arabi Uniti, i due leader libici si erano lasciati senza neppure un comunicato congiunto.

Il Presidente Macron ricorda che “nel dicembre 2015 è stato firmato a Skhirat un accordo sotto l’egida ONU ma poi numerosi ostacoli ne hanno impedito l’implementazione”, e ha sottolineato che “l’offensiva sempre più pericolosa …è Daesh, presente anche in Libia, con il rischio che il Paese diventi un santuario delle organizzazioni terroristiche”.

Il Presidente, che può vantare il ruolo di pacificatore, evita di menzionare che la Francia nel 2011, con il suo predecessore Sarkozy aveva dato impulso all’intervento NATO, sotto l’egida ONU, per cacciare Gheddafi, storico alleato italiano, senza neanche un piano per stabilizzare il Paese, anzi operando proprio in Cirenaica sostenendo con USA e Gran Bretagna i primi manifestanti a Benghasi.

Negli ultimi due anni, Parigi dopo l’appoggio ONU al governo Sarraj in seguito all’accordo di Skhirat in Marocco, gli ha continuato a preferire Haftar, l’uomo forte della Cirenaica, ex generale del colonnello Gheddafi in Ciad. L’Italia invece è stata lo sponsor più fedele a Sarraj, che il successivo giorno ha incontrato a Roma il premier Gentiloni.

Comunque, anche se la Francia, al contrario dell’Italia, non ha ancora aperto un’ambasciata in Libia, può contare sul nuovo inviato speciale dell’ONU, il maronita Ghassan Salameh, già ministro della cultura con il premier libanese Hariri, e che fino a pochi mesi fa a Parigi insegnava relazioni internazionali a “Sciences Po”.

Nella Libia di oggi, devastata e divisa, strette di mano e progetti non creano entusiasmo. E sull’attività francese ha la meglio l’annuncio del consorzio italiano Aeneas, che ha vinto l’appalto per ristrutturare lo scalo internazionale di Tripoli, è capofila del gruppo edile Mazzitelli con sede a Bari ed è pronto a creare migliaia di posti di lavoro in loco. Perché a Tripoli vive un terzo della popolazione libica e le infrastrutture sono al collasso.

  1. La realtà in Libia.

Che in Libia potrebbero esserci una tregua e nuove elezioni, sarà difficile, se non impossibile, il cessate-il-fuoco da imporre alle oltre mille bande armate è una mera illusione, pensare alle elezioni nella prossima primavera è impossibile.

Sul terreno, la situazione rimane catastrofica e la strada per una reale svolta è molto lontana. Nessuno a Parigi crede che i due contendenti riusciranno realmente a concordare quali siano i veri terroristi da combattere e quelli “un po’ meno terroristi” perché loro sodali. Insomma è come in Siria dove hanno inventato l’ “opposizione moderata” in seno alla quale ci sono numerosi esponenti di Daesh e dei jihadisti di contorno e la costante osmosi di armi – ricevuti dai Paesi anti-siriani – e combattenti.

Poi, c’è il problema di “chi comanda che” e, last but not least, il fatto che il generale Haftar, dopo ipotetiche elezioni non accetterebbe mai di sottoporre le “sue forze armate” al controllo di un potere civile.

Allora, cosa è accaduto veramente a Parigi?

Lo spiega con sintetica chiarezza il direttore dell’ “Institute of Global Studies”, Nicola Pedde. La Francia simula in realtà di rispettare il riconoscimento ONU al governo di Sarraj a Tripoli, ma crea le condizioni per l’ingresso di Haftar nello scenario politico libico.

Haftar, a cui non interessa negoziare con Sarraj la creazione di un esercito nazionale sotto il suo comando ma subordinato al potere politico del premier. Perché, come sostiene il direttore Pedde, ad Haftar interessa diventare il nuovo Raìs della Libia. Di facciata, il rispetto degli accordi nella sede ONU, mentre quasi tutti cercano di nuovo l’uomo forte.

A difesa dell’Italia, in difficoltà per la scorretta attività francese, va anche sottolineato che Parigi non crederà certamente che Roma non abbia da tempo i suoi solidi contatti con Haftar.

