NASCITA DEL PROBLEMA ISRAELE-PALESTINESE. 1.

NASCITA DEL PROBLEMA ISRAELE-PALESTINESE. 1.

La 'Dichiarazione Balfour' del 1917.

La ‘Dichiarazione Balfour’ del 1917.

Una sintetica e chiara storia delle origini del problema israelo-palestinese in vista dei colloqui del prossimo 15 gennaio a Parigi. I recenti avvenimenti degli inizi di questo anno non aiutano i dialoghi e allontanano la pace, nella quale occorre comunque crdere e per la quale occorre lottare…

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Per una conoscenza oggettiva sulla nascita del problema Israele – Palestina, si sintetizzano esclusivamente cenni storici rilevati da Noam Chomsky (Il conflitto Israele – Palestina), Alain Gresh (Israele – Palestina, la verità sul conflitto), Ilan Pappe (La pulizia Etnica della Palestina) la quale ultima si basa sulla documentazione degli Archivi militari desegretati nel 1998.

Le popolazioni che hanno abitato in Palestina, le lingue che vi sono state parlate e le religioni che si sono professate sono il risultato degli eventi dei secoli passati trattandosi di una terra conquistata, persa e poi riconquistata da molti popoli: Ebrei, Filistei, Egizi, Romani, Bizantini e altri.

Negli ultimi quattro secoli, dal 1500 alla prima guerra mondiale, questa regione faceva parte dell’Impero Ottomano, era governata da turchi e abitata in maggioranza da popolazioni arabe che parlavano lingua araba e professavano la religione islamica, con il 20-25% di arabi cristiani e l’8% di ebrei.

Dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano nella prima guerra mondiale, Francia e Inghilterra si spartiscono il Medio Oriente: la Palestina e la Giordania sono poste sotto il mandato britannico, mentre Siria e Libano sotto quello francese.

Verso la fine dell’ ‘800, un giornalista ebreo austriaco, Theodor Herzl, afferma la necessità di costruire uno Stato per gli ebrei in Palestina perché “solo nella terra degli avi promessa da Dio, gli Ebrei potranno sentirsi uguali a tutti gli altri popoli e non essere discriminati”, come era avvenuto per secoli da parte delle popolazioni europee.

Da questa giusta posizione, nasce il sionismo, che si prefigge di creare uno Stato fondato sulla religione e sulla razza in una terra già abitata da altre popolazioni, in larga maggioranza non ebree.

Nel 1895, in Palestina c’erano 644 mila arabi (92%) e 56 mila ebrei (8%), nonostante uno degli slogan del sionismo sia stato “una terra senza popolo per un popolo senza terra”.

Con il sionismo inizia una lenta immigrazione di ebrei in Palestina in quanto solo una minima parte degli ebrei europei era disposta a lasciare gli Stati in cui abitavano da secoli e di cui si sentivano cittadini.

L’occasione si presenta con il Mandato Britannico, quando il 2 novembre 1917 il ministro degli esteri britannico, Arthur James Balfour, invia a lord Rothschild l’omonima “Dichiarazione Balfour” che approva e aiuta il progetto sionista, che, per creare un nuovo Stato avrebbe dovuto avere tre elementi: territorio, popolazione e sostegno di una potenza mondiale.

Gli inglesi però avevano già promesso due anni prima la Palestina agli arabi per l’aiuto prestato nella lotta contro l’Impero Ottomano.

Nonostante ciò, per favorire l’immigrazione ebraica in Palestina gli inglesi promulgano leggi e regolamenti che favoriscono l’acquisizione di terre da parte degli ebrei europei e riconoscono all’Organizzazione Sionista la giurisdizione sulla popolazione ebraica.

Contestualmente, gli inglesi svantaggiano in ogni modo le popolazioni arabe attraverso la loro suddivisione in piccole comunità che ne danneggiavano sensibilmente l’economia.

Grazie a questa politica, l’immigrazione ebraica aumenta e inizia a costruite le prime colonie agricole portando nel 1929 gli ebrei a 170 mila persone.

Il nazi-fascismo in Europa con le orribili leggi razziali per la persecuzione degli ebrei, (arrivando fino all’olocausto la cui memoria è tuttora presente in quella intera popolazione), determina un incremento dell’immigrazione.

Fra il 1932 e il 1938, emigrano in Palestina il doppio di quelli che erano emigrati nei 130 anni precedenti.

Mentre nel 1925 solo il 7% del territorio era in possesso degli ebrei, già nel 1936 gli ebrei erano 400 mila con una considerevole acquisizione di terre, di cui solo il 5,6% viene acquistata dai palestinesi e il resto viene occupato.

