Altro anniversario della Primavera Araba: qual è il bilancio?

Altro anniversario della Primavera Araba: qual è il bilancio?

Come già scritto...l'analisi geopolitica si fa sulle mappe!

Come già scritto…l’analisi geopolitica si fa sulle mappe!

E’ passato più di un lustro da quando il mondo gridò al miracolo per la ‘primavera araba’ che si è rapidamente mostrata essere, in alcuni paesi, un triste autunno o un buio inverno. Non certo una vincita per molte popolazioni arabe e una destabilizzazione quasi totale in quel settore strategico. Di seguito una pacata circostanziata analisi della situazione attuale.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Un altro anno è trascorso da quando, alla fine del 2010, s’è levato il vento della primavera araba in alcuni paesi, Tunisia ed Egitto su tutti.

A differenza degli altri anniversari però si son viste poche manifestazioni di piazza, vuoi per la delusione per i risultati di una rivoluzione che non ha portato i frutti sperati, vuoi per paura.

Un vento rivoluzionario che non è riuscito a generare – pur spazzando via alcuni dittatori – delle democrazie stabili in Medio Oriente, ad eccezione della ancor incompiuta e abbozzata genesi tunisina che, comunque, ha prodotto una nuova Costituzione, un Parlamento democraticamente eletto e finanche un premio Nobel per la pace assegnato al National Dialogue Quartet.

E’ qualcosa, ma molto deve essere ancora fatto in materia di libertà, giustizia ed equità sociale.

Gli anniversari sono l’occasione per rinsaldare le file di coloro che sono favorevoli alle rivoluzioni e di quelli contrari; servono però anche a ricordare tutti quelli che hanno perso la vita, dal giovane tunisino Mohammed Bouazizi sino all’ultimo manifestante di piazza Tahrir.

Rivoluzioni che indubbiamente hanno accelerato la caduta dei regimi di Ben Ali, di Mubarak, di Gheddafi, di Ali Abdullah Saleh, indebolito il regime di el Assad e sconquassato molte monarchie, ma hanno altresì alimentato un caos degenerativo che ha messo a nudo tutte le fragilità del mondo arabo.

La Tunisia è l’unico Paese che ha tratto beneficio dalla rivoluzione che ha rovesciato il Presidente Ben Ali ma solo perché, a differenza di quanto è avvenuto in Egitto con la rivoluzione prima e la controrivoluzione poi, sin dall’inizio è stata in grado di mantenere un barlume di libertà a favore dei giovani, degli studenti, delle donne, dei lavoratori, degli intellettuali.

Libertà che ha consentito al Paese di rafforzare una società civile organizzata, fortificare i partiti politici d’opposizione e consolidare il dialogo tra i vari poteri dello Stato, compreso il ruolo delle Forze Armate meno invasive che in altre parti dove la brutalità della repressione ha ingrossato le fila della popolazione silenziosa.

Il fattore economico è stato comunque decisivo nel far esplodere le proteste di piazza in Tunisia, in Egitto e in Siria: tassi di povertà altissimi, squilibrio tra i ricchi e poveri, disoccupazione giovanile alle stelle, dilagante corruzione e concentrazione del potere nelle mani di pochi.

A tutto ciò, in Libia e nello Yemen si è aggiunto il combinato disposto della presenza di leader egocentrici come Gheddafi e Saleh.

Libia allo sbando, frastagliata in decine di tribù e centinaia di milizie, con un governo di unità nazionale che non controlla tutto il territorio, con una situazione economica sull’orlo del fallimento e con decine di miliardi di dollari di mancati proventi dall’estrazione del petrolio.

Yemen al collasso, in balia dei ribelli e in cui continuano a essere perpetrati i crimini contro l’umanità.

Prendendo a prestito le parole dello scrittore marocchino Taoufik Bouachrine, la primavera araba è “….come un bambino venuto al mondo per errore…“, così alcuni genitori seppur a fatica decidono di tenerlo in vita e conviverci insieme (vedi la Tunisia e il Marocco), altri preferiscono sopprimerlo poco dopo la nascita (Egitto e Yemen), o strangolarlo ancora in fasce (Siria), oppure rifiutandosi di allattarlo e di curarlo (Libia).

La primavera araba che tra morti e feriti ha coinvolto più di 1 milione e mezzo di cittadini, ha causato 15 milioni di rifugiati, è costata più di 900 miliardi di dollari ed ha sciaguratamente causato la perdita di 100 milioni di turisti, ha dunque finito di soffiare?

Non possiamo rispondere come fece Zhou Enlai a Henry Kissinger nel 1971 alla domanda su cosa pensasse della Rivoluzione Francese avvenuta due secoli prima:”….e’ troppo presto per dirlo…“.

Purtroppo, sembra proprio di sì, basti pensare all’Egitto che, come nel gioco dell’oca, è tornato al punto di partenza, se non peggio, o vedere come sono ridotte la Siria, la Libia o lo Yemen, terre smembrate, di conquista e rifugio di terroristi jihadisti, tristi biglietti da visita che scoraggiano qualsiasi cambiamento.

Cambiamento che però è imprescindibile, ma di certo non può avvenire sulla pelle dei cittadini e distruggendo i tessuti sociali ed infrastrutturali dei paesi.

Cambiamento che non deve essere a vantaggio d’interessi esterni da parte di paesi viciniori nella regione o delle potenze occidentali, bensì portato avanti dagli stessi cittadini e funzionali agli interessi nazionali del proprio paese.

In questi sei anni però abbiamo metabolizzato alcune verità dall’informe susseguirsi degli accadimenti nei paesi arabi.

Il “mondo” arabo non può più essere sommariamente catalogato come un unicum; pertanto, dobbiamo conseguentemente parlare di “mondi” in cui ciascun paese non è omologabile con nessun altro e fa storia a sé: la Tunisia non è l’Egitto e la Libia non è la Siria.

La stragrande maggioranza della popolazione mediorientale ha la voglia/necessità di vivere in una regione riappacificata, di abitare in stati che garantiscano il rispetto dei diritti e la libertà, l’applicazione di una solida Costituzione e una vita dignitosa e tranquilla.

E’ altresì evidente che i vari paesi non hanno bisogno di leader che abusano del potere o di forze politiche e movimenti incapaci di tradurre gli slogan in azioni politiche concrete; il fallimento dei Fratelli Musulmani in Egitto ne è l’esempio più evidente.

La maggior parte dei cittadini non sembra più disposta ad accettare e subire passivamente delle politiche restrittive e limitanti da parte dei governanti, così come appare sempre più allergica e insofferente agli interventi esterni da parte delle nazioni guida dell’ordine mondiale, peraltro in una fase di ridefinizione e d’assestamento, e delle nazioni con un passato coloniale.

Da più di un lustro alcuni paesi, più di altri, sono alle prese con delle situazioni interne che stanno mettendo a dura prova la loro stessa sopravvivenza senza alcuna prospettiva, basti pensare alla Libia, all’Iraq e allo Yemen; altri iniziano ora ad avere qualche piccolo problema interno, vedi i paesi del Golfo.

Di certo, il ruolo dell’Iran e della Turchia nella regione, due paesi non arabi, fatica a mantenersi centrale e propositivo all’interno di una galassia araba che sempre meno accetta il loro ruolo di leadership.

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Il giornalista tunisino Taoufik Bouachrine

Il giornalista tunisino Taoufik Bouachrine

 

 

 

 

 

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