LA SITUAZIONE IN LIBIA

LA SITUAZIONE IN LIBIA

Il generale Khalifa Aftar

Il generale Khalifa Haftar

Cercare di far in modo che in Libia si faccia prevalere l’interesse comune del Paese su divisioni, tribalismo e personalismo…sarà difficile, almeno per ora.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

1.Situazione attuale.

La Libia ha più che raddoppiato la sua produzione di petrolio arrivando a 700 mila barili al giorno (b.p.d.) negli ultimi mesi anche se rimane lontana dagli 1,6 milioni di b.p.d. prima della guerra USA – NATO – Francia – U.K. del febbraio 2011.

Il Paese resta ancora diviso in tre zone – Tripolitania, Cirenaica e Fezzan – controllate da numerose e confliggenti milizie locali.

In questo contesto, la Russia raggiunge un accordo con il generale della Cirenaica Khalifa Haftar anche sul petrolio.

Il colosso russo del petrolio Rosneft e l’ente Libia National Oil Corporation (Noc) raggiungono un accordo di collaborazione anche per esplorazione e produzione del petrolio.

Russia ed Egitto si inseriscono anche nei negoziati interni tentati, fra gli altri, da Sarraj per il raggiungimento di un accordo con il generale Haftar, che dopo mesi di trattative e nonostante gli sforzi dell’inviato delle Nazioni Unite, Martin Kobler (a fine mandato), non porta ad alcun risultato.

Al Serraj non riesce ad avviare un dialogo né con il parlamento di Tripoli né con il gruppo di potere raccolto intorno al generale Haftar, capo della Lybian National Army che controlla parte della Cirenaica e risponde alla Camera dei Rappresentanti di Tobruk.

L’attentato in Tripolitania del 21 febbraio dimostra che anche il dialogo con la “Guardia Nazionale” di Ghwell, la componente islamista delle milizie di Tripoli, non solo funziona ma riprende gli attentati.

Poche ora prima di finire sotto il fuoco dei miliziani fedeli a Ghwell, Al-Serraj prende atto dell’impossibilità di arrivare a un accordo con il generale Haftar e, in un’intervista alla Reuters, ammette il sostanziale fallimento dei colloqui svolti al Cairo.

Al-Serraj ritiene auspicabile un intervento della Russia nelle vicende libiche e, in particolare, trova utile che Mosca funga da intermediaria fra lui e Haftar, nella speranza di assumere il ruolo di mediatore nel processo di pacificazione in Libia.

Di fatto, Al-Sarraj ammette la scarsa efficacia delle iniziative dei suoi sponsor internazionali, ONU, USA e l’Italia.

Dall’altra parte, i Paesi confinanti con la Libia guardano con preoccupazione alla novità russa, tanto che il 20 febbraio il ministro degli esteri egiziano, Sameh Shoukry, e il suo omologo algerino, Ramtane Lamamra, si incontrano a Tunisi con il presidente tunisino Beji Caid Essebi per discutere di stabilità in Libia, “evitando ingerenze straniere”.

L’Egitto, che non ha mai nascosto il suo appoggio ad Haftar, ambisce ad assumere un ruolo guida nella soluzione dei problemi del Paese confinante nel timore di ricadute negative in Egitto.

Il presidente egiziano Sisi riceve nella capitale il rappresentante ONU Kobler che incontra anche il capo di Stato Maggiore dell’esercito egiziano, Mahmoud Hegazy.

Quindi, a sei anni dalla scellerata guerra in Libia, nonostante le iniziative delle Nazioni Unite e delle diplomazie occidentali, nel Paese distrutto scendono in campo nuovi protagonisti internazionali: Russia, Egitto, Tunisia e Algeria. Ma la Russia protagonista sul fronte mediterraneo inquieta i Paesi contermini.

2.I dati dell’ ”Organizzazione internazionale delle migrazioni” (OIM) di fine febbraio 2017.

L’OIM chiarisce che dopo il naufragio e la morte di 74 migranti lungo la costa di Zawiya, sono trovati altri 27 corpi: 14 annegati in mare, vicino alla città occidentale di Zuwara, e 13 soffocati in un container a Khoms.

Sono tutte città della Tripolitania, teoricamente sotto il controllo del Governo di Unità Nazionale (GUN) di Al-Sarraj, firmatario dell’intesa con l’Italia.

L’OIM aggiunge che:

  • nel 2017 il numero dei migranti morti mentre tentavano di raggiungere l’Europa è di 366, di cui 326 scomparsi sulla rotta libica, il 300% in più rispetto allo stesso periodo (primo gennaio – 22 febbraio 2016), quando le vittime furono 97;
  • dopo la chiusura de facto della rotta balcanica, la via preferenziale è tornata quella dei barconi dalle coste nordafricane: 13.924 migranti, di cui il 75% approdati in Italia e il restante 25% in Spagna e Grecia.

In questo quadro, la debolezza di Al-Sarraj si rivela quando il 21 febbraio ancora una volta violenti scontri esplodono a Tripoli fra le brigate della sicurezza centrale legate al GUN e il gruppo Salah al-Barki, che fa capo al Governo di Salvezza Nazionale, disciolto dopo la nascita del GUN, ma ancora attivo sotto la guida di Khalifa Ghwell.

Almeno 10 morti e 27 feriti è il bilancio degli scontri nella zona di Abu Salim, a Sud della capitale. A scatenare le violenze è l’arresto di 4 membri delle brigate di sicurezza da parte delle milizie di Ghwell. La Mezzaluna Rossa non ha potuto accedere nella zona a causa del fuoco incrociato che imprigiona i residenti della zona.