A partire dagli anni ’30, il rapporto Ebrei – Palestinesi, sino allora pacifico, diventa conflittuale a causa del massiccio arrivo di ebrei, dell’occupazione di molte terre arabe, della politica inglese di discriminazione delle popolazioni arabe e dall’intenzione dichiarata da parte ebraica di soffocare l’economia palestinese impedendo ai palestinesi di lavorare.

Il triennio 1936 – 1939 segna la lotta della popolazione araba nel tentativo di arrestare la spoliazione della propria terra, che si realizza in uno sciopero generale di 6 mesi, attentati e scontri armati quotidiani fra palestinesi, immigrati ebrei europei e inglesi.

La grande rivolta araba, in pratica è la Prima Intifada, viene repressa nel sangue da parte del governo inglese, che manda in Palestina 20 mila soldati.

Nel 1939, l’Inghilterra, per ridurre le tensioni nell’area e assicurarsi le fonti petrolifere fa qualche concessione ai Paesi arabi e tenta di limitare l’immigrazione degli ebrei nella zona.

Entrano allora in azione i gruppi paramilitari ebraici: gruppo Stern, Irgun e altri, con a capo alcuni dei futuri capi di Stati israeliani, Begin e Shamir.

Questi gruppi avviano operazioni terroristiche dirette contro l’Inghilterra con l’attentato all’Hotel King David che fa 91 vittime, contro le Nazioni Unite uccidendone l’inviato, conte Folke Bernardotte, e contro palestinesi con massacri della popolazione civile per indurla ad abbandonare case e terre, subito occupate da immigrati ebrei.

Nel 1947 l’Inghilterra rinuncia al mandato sulla Palestina.

Le Nazioni Unite propongono come soluzione il “Piano di Spartizione della Palestina”, con la Risoluzione 181/47 secondo cui si sarebbero dovuti formare due Stati indipendenti con:

  • il 56, 5% del territorio agli ebrei, che erano 500 mila, il 30% del totale;
  • il 42,5% ai Palestinesi che erano 1.150 mila sul 70% del territorio;
  • la città d Gerusalemme, dentro al territorio palestinese, sarebbe diventata zona internazionale controllata dalle Nazioni Unite.

la città di Gerusalemme, dentro il territorio palestinese, sarebbe diventata zona internazionale controllata dalle nazioni Unite.

I due Stati sarebbero stati misti, ma mentre in Israele popolazione araba ed ebrea sarebbe stata quasi pari, nello Stato palestinese gli ebrei sarebbero stati in netta minoranza.

Il piano viene accettato dagli ebrei ma non dai palestinesi e dagli Stati arabi, che non accettano l’evidente squilibrio nella divisione delle terre a vantaggio degli ebrei, né di dover pagare – per conto degli europei – le tremende colpe dello sterminio attuato dal nazi-fascismo contro la popolazione ebraica.

All’alba del 9 aprile 1948 le truppe dell’organizzazione Irgun, guidate da Begin, circondano e distruggono il villaggio arabo di Dheir Yassin, a Ovest di Gerusalemme uccidendo 250 persone, prevalentemente donne e bambini.

Un’azione pianificata per diffondere il terrore tra la popolazione palestinese che prende il nome di Nakba (giorno della catastrofe).

I mesi successivi saranno quelli del terrore che spingono quasi 200 mila palestinesi a fuggire dai villaggi della Cisgiordania e dalla fascia costiera attorno a Jaffa.

Il 15 maggio 1948 gli ebrei proclamano la costituzione dello Stato d’Israele, subito riconosciuto da USA e Russia, in seguito alla quale Egitto, Giordania, Iraq e Siria muovono guerra.

Durante la guerra, l’esercito israeliano aumenta le azioni militari contro la popolazione civile palestinese, i cui villaggi sono distrutti in modo da provocarne l’esodo di massa.

La guerra si conclude con la vittoria di Israele, meglio armata grazie al rifornimento assicurato dalle potenze occidentali.

Il neonato Stato riesce a :

  • occupare molto più del territorio di quello assegnato dalle N.U. e si prende il 78%, mentre ai palestinesi resta il 22% della Palestina, la Striscia di Gaza sotto il controllo dell’Egitto, la Cisgiordania e Gerusalemme Est sotto il controllo della Giordania;
  • espellere gran parte della popolazione araba dal territorio conquistato e rade al suolo 450 villaggi sparsi nell’attuale Stato d’Israele costringendo alla fuga 750 mila palestinesi, che indicano l’evento come “Nakba” (giorno della catastrofe).

Da allora nasce il problema dei profughi palestinesi che si rifugiano nei campi profughi in Libano, Giordania, Siria, mentre 200 mila rimasti all’interno dello stato di Israele vengono espropriati e discriminati.

L’11 dicembre 1948, l’ONU adotta la Risoluzione 194/48 che prevede il diritto al rientro dei profughi palestinesi, oltre al risarcimento per le perdite di terra e casa, prevedendo compensi per chi non intendesse esercitare tale diritto.

