SIRIA AL VERTICE DI ASTANA

SIRIA AL VERTICE DI ASTANA

Il Kazakistan

Il Kazakistan

Domani 23 gennaio a Astana. I confini decisi dopo la prima guerra mondiale subiranno delle modifiche? Difficile dirlo perchè se si modificano quei confini…altre modifiche seguiranno. Medio Oriente in evoluzione…e l’incognita della nuova presidenza americana. Perché Astana?

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

La notte del 12 gennaio l’esercito governativo siriano accusa Israele di avere colpito con missili la base aerea militare di Mezzeh, poco fuori da Damasco, a pochi chilometri dal palazzo presidenziale dove risiede il presidente e utilizzata dalle guardie repubblicane, corpo di élite dell’esercito.

Secondo la TV di Stato “Sana”, i missili sarebbero stati lanciati dal Nord di Israele, vicino al lago di Tiberiade, poco dopo la mezzanotte. E non è la prima volta perché il 7 dicembre 2016 jet israeliani hanno lanciato missili contro la stessa base e alla fine del mese precedente hanno lanciato missili vicino a Damasco dallo spazio aereo libanese. L’Agenzia statale annuncia “ritorsioni” mentre Israele, come di consueto, tace.

Questa volta il bombardamento è stato preceduto da un attacco suicida a Kfar Suse, nel centro della capitale siriana causando almeno 8 morti.

I due attacchi, avvenuti a poca distanza l’uno dall’altro, inducono molti siriani a denunciare un vero e proprio coordinamento fra Israele e le formazioni jihadiste schierate contro il governo di Damasco e il presidente Bashar al-Assad.

Negli ultimi anni, Israele ha bombardato più volte la Siria: nei pressi di Damasco, lungo la frontiera tra Siria e Libano, a ridosso del Golan e nella Siria meridionale.

Israele, con attacchi mirati, ha ucciso in Siria con raid aerei anche esponenti di Hezb’Allah, Jihad Mughnyeh, 21 anni e 5 combattenti di Hezb’Allah, un generale dei pasdaran iraniani e altri 5 soldati dei pasdaran nel luglio 2015; Samir Kuntar nel 2015; il comandante Badreddine (2016), tutti mentre erano impegnati a contrastare nel Golan siriano Daesh e il Fronte Al Nusra (ora Jabhat Fatah al Sham).

A ogni raid, con conseguenti vittime, Israele ha dichiarato che non consentirà il trasferimento di armi dalla Siria al movimento sciita Hezb’Allah senza mai documentare con foto, video e fatti l’accusa del passaggio di armi a favore di Hezb’Allah, che lotta a favore di Damasco.

Da parte loro, i siriani accusano – con prove – Israele di collusione con l’opposizione armata che l’esercito governativo damasceno contrasta proprio dalla base aerea di Mezzeh, punto da cui mira le postazioni islamiste e jihadiste a Est della capitale.

Agli interventi militari contro i quadri pro-Assad, Israele aggiunge, a favore delle milizie contro Assad, supporto medico e non solo.

In un rapporto ONU di fine dicembre 2104, le Nazioni Unite documentano la stretta collaborazione tra Israele e le opposizioni anti-Assad, concentrate nel Sud della Siria al confine con il Golan occupato da Tel Aviv nella guerra del giugno 1967.

La zona di Quneitra è stata a lungo controllata dall’Esercito Libero Siriano per divenire in breve roccaforte di milizie islamiste a partire da Jabhat Fatah al Sham ,già Jabhat al Nusra, qaedisti.

Secondo il rapporto ONU la collaborazione sarebbe iniziata almeno diciotto mesi prima del dicembre 2014 e avrebbe riguardato nello specifico il trasferimento di oltre mille miliziani feriti negli ospedali a Nord di Israele. Assistenza umanitaria al di là del confine, ma anche assistenza militare: secondo l’UNDOF – la forza ONU presente nelle zona dal 1974, dalla guerra del Kippur – l’esercito di Tel Aviv avrebbe consegnato alle opposizioni anche armi.

Non è un mistero la posizione israeliana nei confronti di Damasco che vede come parte della “mezzaluna sciita” di resistenza comprendente anche Hezb’Allah libanese e irachena, Iraq e Iran.

La Siria, sciita alawita, è quindi vista come un nemico da destabilizzare per rafforzare Israele in una regione ormai alla sbando in preda a settarismi interni e gruppi jihadisti finanziati, appoggiati logisticamente e armati da Stati che con Tel Aviv hanno sempre avuto buoni rapporti più o meno palesi: Turchia, Giordania, Arabia Saudita.

Appare possibile che Israele abbia voluto segnalare ad Assad che l’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump renderà ancora più libere le attività di Israele, che proclama da tempo come il pilastro della sua futura politica in Medio Oriente.

