L’instabilità del Caucaso e i rischi per gli equilibri nella regione

L’instabilità del Caucaso e i rischi per gli equilibri nella regione

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Un articolo molto interessante che spiega quel che accade o può accadere nella lontana regione del Caucaso. L’autore conosce bene la zona e i suoi problemi anche per esservi stato. Nomi spesso ripetuti ma difficili da collocare geograficamente.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Il Caucaso settentrionale russo. Il Caucaso si divide in due parti: la parte settentrionale è parte costitutiva del territorio russo e si suddivide in quattro regioni che sono l’Ossezia del nord con capitale Vladikavkaz, l’Inguscezia, la Cecenia ed il Daghestan, quest’ultimo, ancora più delle altre, interessato da forti attività di tipo terroristico di marca salafita che le autorità russe combattono ormai da diversi decenni senza riuscire a portare un colpo risolutivo che lo sconfigga definitivamente.

Al contrario della Cecenia, ormai “pacificata” dal suo Presidente Ramzan Kadyrov con metodi violenti e sbrigativi, il Daghestan continua a soffrire di gravi problemi di terrorismo che insanguinano la regione e, anche occasionalmente, l’intero territorio russo, esportandone la violenza anche oltre i confini della Federazione Russa, ad esempio in Siria.

Uno dei motivi dell’intervento della Russia in Siria, oltre al fattore energetico, alla necessità di trattare da “pari a pari” con gli Stati Uniti e alla vendita di armi, è proprio costituito dalla necessità di annientare i terroristi provenienti dal Daghestan e dalla regione caucasica nel suo complesso, oltre ad impedire la nascita in Siria di uno Stato ispirato alla sharia.

Tutto ciò si evince molto bene dall’analisi della stampa e delle fonti specialistiche russe che ho letto con attenzione. A livello interno, il Caucaso settentrionale costituisce una sorta di paradigma dei rapporti che intercorrono tra il potere centrale di Mosca e il suo “proconsole” locale in Cecenia, il già nominato Ramzan Kadyrov, che è libero, non solo di esercitare la violenza contro eventuali oppositori o di arricchirsi a suo piacimento, ma soprattutto di instaurare un regime che contempla la sharia, la legge islamica, spesso in aperto contrasto con la legge russa. La sharia è quindi percepita dalla popolazione quale segno identitario e di relativa indipendenza da Mosca e provvede quindi a rendere sotto controllo una regione caratterizzata da una guerriglia indipendentista fino alla fine degli anni ’90 ed i primi anni 2000. Alla pacificazione della regione hanno contribuito anche i cospicui fondi elargiti da Mosca proprio allo scopo di contribuire a “spegnere” la rivolta anche con mezzi economici tanto che la Cecenia si propone oggi a livello internazionale come hub per gli investimenti internazionali.

Il Caucaso russo funge anche da paradigma del complesso rapporto tra la Russia ortodossa, e che fa dell’appartenenza all’Ortodossia un baluardo identitario -caratterizzato dal Cremlino anche in senso fortemente nazionalista-, ed il mondo islamico che conta in Russia almeno 20 milioni di mussulmani con passaporto russo ed è in crescita. Putin è quindi intenzionato a fare del rapporto tra mondo russo e mondo islamico un fattore di crescita per la Russia che abbia valenza anche e soprattutto in politica estera,promuovendo quindi la Federazione Russa quale “amica dell’Islam” e ricavandone quindi vantaggi in termini politici e soprattutto economici, vista anche la grande vicinanza del Caucaso ad attori regionali strategici quale la Turchia e l’Iran che la Russia, anche in seguito alla crisi ucraina ed all’estraniamento con l’Occidente, ha tutto l’interesse a coltivare assiduamente.

Nel 2008 sono stato in Cecenia ed ho potuto quindi osservare da vicino la regione: è nel suo complesso caratterizzata da un elevato livello di tribalismo, anche dove la cultura russa è penetrata abbastanza in profondità nelle strutture sociali della regione. Il pericolo per la regione sotto controllo russo è costituito dalla graduale trasformazione della società cecena e regionale in generale sotto la pressione islamizzante e tradizionalista delle summenzionate autorità autoctone e dalla fusione tra Islam locale non salafita ed i foreign fighters reduci dalla Siria che, una volta tornati in patria, potrebbero far esplodere nuovamente un’ondata di violenza e danneggiare anche le infrastrutture energetiche che trasportano l’energia dal Mar Caspio attraverso il Caucaso del nord russo verso l’Unione Europea.