I palestinesi, nel tempo, organizzano una resistenza che porta nel 1964 alla nascita del PLO (Palestinian Liberation Organization) e del movimento di resistenza armato Al Fatah, guidato da Arafat.

Successivamente, nel giugno 1967, in soli 6 giorni, dal 5 al 10, l’esercito israeliano sconfigge gli eserciti male armati di Egitto e Siria, conquista tutta la Palestina compresa Gerusalemme est e distrugge numerosi villaggi arabi provocando l’esodo di altri 200 mila palestinesi dai territori occupati, sottrae le Alture del Golan alla Siria e il deserto del Sinai all’Egitto.

Sul conflitto, l’esercito in un primo momento afferma di avere reagito a movimenti sospetti di truppe egiziane ma in seguito vari generali e storici israeliani ammettono che si trattò di un attacco a sorpresa preparato da tempo per espandere ulteriormente il territorio dello Stato ebraico.

Con la Risoluzione 242/67 le N.U. dichiarano che Israele deve ritirarsi dal territorio sottratto ai palestinesi ma Israele non si ritira e stabilisce un’occupazione militare in Cisgiordania, causando un ulteriore esodo di palestinesi.

Da allora nasce la compulsiva strategia di occupazione israeliana attraverso insediamenti dei coloni ebrei nei Territori Occupati, interno a Gerusalemme est e lungo il fiume Giordano.

Il PLO riunisce tutti i gruppi della resistenza con Arafat presidente. Nel 1974, Arafat, invitato all’ONU come rappresentante del popolo palestinese, agitando un ramo di ulivo, fa appello all’ONU di non lasciare cadere il ramo d’ulivo per non spingere i palestinesi a riprendere le armi perché il Consiglio Nazionale Palestinese considera lo Stato d’Israele un fatto storico e chiede di costruire un proprio Stato indipendente a fianco di quello israeliano, nei Territori Occupati, Gaza Cisgiordania e Gerusalemme est.

Ma la guerra continua.

Nel giugno del 1982, Israele invade il Libano per eliminare la resistenza palestinese, rifugiatasi in quel Paese, costringendo due mesi dopo Il PLO ad accettare il cessate-il-fuoco in cambio dell’incolumità per la popolazione palestinese.

In realtà, gli israeliani proseguono i bombardamenti sugli insediamenti palestinesi e nel successivo settembre, sempre in Libano, falangisti libanesi alleati d’Israele penetrano i campi di Sabra e Shatila e per 40 ore compiono massacri e violenze con oltre 2 mila morti, sotto la supervisione israeliana e del futuro capo di Stato Sharon.

Tra il 1987 e il 1992 scoppia l’”Intifada delle pietre” dopo 20 anni di occupazione che registra 139 insediamenti abitati da 60 mila coloni. E’ una rivolta non armata, di massa con manifestazioni, scioperi, disobbedienza civile, chiusura di negozi, boicottaggio dei prodotti israeliani, che costa una repressione feroce con migliaia di arresti, 2 mila morti, 100 mila feriti, demolizioni, sradicamento di alberi.

Il tentativo di pace a Oslo il 13 settembre 1993 tra Peres, Rabin e Arafat voluto dagli USA funziona per soli 6 mesi, il tempo di liberare le città di Gerico e Gaza e consentire il ritorno di Arafat in Palestina dopo 25 anni di esilio.

Poi, l’uccisione di Rabin nel 1995 da parte di un estremista ebreo è seguita da fallimento dei negoziati di Camp David nel luglio 2000 voluti dal presidente americano Clinton.

Arafat non accetta il “piano di pace”, che USA, Israele e i media a loro vicini presentano come una “generosa offerta”, perché in realtà l’obbligherebbe ad accettare condizioni favorevoli solo a Israele: divisione della Cisgiordania in tre regioni non collegate fra d loro per consentire a Israele di mantenere tutti i nuovi insediamenti; esclusione dalla città vecchia di Gerusalemme, con sovranità palestinese solo alla Spianata delle Moschee, collegata con un tunnel sotterraneo al territorio palestinese; rinuncia al ritorno dei profughi.

Da allora in avanti, la guerra continua con gravissime perdite tra i palestinesi, la morte di Arafat nel 2004 e campagne militari israeliane a Gaza (2008, 2012, 2014, con migliaia di morti, feriti, arrestati e distruzione), la divisione fra gli islamici di Hamas e Fatah.

Israele è vittima della strategia stragista palestinese assunta a modulo di lotta che non risparmia civili, donne, bambini.

La possibilità che Parigi possa riportare al dialogo israelo-palestinese nella conferenza del 15 gennaio è vicina allo zero.

(continua)

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Dobbiamo crederci e far in modo che si realizzi.

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