CONFLITTO INTERNO IN IRAQ

CONFLITTO INTERNO IN IRAQ

Muktada Al Sadr

Muktada Al Sadr

A causa degli avvenimenti siriani, non si parla dell’Iraq come se fosse ormai stabilizzato. Quando invece avviene un attentato allora si comprende che in Iraq la pace non c’è . Chi potrebbe unificare il paese? Forse Muqtada Al Sadr, giovane con un largo seguito e consenso popolare.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

A Baghdad, la mattina dell’ 11 febbraio si registrano scontri fra i sostenitori del religioso sciita Muqtada al Sadr e le forze di polizia.

Migliaia di manifestanti provano ad attraversare il ponte che collega piazza Tahir alla Zona Verde, dove sono allocali i palazzi del potere, le ambasciate e le sedi delle organizzazioni internazionali.

La risposta delle forze di sicurezza è immediata e violenta: restano uccisi quattro manifestanti e un poliziotto e feriti 174 protestanti la cui maggior parte è trasportata in ospedale per intossicazione da gas lacrimogeni.

Per giustificare il massacro, un portavoce militare dichiara che alcuni razzi Katyusha erano stati lanciati dal distretto di Baladiyat – zona di sostenitori di Sadr – colpendo la Zona Verde ma senza fare vittime.

Come accaduto in passato – sin dal maggio 2016 – la mobilitazione è stata preparata da Sadr per chiedere la revisione dell’organismo preposto a monitorizzare le elezioni del prossimo settembre essendo giudicato da Sadr troppo vicino al suo rivale sciita Nuri al-Maliki del partito Da’wa (Hizb al Da’wa al Islamiyya = Partito Islamico dell’Appello), che ritiene di essersi allontanato dai precetti di Da’wa come delineati nel 1953 da esponenti sciiti il cui leader era Mohammed Baqr al Sadr, zio dello stesso Muqtada al Sadr.

Già premier, al-Maliki è accusato dai Sadristi di corruzione, eccessiva sudditanza all’Iran e di fallimento quando, premier e comandante delle forze armate, non è in grado di difendere il Paese nel 2014 dall’avanzata dell’allora ISIS, oggi Daesh.

A fronte dell’uccisione dei suoi sostenitori, Muqtada al Sadr, dopo aver precisato che i manifestanti volevano recarsi nella Zona Verde solo per far sentire la loro voce nei palazzi di potere, aggiunge che “il loro sangue non è stato versato invano”.

Debole, come sempre, la risposta del governo al-Abadi (sciita del Partito Da’wa) che promette di aprire un’inchiesta per chiarire gli eventi.

A infiammare le divisioni all’interno della locale comunità sciita sono le dichiarazioni di al-Maliki che accusa Sadr di “tentare di distrarre il popolo iracheno” dalla guerra contro Daesh.

In realtà, permane la crescente frustrazione di centinaia di migliaia d’iracheni che vivono in condizioni precarie sin dall’invasione anglo-statunitense del 2003 mentre i miliardi di dollari destinati alla ricostruzione scompaiono nel clientelismo delle istituzioni nazionali.

Le ultime proteste sono l’immagine chiara di quello che è il “nuovo Iraq post Saddam Hussein”: un Paese diviso in gruppi di potere e d’interessi personali, lacerato su base settaria, etnica e religiosa anche in seno alla stessa comunità sciita che ne costituisce la maggioranza.

E’ sempre più grande la delusione popolare che osserva come la richiesta sadrista di un governo tecnico non sia messo in pratica dal parlamento.

Questa lontananza del potere dalla popolazione è la cifra del caos politico in cui versa il Paese dove i partiti politici, temendo di perdere il controllo dei ministeri sotto la loro supervisione, non vogliono indebolire la loro rete di consenso clientelare.

Il 42 enne Muqtada al Sadr dispone di centinaia di migliaia di sostenitori, guida uno dei principali blocchi parlamentari e comanda una potente milizia armata.

Da leader militare durante l’invasione americana, il religioso si è trasformato in un accorto politico che si presenta come voce nazionalista alternativa, “anti-sistema” e profondamente ostile agli americani.

Il potere di Sadr si estende in gran parte dei quartieri più poveri delle città a maggioranza sciita. Non va dimenticato il suo prestigio in seno alle forza militare delle sue Brigate per la Pace, tra le milizie paramilitari più forti del Paese.

Le proteste organizzate da Sadr negli ultimi mesi con il suo movimento hanno due obiettivi miranti a contrastare :

  • il rimpasto preparato da al-Abadi giova solo al suo partito Da’wa che lo confermerebbe alla guida del Paese;-
  • la crescente legittimazione politica che stanno acquisendo le varie milizie sciite combattendo contro Daesh e i loro recenti successi militari che potrebbero danneggiare l’egemonia bellica di cui gode attualmente lo stesso Sadr.

In merito al secondo punto, i segnali di questa rivalità sono percepibili ed evidenti già ora: lo scorso mese i miliziani di Sadr si sono scontrati con i membri delle “Asa’ib Ahl al- Haq” (AAQ), un ombrello di milizie cui appartengono anche le forze di mobilitazione popolare in prima linea contro Daesh.