Molto dipenderà però anche dalle strategie messe in atto dalla Federazione Russa e dai suoi organi di sicurezza(MVD, o Ministero dell’Interno e FSB) per contrastare l’insorgere di fenomeni terroristici che destabilizzino la regione caucasica russa e forse l’intera Federazione.

Il Caucaso meridionale

Il Caucaso meridionale è costituito da tre Stati: l’Azerbaijan, la Georgia e l’Armenia. Essi sono

indipendenti dall’Unione Sovietica dal 1991e sono entrati a fare parte dell’Impero russo a partire dalla prima metà del 19°secolo. La regione è di grande importanza strategica e su di essa si concentrano l’attenzione e gli appetiti delle grandi Potenze regionali ed extraregionali, in primis la Federazione Russa, ma anche gli Stati Uniti, la Turchia, l’Iran e l’Unione Europea che ha incluso gli Stati del Caucaso meridionale nella sua “Eastern Partnership” o “Partenariato Orientale”.

La caratteristica che li contraddistingue è quella di essere Stati di piccole dimensioni, posizionati in una collocazione strategica per il flusso delle fonti energetiche e per il controllo dell’area geopolitica circostante, in particolare l’Iran e la Turchia, stati con cui la Russia intrattiene complessivamente buoni rapporti, mentre l’Occidente, ed in particolare gli Stati Uniti, intratengono rapporti più conflittuali. A causa delle loro piccole dimensioni e della popolazione etnicamente diversificata al loro interno,essi hanno sempre faticato a trovare una loro stabilità perché gli imperi circostanti, in particolar modo la Turchia, l’Iran e la Russia hanno sempre teso nel corso della loro storia recente ed antica ad assorbirli all’interno della loro compagine statale.

Questa delicata posizione geografica in cui si trovano li ha obbligati a cercare un faticoso equilibrio regionale per difendersi dai vicini più “ingombranti” e quindi preservare la loro indipendenza nazionale, anche trovando dei “protettori” interessati alla loro posizione strategica e che garantisse loro di preservare la loro indipendenza od almeno autonomia. Questi “protettori” interessati dalle potenze regionali Russia, Turchia ed Iran sono oggi, rispettivamente, gli Stati Uniti e l’Unione Europea. Dopo questa breve premessa sulla geopolitica regionale, analizzerò singolarmente i tre Stati che costituiscono la regione del Caucaso meridionale.

Armenia: è uno Stato di antica civiltà cristiana che risale ai primi secoli della nostra era. Esso si trova incuneato tra Turchia a ovest, Iran a sud, Azerbaijan a est e Georgia a nord. Dalla sua posizione geografica appare evidente che esso deve gestire le sue relazioni diplomatiche con i suoi ingombranti vicini con particolare attenzione. In primis con la Turchia, stato con il quale persiste tuttora una forte tensione a causa del mancato riconoscimento da parte turca del genocidio perpetrato dall’Impero Ottomano contro la popolazione armena che viveva all’interno dello Stato ottomano. Ciò si ripercuote in difficili relazioni diplomatiche, nella chiusura delle frontiere tra i due Paesi, in un peggioramento delle relazioni commerciali etc. Soprattutto, però, ciò incide negativamente sulle relazioni a causa dell’appoggio incondizionato, militare e diplomatico, che la Turchia fornisce all’Azerbaijan sulla questione del territorio conteso tra Armenia ed Azerbaijan del Nagorno- Karabakh.

Questo territorio, conteso a partire dal 1992-1993, costituisce infatti una vera e propria “mina vagante” per la stabilità regionale che, -a causa della sua importanza per i flussi energetici- preoccupa molto anche l’Unione Europea. La questione irrisolta del Nagorno-Karabakh lega indissolubilmente l’Armenia alla Russia che si atteggia a sua “ protettrice” nel conflitto e aspira al ruolo di “mediatore “ tra Armenia e Azerbijan, pur essendo chiaro che essa ha interesse a mantenere lo status di “ conflitto congelato” piuttosto che di risolverlo definitivamente perché ciò sarebbe contrario ad i suoi interessi regionali che le consentono di esercitare una pressione ed un’influenza a livello regionale ed internazionale quale mediatore presumibilmente imparziale.

