Perchè ci attaccano ? Al Qaeda, l’Islamic State e il terrorismo “fai da te”.

Perchè ci attaccano ? Al Qaeda, l’Islamic State e il terrorismo “fai da te”.

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E’ recentemente stato pubblicato un nuovo libro sul terrorismo, dal titolo “Perché ci attaccano – Al Qaeda, l’Islamic State e il terrorismo “fai da te””, che focalizza l’attenzione sugli attacchi compiuti nelle nostre città.

L’Autore, Laura Quadarella Sanfelice di Monteforte (membro del nostro Comitato Scientifico), profondo conoscitore della materia e già autore di numerose opere sul tema, conduce un’analisi che spazia dalla propaganda jihadista agli attentati che homegrown terrorist e foreign fighter di ritorno mettono in pratica in Occidente.

Si tratta di giovani che rispondono agli inviti di Al Qaeda e Islamic State, in competizione per la leadership della galassia jihadista, e «ci attaccano» agendo di rado in modo totalmente autonomo. Dallo studio degli attentati, e soprattutto della notevole mole di materiale diffuso in rete, si comprende quali attacchi sono condotti e coordinati da gruppi jihadisti e quali semplicemente ispirati dalle loro idee.

Si riesce quindi a rispondere a domande come quella che ha dato il titolo al libro e a ipotizzare «chi, quando e dove ci attaccherà», perché comprendendo le ragioni che li spingono a radicalizzarsi e passare all’azione violenta, e chi li spinge in tale direzione, si può in parte prevedere quale potrà essere nel prossimo futuro la situazione anche nelle nostre città, consapevoli che il fenomeno del jihadismo non finirà annientando i gruppi che lo promuovono.

Il libro, che si rivolge ai lettori più esperti come a quelli che non conoscono la materia, propone vari livelli di approfondimento, laddove ogni paragrafo si compone di titolo, bullet point, testo e numerose immagini con ricche didascalie.

Un brano dal volume:

Introduzione[1]

In questi ultimi anni gli attacchi portati a termine in Occidente in nome di un gruppo jihadista, o comunque di tale causa, si sono moltiplicati, tanto da rendere la paura del terrorismo una costante della nostra quotidianità. Sentimenti di paura, fortunatamente ancora non di terrore, crescono nelle nostre società, che vivono tra il timore di venire in futuro condizionate, se non (per alcuni) addirittura spazzate via dal Califfato, che avanza e minaccia di arrivare sino da noi, e la preoccupazione presente che il nostro “vicino di casa musulmano” si trasformi improvvisamente in un attentatore suicida.

Si tratta di paure non pienamente giustificate, anche perché si devono capire la ragioni profonde del jihadismo e della radicalizzazione di molti giovani, che vivono nelle nostre società con un disagio che spesso non siamo in grado di interpretare, ma che ha natura psicologica, e potremmo evitare.

Così come si devono comprendere le finalità di gruppi che sono in realtà in lotta principalmente tra di loro, e non contro di noi, ma che ci attaccano per due ordini di ragione: beneficiare del ritorno mediatico di un attacco in Occidente; far capire ai Paesi occidentali di non ostacolare il loro piano per la ricostituzione di quel Califfato che manca alla ummah dalla fine della Prima Guerra Mondiale.

Ma una delle principali cose da capire è che in questo momento lo scontro è soprattutto interno alla galassia jihadista, polarizzata tra Al Qaeda ed Islamic State (e i rispettivi gruppi affiliati), due network che sono in lotta per la leadership jihadista, perché rivali sono i loro rispettivi leader. Noi Occidentali veniamo in primis attaccati per la forza mediatica che un attacco nelle nostre città provoca, con il conseguente spostamento in favore dell’organizzazione che ha promosso l’attacco, o che comunque ne rivendica la paternità, di nuovi gruppi affiliati e sempre più numerosi foreign fighter pronti a combattere nei teatri di crisi. Nella competizione che oggi sta vivendo la galassia jihadista, ogni attacco spettacolare contro quelli che vengono additati come “infedeli”, con il consueto shock dell’opinione pubblica occidentale che fa da cassa di risonanza, procura sicuramente nuove dichiarazioni di fedeltà da parte di gruppi terroristici sparsi per il mondo, provoca defezioni in altri, fa aumentare combattenti e simpatizzanti. Tutto ciò, tra l’altro, nel caso dell’IS procura anche nuove forze che gli consentono di consolidarsi anche sul terreno, acquisendo un più stabile controllo sulle terre dell’autoproclamato Califfato.

Si attacca l’Occidente, dunque, soprattutto per prevalere sui nemici interni all’Islam, e ottenere così l’egemonia sulla ummah, la Comunità dei musulmani. Ma la visibilità degli attacchi in Occidente genera anche un altro fenomeno con effetto a spirale: il c.d. terrorismo “fai da te”, che promosso da Al Qaeda e Islamic State in parte si autoalimenta.

Si tratta delle azioni di homegrown terrorist e foreign fighter di ritorno, che agendo come lupi solitari o in branco, seguendo le direttive di un gruppo terrorista o da questo solo ispirati, colpiscono le nostre città nel modo più imprevedibile che esista, costituendo il vero rischio per le nostre società.