In altri termini, in vista dell’apertura del negoziato russo-turco sulla Siria ad Astana il 23 gennaio, il governo israeliano vuole mettere in chiaro a Russia e Turchia che dovranno tenere in conto, a fianco ai loro interessi – la Turchia per esempio ha già ottenuto con certezza l’esclusione dei curdi di Rojava perché ritenuti “terroristi” – anche quelli di Israele nella soluzione politica che vogliono dare alla guerra civile siriana ormai in corso da oltre sei anni.

Ma perché è stata scelta Astana?

Non è una scelta casuale, come ben analizza “Al Quds – Al-Arabi”.

Ad Astana, capitale del Kazakistan, già parte dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) e sotto l’influenza di Mosca, il 20% della popolazione è di nazionalità russa.

L’etimo della parola “Kazakistan” proviene dall’antico turco “KazaK” (libero) ed è dalla steppa di quel grande Stato che sono partiti oltre mille anni fa i turchi per poi arrivare all’odierna Turchia e dar vita a un intero mondo linguistico e culturale di cui i Kazaki fanno parte, quello turco culminato con l’Impero Ottomano.

La scelta del luogo strategico consente di comprendere il ruolo dei principali protagonisti:

  • la Russia cerca di rafforzare la sua influenza sulla coalizione pro-Assad e controllare le forze militari guidate di fatto dall’Iran;
  • la Turchia, confinante con la Siria, vuole essere sicura di evitare la formazione di uno Stato curdo a ridosso del suo confine anche se è già stata vietata la partecipazione dei curdi di Rojava e del YPG che pure stanno combattendo con gli USA contro Daesh;
  • gli USA mirano a ridisegnare le frontiere regionali piegandole ai suoi interessi.

La direzione intrapresa da Ankara e Mosca mira sempre più verso la militarizzazione dei negoziati: mettere le parti in lotta – regime di Assad e opposizione – faccia a faccia.

In questo caso, l’opposizione, mostrandosi eterogenea e disorganizzata davanti alla Commissione Suprema per le trattative, perderebbe peso diplomatico e credibilità, scatenando una reazione a catena di palese imparità che intaccherebbe anche i suoi maggiori sostenitori arabi e, in particolare, Arabia Saudita e componenti del Consiglio di Cooperazione del Golfo (con A.S.: Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar) e Giordania.

Questo dovrebbe portare alla fine della rappresentanza dei Paesi arabi sostenitori delle opposizioni, che entrerebbero nell’orbita turca, e così finirebbe anche la rappresentanza iraniana che verrebbe meno ed entrerebbe nell’orbita russa.

Anche i leader dell’opposizione sembrano sottovalutare l’importanza della Conferenza di Astana, che potrebbe costituire non solo un punto di svolta nuovo all’intero dei negoziati ma rivelarsi anche ben più importante di Ginevra.

Resta da verificare come si accorderanno Mosca e Ankara, ma di certo i risultati cambieranno la geografia politica non solo della Siria, ma tutta la così detta “Eurasia”

Rimangono alcune perplessità:

  • il presidente siriano ha vinto le elezioni del 2014 in una fase di guerra tra governo e ribelli;
  • la fine della presidenza Assad è prevista nel 2021, per cui avrebbe a disposizione 4 anni per sradicare tutte le forze di opposizione fra le quali ci sono i quadri dirigenti di Al Qaeda e Daesh.

Se verrà accettata la proposta russo-iraniana, le condizioni della Siria torneranno quelle del 2011, come erano prima, con gruppi di manifestanti disarmati che chiedevano solo fine delle leggi emergenziali, liberazione dei prigionieri politici e più equa ripartizione dei redditi.

Ma quei dimostranti vennero manipolati e armati da Paesi interessati: Francia, che avvia il gruppo degli “Amici della Siria”, USA e Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG).

Comunque, il timore che le promesse da parte di un governo misto di garantire riforme costituzionali e leggi per le province potrebbero essere prive di valore, è reale.

Nonostante questo, se le “forze moderate” di opposizione accetteranno questa soluzione poiché il loro compito non è quello di distruggere il Paese ma avviare una nuova fase di cambiamenti, la Siria potrebbe risorgere.

I siriani sanno che la presenza dello stesso regime per altri quattro anni significherebbe la sconfitta di quelli che in questi anni hanno creduto a un Paese più giusto, più libero ma anche di quanti hanno distrutto il Paese, provocando quasi un milione di morti e l’esodo di 10- 12 milioni di persone.

Se Assad rimarrà presidente sarebbe più facile per i siriani accettare la divisione della loro nazione assicurando ad Assad uno Stato in cui non debba più falsificare i risultati delle elezioni per essere legittimato a governare.

Questa ipotesi di dividere la Siria è però rifiutata da Turchia, Iran e Iraq perché temono conseguenze catastrofiche a livello di stabilità per l’intera regione.

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