Scontro che, secondo Sadr, potrebbe trasferirsi a breve nelle aule parlamentari sottraendogli voti che indebolirebbero il blocco parlamentare – Al-Ahrar – che attualmente ha 34 seggi.

Per questo motivo, Sadr sposta la sua sede politica dalla città religiosa di Najaf alla capitale Baghdad, dove avvia iniziative per raccogliere il malcontento popolare contro il governo in carica. Sadr forma anche una commissione d’intellettuali, accademici, curdi, sunniti, sciiti e laici con il compito di presentare al governo le necessarie riforme da realizzare.

L’obiettivo è di amalgamare tutti gli strati della popolazione e delle comunità che, emarginate e trascurate dalle élite del potere, si presentano come unica alternativa alla status quo.

Fra i temi trattati c’è anche quello della sicurezza con un apparato militare mal preparato, un controllo territoriale inefficiente e una corruzione arrivata al punto di allestire nei check-point metal detector non funzionanti per verifica di persone, auto e bagagli.

E così, il 16 febbraio un’autobomba devasta per l’ennesima volta uno dei quartieri sciiti di Baghdad e la comunità scende in piazza. Questa volta la protesta è silenziosa, con migliaia di iracheni sciiti fra i quali molti sostenitori di Sadr.

La scelta di manifestare in silenzio è sostenuta dagli organizzatori per evitare altri scontri e dare più forza alla disperazione popolare di fronte all’inefficacia governativa peggiorata dopo la nomina a premier di al-Abadi.

I manifestanti si trovano di nuovo a piazza Tahir, con la bandiera irachena che ne copre la bocca per commemorare i loro morti: 59 vittime per l’attentato nel quartiere sciita di al-Bayya, quando un camion imbottito di esplosivo è lanciato in un mercato e contro rivenditori di auto, facendo esplodere anche altri ordigni mentre arrivavano i soccorsi.

E’ il terzo attacco dopo pochi giorni rivendicato da Daesh, sotto pressione a Mosul, dove è in atto la controffensiva governativa che punta ora a Ovest, dopo avere liberato la parte Est della città.

Da allora, le speranze in una reale lotta alla corruzione selle istituzioni e nella formazione e nella formazione di un governo di tecnici slegati dal nepotismo delle fazioni politiche sono ormai dissolte.

Al- Abadi si è dimostrato incapace di contrastare le dinamiche clientelari interne al potere iracheno e che dal 2003 comandano e influenzano le divisioni settarie del popolo iracheno.

Perché Sadr da quasi un anno organizza manifestazioni imponenti a Baghdad ?

La ratio è chiara.

Se da un lato le proteste contro il governo stanno spaccando il fronte sciita dall’altro lato stanno costruendo intorno a Sadr e alle sue Brigate per la Pace – di fatto riproposizione delle milizie armate sadriste prima note come Esercito del Mahdi impegnato nel decennio scorso contro l’occupazione USA – l’immagine di un movimento a caratura nazionale iracheno prima ancora che sciita, superando in tal modo quelle divisioni religiose e con esse etniche, tribali e laiche che hanno annichilito lo Stato.

In realtà, accade che Sadr e i suoi rivali si muovano all’interno del più ampio contesto geopolitico dove le superpotenze USA e Russia mirano a fare dell’Iraq un Paese consustanziale alle loro esigenze strategiche.

Nella spartizione – possibile- del bottino iracheno, un ruolo di primo piano lo riveste l’Iran.

La repubblica islamica ha approfittato della caduta di Saddam Hussein – non dimenticando gli otto anni di guerra scatenatagli su richiesta americana (1980- 1988) – e della disastrosa occupazione statunitense del 2003 per due motivi:

  • rinsaldare e riunificare l’area sciita presente in Iraq;
  • svolgere con le istituzioni governative a guida sciita un ruolo di primo piano nella guerra contro Daesh inviando le sue guardie rivoluzionarie e le milizie al Qods al comando del generale Qassam Suleiman coinvolgendo tutti i combattenti sciiti come già in atto con Hezb’Allah libanese.

Ma l’evoluzione dei progetti nel foro interno iracheno da tempo non dipende dalla volontà dei protagonisti locali come ci insegna la storia contemporanea.

Il fatto è che quanto avviene in Iraq, e non solo, è attivato dagli USA sin dal rientro il 31 gennaio 1979 del grande Ayatollah Khomeyni, contro il quale gli USA affidano a Saddam Hussein, loro alleato finanziato e rifornito di armi, il compito di scatenare una guerra che durerà otto anni dal 1980 al 1988.

In seguito, quando Saddam Hussein, credendo di avere l’appoggio USA, invade il vicino Kuwait il 2 agosto 1990, gli Stati Uniti abbandonano l’ex alleato e ne bombardano l’intero Paese costringendo Saddam (28 febbraio 1991) a ritirarsi con perdite considerevoli.

Il colpo decisivo contro l’Iraq avviene con l’invasione del Paese due anni dopo l’attentato dell’11 settembre 2001, con l’accusa – rivelatisi falsa per ammissione degli stessi americani e inglesi – del possesso di armamenti di distruzione di massa che in realtà gli stessi americani avevano già distrutto nel corso dell’invasione del 1991.

Il resto è quanto si può vedere oggi.

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Nuri al Maliki

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