Ghwell sostiene di aver preso contatti con le brigate al-Barki per il cessate – il – fuoco, ma la sua presenza rimane un fattore di destabilizzazione: di là dei brevissimi golpe-farsa commessi nei mesi scorsi, Ghwell ha dalla sua parte milizie che non riconoscono il GUN e mantengono il controllo di zone della capitale e della Tripolitania. Sempre il 21 febbraio, il convoglio su cui viaggiava il premier del GUN è stato assaltato vicino all’Hotel Rixos, quartier generale di Ghwell.

Sull’altro lato, la Cirenaica si comporta come “normale” autorità: il governatore militare, al-Nadhouri, nominato dal generale Haftar, emette un ordine che vieta l’espatrio ai cittadini fra i 18 e i 45 anni ma lo stesso giorno, a causa delle proteste locali, Haftar lo annulla mentre è definito “ridicolo” da Tripoli, ma la mossa di Nadhouri indica in realtà il potere del rivale del GUN che non intendere scendere a patti.

Haftar, in altri termini, è convinto di godere di un potere negoziale più radicato di quello di Sarraj. Ma forse Haftar sbaglia i calcoli sia sulle sue forze interne sia sul supporto esterno.

All’interno, la sua forza militare è esclusivamente intorno a Bengasi e parzialmente al Sud.

I tentativi di coinvolgere Zintan nella presa di Tripoli si sono scontrati contro un rifiuto.

Sul piano internazionale, i russi sono più interessati a raggiungere un accordo politico per dimostrare di aver avuto successo dove l’Occidente ha fallito.

3.L’affidabilità di Khalifa Haftar.

Un aspetto poco noto di Haftar è pubblicato sul quotidiano “Al-Araby Al–Jadeed,” nell’articolo di Abdullah al-Sharif, in cui si sostiene che nella Libia orientale l’attuale situazione di violento caos dipende dal fallimento di Haftar nel controllo di Bengasi, dove da circa 3 anni si combatte una battaglia contro le forze del Consiglio della Shura.

La narrazione del quotidiano dischiude eventi non approfonditi dalla maggior parte dei media e che si sintetizzano qui di seguito.

Le milizie di Haftar si sono formate su base tribale tra l’inizio e la metà del 2014 nel quadro dell’ ”Operazione Dignità”, sotto l’ombrello della “lotta al terrorismo”.

Ottenuto l’appoggio dei leader dei gruppi tribali, Haftar trasforma il progetto militare in un progetto politico attraverso l’inclusione dei suoi alleati tribali nel parlamento di Tobruk, diventato ormai una fazione politica.

Accade però che pur se Haftar si autonomina comandante supremo delle forze armate molti dei suoi leader lo abbandonano:

  • il suo portavoce, il maggiore Mohammad Hijazi, lo lascia all’inizio del 2015, pur essendo stato uno dei fondatori dell’operazione;
  • segue il comandante del distretto militare delle Montagne Verdi, il colonnello Faraj al-Barasi;
  • va via anche il colonnello Mahdi al-Barghathi, uno dei maggiori esponenti dell’”Operazione Dignità”, che annuncia anche la sua alleanza con il governo di riconciliazione, dove attualmente è ministro della Difesa.

Il declino di Haftar – secondo Al-Arabi Al-Jadeed – inizia dopo notizie contrastanti sulla presenza di divisioni all’interno del gruppo tribale al-Barghathi, che controlla l’Est di Bengasi fino alla città di al-Marji, fortezza del generale Haftar.

Inoltre, esponenti di altre tribù chiedono al generale di spiegare la sua posizione in merito all’attacco subito da uno dei suoi più importanti membri, il colonnello Barasi, vittima di un raid condotto da un gruppo armato dello stesso Haftar.

Successivamente, il membro del parlamento Muhammad al-Dherath rivela che il crescente fenomeno di omicidi nella regione orientale sarebbe dovuto al raggiungimento di successi politici che rappresenterebbe per Haftar un’opportunità per liberarsi di suoi alleati al comando dell’ “Operazione Dignità“.

Inoltre, il parlamentare:

  • descrive i seguaci di Haftar come “bande criminali” pagate per operare in seno all’ ”Operazione Dignità” e valuta “fragili” i suoi annunci per combattere il terrorismo e “falsi” alla luce della mancanza di autorità sul campo da parte di Haftar;
  • prevede l’inizio di una violenta guerra tribale a Est, fra oppositori e coloro che desiderano dividersi la posta in gioco con Haftar in seguito al deterioramento della situazione in Cirenaica.

In merito, Dherath sottolinea come, dopo 2 anni di una guerra non immune da veri e propri crimini, Haftar stia tentando di raggiungere risultati importanti nell’ultima zona di Ganfuda per liberarsi da quei militanti che sono testimoni dei crimini commessi e potrebbero condurlo dinanzi alla Corte Penale di Giustizia. In altri termini, il parlamentare ritiene che i giorni di Haftar siano giunti al termine e che prevarrà il caos in Cirenaica come nel resto della Libia con scontri tra le milizie del generale e i combattenti Sahawat. Dherath esorta quindi la popolazione a ribellarsi contro Haftar e i suoi alleati per evitare il caos. Non emergono al momento riscontri sulla narrativa su citata.

Nel frattempo al Sarraj, dopo il fallimento del vertice egiziano con Haftar, il 2 marzo vola a Mosca per incontrare il ministro degli esteri Lavrov e consolidare l’iniziale apertura della Russia che intende evitare un’escalation bellica e giungere invece alla stabilizzazione del Paese da usare come sponda per l’ingresso nel Mediterraneo.

Sul tavolo c’è anche il greggio, atteso che – come su scritto- la Rosneft russa ha da una settimana firmato l’accordo con la Noc per l’esplorazione e l’estrazione di petrolio.

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Mappa etnica della LIbia

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