Si deve infatti distinguere tra le impressionanti minacce contro la nostra civiltà, che vediamo nei video e nei comunicati delle organizzazioni terroriste, ed i rischi reali del terrorismo “fai da te”, difficile da comprendere, prevenire e fermare, e sempre più centrale nelle strategie tanto di Al Qaeda quanto dell’Islamic State.

Entrambi i network jihadisti hanno infatti ormai apertamente abbracciato la metodologia lanciata anni fa dall’imam dal doppio passaporto yemenita e statunitense Anwar al Awlaki, ideatore e fondatore della rivista Inspire di Al Qaeda nella Penisola Arabica, ucciso nello Yemen da un drone nel settembre 2011. Possiamo anzi dire che l’influenza che al Awlaki esercita sull’attuale fenomeno del jihadismo sia oggi più forte che mai.

E proprio il terrorismo “fai da te” rappresenta il fulcro di questo studio, condotto analiticamente partendo dalla propaganda jihadista ed arrivando agli attentati che homegrown terrorist e foreign fighter di ritorno mettono in pratica in Occidente, rispondendo agli inviti di tale propaganda, che prima li radicalizza, poi li addestra, infine li indirizza verso l’obiettivo da colpire.

I dati così ottenuti, questo è il punto cruciale dell’analisi, sono incrociati con quelli che si ricavano dallo studio delle rivendicazioni che i gruppi jihadisti diffondono con comunicati, filmati ed articoli delle loro riviste.

Ecco allora che si chiariscono molti aspetti di questo fantomatico terrorismo “fai da te”, di cui tutti parlano ma pochi capiscono veramente, e si riesce a rispondere a domande quali quella che ha dato il titolo al libro: “perché ci attaccano”. E comprendendo questo, si può provare a capire “chi ci attacca” e, in modo approssimativo, “quando, come e dove ci attaccherà in futuro”. Si tratta di previsioni necessariamente approssimative, perché il fattore umano e l’emulazione sono fenomeni che non potranno mai fornire delle certezze assolute, ma quello che possiamo fare è capire cosa dice la propaganda jihadista ed a chi lo dice, per comprendere chi è a rischio radicalizzazione e chi potrebbe essere manovrato contro l’Occidente.

Sì, si deve usare il termine “manovrare” perché raramente gli attacchi realizzati in Occidente in nome di un Islam distorto sono commessi in modo totalmente autonomo da ragazzi privi di qualsiasi vincolo con alcun gruppo jihadista. Un collegamento diretto o indiretto c’è sempre, e va dal semplice utilizzo di materiale jihadista, al contatto con qualche facilitatore che supporta materialmente la realizzazione dell’attacco, o qualcuno che comunque è in grado di fornire quel legame informatico che consente ad esempio di inviare un video preregistrato all’organizzazione jihadista, fino ad arrivare alle cellule di giovani europei, composte da homegrown terrorist e foreign fighter, che sono direttamente coordinate da un gruppo che è legato ad uno dei due network jihadisti.

Possiamo schematizzare tre tipologie di attacchi del c.d. terrorismo “fai da te”: quelli direttamente diretti o quantomeno coordinati da Al Qaeda o Islamic State, seppur con ampia autonomia nella scelta degli obiettivi e nella fase realizzativa; quelli semplicemente ispirati, ma nei quali c’è un contatto almeno informatico tra gli attentatori e qualcuno delle due organizzazioni centrali; infine, quelli esclusivamente ispirati da uno dei due gruppi.

Se per gli ultimi il lavoro dei nostri servizi di informazione è sicuramente più difficile, gli attentati possono in gran parte essere prevenuti grazie alla collaborazione di tutti i cittadini nel segnalare qualsiasi comportamento appaia strano, e soprattutto grazie alla collaborazione con le Comunità islamiche locali e con una più attenta ricerca ed elaborazione di dati che si ricavano dalla rete, dove i jihadisti si radicalizzano, si incontrano, talvolta si addestrano, molto spesso hanno contatti con persone che appartengono alle organizzazioni centrali dei due network.

Dobbiamo infine, come società, capire il malessere dei giovani che si radicalizzano in cerca di un’identità e di valori per i quali vivere e morire; identità e valori che a causa della propria condizione una parte dei giovani musulmani con passaporto europeo non riesce a trovare né da noi né nei Paesi d’origine.

E dobbiamo agire senza illuderci che un’eventuale sconfitta sul campo di IS metta fine a questa forma di terrorismo: essa è stata infatti creata da AQ, ed è promossa tanto da AQ quanto da IS, seppur con le diverse modalità che vedremo, e in realtà per il singolo autore del terrorismo “fai da te” agire per uno o l’altro dei due attuali network del jihadismo è quasi irrilevante.

[1] Le opinioni espresse si riferiscono all’Autrice, e non corrispondono necessariamente alla posizione dell’Amministrazione di appartenenza.

Aracne Editrice, pp. 272.€ 22.00

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