Egitto. Il miglioramento della situazione economica: viatico per la democratizzazione del Paese.

Egitto. Il miglioramento della situazione economica: viatico per la democratizzazione del Paese.

Il Presidente Al Sisi

Il Presidente Al Sisi

Situazione attuale del’Egitto nelle intricate situazioni mediorientali: un’analisi puntuale.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini 

L’Egitto da anni versa in una prostrante crisi economico-finanziaria senza tangibili – sino a oggi – segnali di miglioramento.

Un Paese che, come ha dichiarato un tassista egiziano in un’intervista televisiva e divenuta in breve tempo “virale” sui social “…ha un governo che non riesce ad amministrare… viviamo in un Egitto che alla televisione sembra Vienna, ma per le strade sembra di essere in Somalia…un Egitto che ha bisogno d’istruzione, sanità e agricoltura.

A sette anni dallo scoppio della rivoluzione che ha visto la caduta di Hosni Mubarak, la vittoria e il fallimento nel volgere di un anno della presidenza Morsi e degli Ihuanu Musliminu e una sanguinosa controrivoluzione, l’Egitto appare essere saldamente nelle mani del generale Abdel Fattah el Sisi che, con piglio autoritario, cerca di garantire la stabilità sociale e politica, di riposizionare il Paese nel suo antico ruolo nella regione mediorientale e di far ripartire una stagnante economia.

Un Paese con ferite non ancora rimarginate e con i militari che restano sullo sfondo, quasi in disparte; non dobbiamo però dimenticare che da sempre essi sono parte integrante del panorama politico e sociale dell’Egitto e controllano quasi la metà dell’intera economia.

La precaria situazione economica è il problema più grande e più urgente da affrontare, ancor più (forse) della minaccia terroristica (domenica delle Palme nefasta per i cristiani coopti) e delle penetrazioni jihadiste, soprattutto nel nord del Paese e nel Sinai.

Secondo vari indicatori s’intravede una leggerissima ripresa economica ma è ancora embrionale, non certo sufficiente per risollevare un Paese impantanato nella zavorra dei sussidi, delle politiche d’assistenza, degli insostenibili costi di un apparato statale elefantiaco e improduttivo.

La recente difficoltà per la popolazione a reperire viveri di prima necessità, tra cui lo zucchero, è stata la cartina tornasole di una difficile situazione economica aggravata dal crollo del turismo per i problemi legati alla sicurezza e dalla contrazione delle entrate derivanti dal passaggio delle navi nel Canale di Suez.

Sconfortanti i dati riguardanti la disoccupazione, soprattutto giovanile, l’inflazione, la svalutazione della lira, l’aumento della povertà (un quarto della popolazione vive in condizioni disagiate), la degenerazione della classe media, vero pilastro della società egiziana.

Tasto dolente di quest’ultimo periodo è proprio la svalutazione della lira, con un tasso di cambio che nel volgere di pochi mesi è passato da un valore di 8 lire egiziane per un euro a un rapporto di 18 a uno.

Conseguenza di tutto ciò è il continuo aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, del carburante e dell’elettricità, mentre il valore d’acquisto dei salari cala in proporzione.

Riformare la struttura economica egiziana è oggettivamente difficile; per via della sua dipendenza dall’estero è costretta ad acquistare quasi tutte le materie prime, su tutte il grano e i cereali, ed è così legata agli aiuti finanziari, diretti o indiretti, da parte di molti paesi e delle Istituzioni internazionali.

L’allentamento della storica alleanza con l’Arabia Saudita a causa del contenzioso sulla cessione di due isolette egiziane nel Mar Rosso, Tiran e Sanafir, aggravata dal ritiro egiziano dalla coalizione a guida saudita nello Yemen per contrastare il crescente jihadismo, unito all’avvicinamento tra el Sisi e Putin, ha determinato una drastica riduzione del flusso finanziario saudita a sostegno dell’Egitto.

Permane a rischio il finanziamento saudita per l’acquisto nei prossimi anni degli idrocarburi e il deposito di 6 miliardi di dollari (unitamente agli Emirati Arabi Uniti e al Kuwait che ha già prestato 1,5 miliardi di dollari per lo sviluppo dei settori agricolo, della pesca e dei trasporti), presso la Banca Centrale egiziana.