  1. La nuova richiesta di Sarraj a Roma

Il giorno dopo la visita a Parigi, Sarraj presenta a Roma la richiesta di un sostegno tecnico con unità navali nel comune contrasto al traffico di essere umani da svolgersi in acque libiche.

L’Italia, pronta a inviare le proprie navi militari, passa la richiesta al Ministero della Difesa per una valutazione tecnica per poi portarla in parlamento. Nei prossimi giorni, lo Stato Maggiore e il Comando Interforze elaboreranno un piano di intervento sulla base delle direttive politiche perché per le navi italiani non sarebbe necessario attendere il parere del Consiglio di Sicurezza ma basterebbe un voto favorevole del parlamento.

Non sarebbe il primo caso: a settembre 2016 Camera e Senato danno il via libera alla missione “Ippocrate” che realizza un ospedale da campo a Misurata con l’ausilio di 300 militari tra personale medico, paramedico e addetti alla sicurezza.

In sostanza, le navi italiane potrebbero affiancare la Guardia costiera libica nel fermare i barconi carichi di disperati e, dopo aver arrestato gli eventuali scafisti, affiderebbero i migranti ai colleghi libici che li riporterebbero da dove sono partiti. L’operazione, quindi, non dovrebbe configurarsi come un respingimento, pratica condannata dalla Corte di Giustizia europea. Restano da capire le possibili reazioni internazionali.

Certo è difficile pensare che Sarraj possa aver fatto questa richiesta senza avvisare Haftar.

Per quanto riguarda l’Italia, la missione è un’occasione per ritornare protagonista, dopo essere stata scalzata dall’iniziativa francese.

Intanto, l’Italia riceve un sostegno dalla Germania, la cui leader Merkel promette di sostenere l’Italia nella richiesta di far rispettare il principio di redistribuzione dei richiedenti asili e assicura un impegno della Germania in Libia per finanziarie le attività dell’ Organizzazione internazionale per le migrazioni e dell’Alto commissario ONU per i rifugiati, e anche progetti delle comunità locali impegnati nel contrasto ai trafficanti di esseri umani.

Sulla crisi libica e la presente richiesta di unità navali, pubblica un’intervista lo storico del colonialismo italiano e della Libia, Angelo Del Boca.

Lo storico dichiara “sembra un nuovo intervento militare… e non è chiaro: si tratta di una sorta di blocco navale in acque libiche, solo della Tripolitania, quasi una sostituzione italiana dell’inutile e corrotta guardia costiera libica? Oppure in acque internazionali?

Ma, secondo lo storico, “i profughi sarebbero sequestrati e gli eventuali trafficanti rispediti nelle prigioni libiche o nella disperazione africana”.

Del Boca aggiunge che “la guerra a Gheddafi nel marzo 2011 fu forzata da Sarkozy spingendo numerosi Paesi, dagli Stati uniti all’Italia.. Solo Obama ha riconosciuto quella guerra come un tragico errore. Uno strappo ….costato 30 mila miliardi di dollari in distruzioni di città, fabbriche, infrastrutture, secondo le valutazioni delle Nazioni unite”.

Inoltre, lo storico sottolinea che Sarraj “vive sotto assedio, non controlla ..nemmeno la città di Tripoli; tanto meno la Tripolitania, divisa tra milizie in parte schierate con Tripoli, e come quella di Misurata che ricattano costantemente Sarraj, in parte con il precedente governo islamista di Khalifa al-Ghweil. .. l’enclave armata di Zintane, che ha detenuto e liberato Seif Al Islam, il figlio di Gheddafi, il Fezzan delle tribù e del clan e la Cirenaica di Haftar….Dappertutto, centinaia di milizie armate……”

Lo storico Del Boca fotografa stato attuale e futuro della Libia: “La pace nella Libia somalizzata dall’intervento occidentale, che ha mandato in frantumi un lavorìo di 42 anni per tenerla insieme, non può avere come interlocutori soltanto due protagonisti. Le forze in campo sono molte di più. a cominciare da quelle internazionali, perché la Libia è diventata il cuore del neo-colonialismo mondiale”.

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