I rapporti dell’Armenia con l’Iran sono piuttosto buoni e sono impostati in modo pragmatico, a smentita del fatto che la confessione religiosa sarebbe un elemento determinante nelle relazioni interstatuali. L’Armenia è quindi entrata negli ultimi tempi nell’Unione Doganale/Unione Eurasiatica a leadership russa ed ha quindi dovuto giocoforza interrompere o sospendere l’integrazione con l’Unione Europea nell’ambito della “Eastern Partnership”. Il pericolo proveniente dall’Armenia per quanto riguarda la stabilità regionale proviene essenzialmente dal riaccendersi dal conflitto con l’Azerbaijan per il Nagorno- Karabakh, conflitto a bassa intensità che potrebbe deflagrare improvvisamente con gravi conseguenze per l’equilibrio e la stabilità regionale.

Azerbaijan: è uno Stato di grandi tradizioni culturali e di cultura islamica nella sua variante sciita che presenta forti somiglianza culturali con l’ Azerbaijan iraniano dal quale fu separato dai russi con il Trattato del Gulistan del 1813. Ora è dominato dalla “ dinastia” degli Aliyev che regna incontrastata sul paese dalla fine della dominazione sovietica. Lo Stato è un regime autoritario che si fonda in buona parte sull’esportazione di gas e petrolio e è fondamentale anche per il transito delle fonti energetiche provenienti dall’area del Mar Caspio. Proprio questa sua posizione di hub energetico lo rende un attore molto ricercato e strategico per la comunità internazionale. Infatti, il gas azero(e di rimando quello turkmeno che passa per l’Azerbaijan) risulta essere fondamentale per lo svincolamento energetico dell’Unione Europea dalla Federazione Russa con la relativa “guerra dei gasdotti”(Nabucco, South Stream ) cui abbiamo assistito negli ultimi anni. Anche per l’Azerbaijan, come per l’Armenia, la questione del Nagorno-Karabakh rappresenta un grave pericolo d’instabilità regionale perché, nel caso di una sua deflagrazione, potrebbe interrompere il traffico energetico verso l’Europa e quindi arrecare un cospicuo danno economico anche allo stesso Azerbaijan, cosa di cui si rende ben conto anche Bruxelles, che, insieme all’OSCE, ha intrapreso un processo di mediazione tra le parti in conflitto che porti a una soluzione del problema rappresentato dal territorio conteso. Per il momento l’Azerbaijan non è particolarmente soggetto all’integralismo islamico perché il regime autoritario del Presidente Aliyev riesce a mantenere con metodi efficaci ma brutali la laicità e l’ordine nel Paese. L’assenza di democrazia nel Paese, e in presenza di una mancata crescita economica potrebbe però portare in futuro la popolazione a ribellarsi al regime, mettendo così in pericolo la stabilità regionale.

Georgia: anch’essa, come l’Armenia, di notevoli ed antiche tradizioni cristiane, è uno Stato che si appresta molto lentamente ad essere integrato nell’Unione Europea. E’ stato in grado di portare avanti delle riforme che ne hanno sensibilmente migliorato l’economia, rendendolo in parte adatto ad affrontare il mercato europeo grazie ai DCFTA (Deep and Comprehensive Free Trade Agreement) che regolano le modalità di accesso ai mercati dell’Unione, in particolare per quanto riguarda il settore agricolo, in particolare il vino. Dal punto di vista della sicurezza è però in corso da molti anni un braccio di ferro con la Federazione Russa per quanto riguarda l’appartenenza statuale delle due province secessioniste dell’ Ossezia del sud e dell’Abkhazia, due province che facevano parte del territorio georgiano ma erano abitate da minoranze che non riconoscevano il potere georgiano, frutto del “divide et impera” di marca staliniana per dividere le popolazioni e così far gestire l’equilibrio da Mosca. Oggi le enclavi russe in territorio nominalmente georgiano, oltre a essere territori di gran pregio dal punto di vista economico e strategico, hanno lo scopo principale, nelle intenzioni di Mosca, di non fare accedere la Georgia alla NATO perché Paese con contenzioso territoriale ed anche di non farla accedere all’Unione Europea. Le regioni georgiane annesse de facto e de jure da Mosca con un processo ancora in corso (annessione strisciante) costituiscono un problema per la sicurezza della Georgia e anche per la stabilità internazionale perché lì si fronteggiano direttamente, o per interposte forze, la Russia, gli Stati Uniti e l’Unione Europea. La Georgia rappresenta quindi, potenzialmente, e, di fatto, un possibile, se non probabile, terreno di scontro tra una Russia che intende parzialmente riaggregare gli ex territori sovietici perduti e l’Occidente.

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Ilham-Aliev, Presidente dell'Azerbaijan con la moglie

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