ELEZIONI IN LIBANO

ELEZIONI IN LIBANO

Saad Hariri

Saad Hariri

Il Libano sembra passato di moda….eppure è un mondo in fibrillazione, vicino a Israele, sede di Hezb’Allah di osservanza iraniana; uno stato con 17 minoranze religiose che devono convivere. Uno sguardo sulle recenti elezioni politiche a Beirut.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini                         

Il governo Hariri, formato da poco più di un mese, in discontinuità con il lungo periodo d’impasse degli ultimi due anni, decide la ripresa degli studi per lo sfruttamento dei giacimenti di gas e petrolio al largo delle sue coste, ambite anche dal sempre presente Israele.

La seconda notizia è la visita diplomatica del presidente Aoun a Ryadh per ristabilire un dialogo con il re Salman bin Abdel Aziz al fine di riavviare i rapporti economici e diplomatici diventati difficili nel precedente anno.

Aoun, con il sostegno di Hezb’Allah, si presenta nella penisola araba da vincitore, soprattutto dopo le sconfitte in Siria dei gruppi jihadisti legati ai sauditi ma anche pronto a ristabilire un dialogo fondamentale per l’economia libanese.

Aoun e il movimento islamico dettano di fatto l’agenda al premier Hariri, già pupillo dell’Arabia Saudita, della quale ha anche la cittadinanza.

Dopo lunghe e numerose consultazioni, il neo-premier riesce a formare un governo di unità nazionale, realizzando una larga coalizione governativa che nei numeri concede ampio margine di manovra alla corrente “8 Marzo” di Hezb’Allah, e Corrente Libera-cristiano maroniti di Amal.

Su 30 ministri, 19 appartengono a questa corrente (con 5 designati direttamente dal presidente Aoun) mentre il resto fa parte della coalizione opposta del “14 Marzo” che raggruppa le forze del movimento “Futuro” (Mustaqbal) di Hariri e le Forze libanesi del maronita Geagea.

Unica forza rimasta fuori dal governo di unità nazionale è il partito di estrema destra delle Falangi Libanesi (Kataeb), del leader Sami Gemayel, che rifiuta di farne parte.

La creazione di cinque nuovi ministeri rispecchia le reali necessità e problemi che il Paese sta vivendo in questi anni: la lotta contro la corruzione, i diritti della Donna, i diritti dell’Uomo, i Rifugiati, gli Affari della Presidenza.

Quest’ultimo ministero riguarda un aspetto di peculiare valenza: i compiti del presidente della Repubblica e la sua funzione di “mediatore” con nazioni come l’Iran e l’Arabia Saudita, confermate dall’attuale visita del presidente al re Salman.

Il programma politico del governo riflette il pensiero non tanto di Hariri ma quello del segretario generale di Hezb’Allah, Sayyed Hassan Nasrallah.

Infatti, in numerose interviste, Nasrallah spiega che “Per il Libano occorre cambiare la legge elettorale in modo che questa rispecchi la reale volontà popolare ed è necessario risolvere il problema della corruzione politica, dei servizi essenziali (acqua potabile, elettricità e smaltimento dei rifiuti) e della questione dei profughi siriani”.

In politica estera, viene confermato il sostegno politico a Bashar al-Assad; consolidato il legame economico e militare con l’asse russo-iraniano, si cerca di riaprire un colloquio con Arabia Saudita e Paesi del Golfo”.

Dopo diversi anni, il leader di Mustaqbal comprende che l’unico modo per risolvere l’empasse politica interna è il dialogo e la concertazione con Hezb’Allah.

Hariri ha dovuto piegarsi verso la strada della conciliazione anche per diversi motivi oggettivi, di cui il primo è legato alla congiuntura regionale totalmente sfavorevole al suo principale partner e sostenitore politico, l’Arabia Saudita, sconfitta nel conflitto siriano e in netta difficoltà in quello yemenita.

Il secondo è la situazione economica e finanziaria delle sue società in netta difficoltà fino al verdetto di condanna per bancarotta ricevuto pochi mesi addietro dal tribunale di Rihadh.

Un passo indietro per una comprensione più articolata degli eventi.

In Libano sono presenti 17 minoranze religiose fra cristiani maroniti, drusi, sunniti e sciiti.

La legge elettorale ha sempre tenuto conto di questo elemento, garantendo una distribuzione dei seggi sulla base comunitaria in proporzione alle dimensioni delle stesse comunità in ciascun distretto elettorale.

In base alla legge, il presidente della repubblica appartiene ai cristiani maroniti mentre il premier alla componente sunnita.

Questo compromesso ha consentito il raggiungimento e il consolidamento di un equilibrio per diversi anni ma ora, dopo la formazione del nuovo governo, è sorta una disputa per cambiare la precedente legge elettorale, mal accettata da ogni fronte partitico e dalla popolazione, che chiedono un nuovo approccio alla vita politica.