Le autorità egiziane però puntano su Washington, verso la Casa Bianca dove si è insediato il nuovo inquilino Donald Tramp, ma anche verso il Fondo Monetario Internazionale.

Un Egitto stabile, economicamente solido, tranquillo entro i suoi confini, in grado di mantenere gli equilibri strategici della regione e in pace con i suoi vicini, soprattutto con Israele, è un interesse primario per l’America.

Con il FMI (una delegazione proprio in questi giorni è presente a Il Cairo) l’Egitto da qualche tempo è in trattativa per ottenere un prestito da12 miliardi di dollari, subordinato al raggiungimento di alcuni obiettivi, in primis la riduzione dei sussidi governativi, nonché il varo di alcune riforme economiche strutturali, necessarie anche se dolorose e impopolari.

Per “addolcire” gli effetti dei programmi di riforme economiche sui salari più bassi, il Ministro delle Finanze ha annunciato l’aumento del 29% del valore delle tessere mensili d’approvvigionamento dei beni essenzali.

Si calcola che il governo supporta mensilmente circa 70 milioni di cittadini tramite l’elargizione alle famiglie di 22 milioni di tessere d’approvvigionamento; il valore di ciascuna tessera è di 21 lire egiziane (meno di due euro), che a breve dovrebbe aumentare a 30 lire.

Recentemente Tarek Qabil, Ministro dell’Industria e del Commercio estero egiziano, ha annunciato il via libera da parte del FMI per la concessione della seconda rata del prestito da un miliardo di dollari.

Finanziamenti che dovrebbero garantire il mantenimento, seppur in forma molto ridotta, dei sussidi statali destinati al carburante e all’elettricità, veri e propri stabilizzatori sociali.

Il Primo Ministro Sherif Ismail, per assecondare le pressioni del FMI, s’è impegnato a cercare di ridurre il deficit di bilancio tra il 9,25 e il 9,50% dal primo luglio prossimo, inizio del nuovo anno fiscale.

Nel frattempo, Salman Ashraf, Ministro degli investimenti, ha ribadito l’intenzione delle autorità egiziane di attivare nel biennio 2018-19 nuovi investimenti diretti dall’estero, per un valore superiore ai 18 miliardi di dollari mentre, per l’anno corrente, sono previsti investimenti per un valore complessivo che sfora i 10 miliardi di dollari.

Il Governo egiziano inoltre, come recentemente annunciato dal Ministro del Commercio Estero, allo scopo di implementare economicamente alcune zone particolarmente depresse, farà costruire più di duecento fabbriche in ciascun governatorato dell’Alto Egitto.

Il Ministro della Finanze Amr Garhi ha invece rimarcato la volontà di raccogliere sei miliardi di lire egiziane (circa 329,7 milioni di dollari), sempre a partire dal prossimo anno fiscale, dalle società a partecipazione statale quotate in Borsa.

Il governo egiziano controlla, tra le altre, la National Bank of Egypt, la Cairo Bank, la United Bank, metà della Banca Arabo africana ed il 20% delle azioni della Bank of Alexandria.

Inoltre, sono di proprietà statale numerosissime altre aziende nei settori più svariati, dagli appalti alle costruzioni, nell’oil & gas come la Petrojet, nelle telecomunicazioni con la Telecom Egypt e finanche nelle assicurazioni.

Alla luce di quanto esposto in sintesi, per il Rais la più grande sfida nell’immediato futuro è di cercare di far diminuire la dipendenza dell’economia egiziana dalle importazioni e dagli aiuti internazionali e, nello stesso tempo, cercare di migliorare le condizioni di vita della popolazione.

Un basilare principio impone che chi è al potere deve governare; a tale regola non sfugge el Sisi, tanto più che è diventato Presidente seguendo un percorso non propriamente democratico.

Oltre al diritto di governare egli però deve dimostrare anche di saperlo fare nell’intessesse di tutta la popolazione, a tutela dell’integrità sociale e a vantaggio di un lento processo, tuttora in fieri, di democratizzazione del Paese che, pur tra mille contraddizioni, si spera continui.

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