I libanesi sono andati al voto per l’elezione del parlamento nel 2009.

Le votazioni furono seguite dal noto “Accordo di Doha”, in Qatar, dove le varie fazioni politiche raggiunsero un’intesa accettando da Hazb’Allah e i suoi alleati un quasi “colpo di Stato” contro l’allora primo ministro Fouad Siniora.

In altri termini, Doha ha fornito al movimento islamico sciita e il suo principale alleato Michele Aoun, attuale presidente del Libano, una legge elettorale su misura.

Il vuoto presidenziale durato più di due anni ha costretto l’attuale formazione parlamentare di estendere, in maniera invero incostituzionale, il proprio mandato che scadrà il prossimo giugno.

Di conseguenza, con pochi mesi a disposizione, ogni forza politica sta lavorando a una nuova legge elettorale che possa garantirgli il massimo della vittoria.

Pare che al momento la maggior parte dei politici cristiani, guidati dal blocco di Aoun, spingano per una legge elettorale moderna con sistema proporzionale, legge che gli garantirebbe un netto scarto rispetto ai partiti non cristiani.

In contrasto, gli altri partiti fra cui spicca il leader druso Walid Jumblatt, sono totalmente contro il proporzionale, che toglierebbe il diritto di voto ai partiti di minoranza.

Il ruolo più sottile della partita è di Hezb’Allah, dal quale si aspetta il netto sostegno alla riforma elettorale di Aoun per la loro alleanza più che decennale.

Tuttavia, il rifiuto del maggioritario per il proporzionale sembra andare contro gli interessi di Hezb’Allah nonché contro quelli del secondo partito sciita Amal, il cui leader però è ostile a Nasrallah.

Secondo alcuni analisti, in realtà si tratterebbe di una strategia che è parte di un programma ben più grande: sarebbe una tattica a lungo termine mirata a fare di Hezb’Allah una succursale dell’Iran in Libano.

Non avendo mai riconosciuto la validità degli Accordi di Ta’if che misero fine alla guerra civile libanese all’inizio degli anni ’90, Hezb’Allah non ha mai appoggiato, né auspicato a fare parte dello Stato libanese. Piuttosto, si è tenuto in disparte concentrandosi sulla sopravvivenza di uno Stato parallelo mirante alla salvaguardia degli interessi della rivoluzione iraniana.

Quindi, secondo quest’analisi appoggiare il proporzionale è in realtà un tentativo di far implodere lo Stato libanese per indurlo a rinunciare alla formula concordata a Ta’if.

Obiettivo, questo che sarebbe condiviso da Aoun.

Nel quadro generale, il coinvolgimento di Hezb’Allah nella guerra siriana lo ha esposto al livello interno ed esterno: la crescente e visibile tensione fra Russia e Iran sulla Siria ha messo in svantaggio il partito sciita, poiché la maggiore influenza di Mosca nella regione potrebbe erodere la sua posizione a livello locale.

Quando per Hezb’Allah verrà il momento di ritirarsi dalla scena siriana, la Russia andrà in cerca di partner di confessione sunnita per mettere a posto la situazione sulla vicina Siria.

Il supporto di Hezb’Allah per una semplice legge elettorale può sembrare innocuo, ma bisogna fare attenzione.

Anche una piccola mossa come questa può fare aprire il vaso di Pandora.

Bisogna ricordare che se tutta questa manovra elettorale fallirà, Hezb’Allah può sempre tornare a fare quello che sa fare meglio: prendere mano alle armi e ottenere tutto ciò che vuole.

E intanto non manca Israele, che lungo il confine con il Libano aumenta la tensione sul terreno e con i media secondo i quali il Libano di Hezb’ Allah è la minaccia numero 1, l’Iran numero 2 e 3 la resistenza palestinese.

Haaretz afferma che l’arsenale del movimento sciita ha oltre 130 mila missili di nuova produzione iraniana e russa, con una gittata dai 40 ai 300 kilometri in grado di colpire qualsiasi obiettivo.

Ancora una volta è Sayyed Hassan Nasrallah a dichiarare che “Israele continua con la propria propaganda colonialista e di aggressione…dopo l’investitura di Trump, gli israeliani dimostrano che hanno bisogno del permesso americano per scatenare una nuova guerra contro il Libano….. visto che alcuni Paesi arabi (alludendo ad Arabia saudita, Emirati Egitto e Giordania, ndr) sono pronti a pagare i costi di questa guerra.

Nasrallah non è solo. Gli fa eco il presidente Aoun il quale afferma che “ non tollererà più nessuna aggressione israeliana contro il territorio libanese”, aggiungendo che “Hezb’Allah e la resistenza libanese sono una risorsa complementare a quella dell’esercito libanese per la difesa dei confini nazionali”.

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Sayyed Hassan Nasrallah (Photo courtesy: hassannasrallah.jimdo.com)

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(Photo courtesy: hassannasrallah.jimdo.com)

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