LIBIA FRA CAOS E RITORNO AL PASSATO

LIBIA FRA CAOS E RITORNO AL PASSATO

Seif al-Islam

Seif al-Islam

 

La Libia, ovvero Tripolitania, Cirenaica e Fezzan sono di fatto ingovernabili. Il post-Gheddafi si rivela peggio dell’era del colonnello. Lealisti e milizia si combattono e combattono fra loro, mentre migliaia di migranti salpano da quelle coste. Un evidente successo della politica internazionale….

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini                     

A cinque anni dall’uccisione e dallo scempio di Muhammad Gheddafi a Sirte il 20 ottobre 2011 da miliziani locali fa ancora orrore il video di 17 secondi pubblicato dal sito web Global Post. Si vede Gheddafi di spalle che viene violato con un bastone appuntito e poco dopo ucciso con un colpo alla tempia da un ragazzo con una pistola d’oro, spogliato, calpestato e martoriato dai ribelli, caricato su un’automobile e portato a Misurata, dove si trova tuttora.

Morte che fu celebrata come una grande vittoria dai principali responsabili della guerra in Libia, USA e Francia.

Le “magnifiche sorti e progressive” promesse dai bombardamenti USA, NATO, Paesi del Golfo e d’Europa non si sono realizzate.

Oggi, la Libia ha tre governi; negli ultimi anni ha assistito a due elezioni generali, un colpo di Stato fallito, l’arrivo di Daesh e conflitti etnici.

La situazione è talmente disastrosa che si va sedimentando in larga parte del Paese il desiderio di tornare alla Jamahiriya (Stato delle masse) instaurato da Gheddafi.

“Vogliamo liberare la Jamahiriya, vittima di un golpe diretto dalla NATO” afferma Frank Pucciarelli, francese residente in Tunisia e portavoce di un gruppo di rivoluzionari libici e internazionali, che funge da cinghia di trasmissione dell’ideologia di Gheddafi.

L’organizzazione, attiva dal 2012, comprende circa 2 mila membri in Libia e oltre 15 mila ex soldati in esilio pronti a ritornare.

Un altro esponente del gruppo, Ahmed, già direttore del ministero degli affari esteri, e residente in Tunisia, aggiunge che “Noi non siamo responsabili di niente. Il popolo libico e la comunità internazionale si sono resi conto che la Libia può essere governata solo dalla Jamahiriya”.

Frank e Ahmed sono d’accordo su come guidare il Paese, una volta ripresone il controllo: l’idea è di organizzare un referendum sul ritorno della Jamahiriya con la supervisione internazionale.

Si potrebbe arrivare a una forma moderna di uno “Stato di massa”, con un senato che rappresenta le tribù, una camera bassa e una Costituzione, che mancava nell’era di Gheddafi.

Fa eco Rachid Kechane, direttore del North African Study Center on Liby, che dichiara: “Il ritorno al vecchio regime è impresentabile dopo il fallimento della transizione post-rivoluzione e non ha ancora il vero appoggio popolare. I lealisti di Gheddafi non torneranno mai al potere ma avranno comunque una certa importanza, grazie alle alleanze strategiche delle futura Libia”.

Mattia Toaldo, esperto di Libia per lo European Council on International Relations ha identificato tre tipi di lealisti:

  • i sostenitori di Seif al-Islam, figlio prediletto di Gheddafi, detenuto dal 2011 nella città di Zentan, nell’Ovest del Paese;
  • i sostenitori del generale Khalifa Haftar, nell’Est;
  • i sostenitori ortodossi della Jamahiriya, la fazione più estremista, di cui Ahmed e Pucciarelli fanno parte.

Coloro che si sono uniti ad Haftar hanno goduto dell’amnistia approvata dal parlamento di Tobruk, che ha compreso tutti i crimini commessi durante la rivolta del 2011.

Un altro progetto mira a rimpatriare tutti gli esiliati, fra 1,5 e 3 milioni di persone, e di una gran parte dei lealisti di Gheddafi che si sono rifugiati in Tunisia ed Egitto.

Il clan di Seif al-Islam è probabilmente il più organizzato e comprende una buona parte dei sostenitori ortodossi.

Sebbene condannato a morte in contumacia il 28 luglio 2015, Seif è, ufficialmente, prigioniero delle milizie locali, ma gode di una detenzione molto flessibile in termini di spostamenti e di comunicazioni con l’esterno.

Per Seif al-Islam non si tratta di recuperare il potere in tutto il Paese, almeno per ora, ma riuscire a manovrare nell’ombra la riconfigurazione politica della Libia.

E nell’ombra vive anche il cugino di Gheddafi, Ahmed Gheddafi, già esponente apicale del regime libico, dal quale si dissociò a febbraio 2011 poco prima dell’inizio della guerra, fuggendo al Cairo.

Ahmed, arrestato in Egitto per nove mesi con l’accusa di tentato omicidio, resistenza e possesso di armi nel 2013, ha rilasciato nel 2015 un’intervista al quotidiano “Daily Mail” dichiarando che “oltre mezzo milione di migranti si dirigeranno verso le coste europee e fra loro si nasconderanno migliaia di terroristi che si suddivideranno in tutta l’Europa e tra un anno, massimo due, ci sarà un altro 11 settembre”.

Al quotidiano, Ahmed ha anche comunicato che il suo obiettivo è di organizzare una conferenza di riconciliazione nazionale in Libia alla quale partecipino anche esponenti di Daesh.

Ahmed ha poi aggiunto che “Dobbiamo salvare il Paese. Se non lo facciamo oggi, domani sarà troppo tardi. E non possiamo aspettare l’occidente”, terminando con un appello alla comunità internazionale di “fornire armi all’esercito libico”. Tripoli ne ha chiesto all’Egitto l’estradizione.

A complicare la situazione libica, è anche il fatto che molte tribù dell’Ovest temono l’avanzata costante di Haftar, sostenuto dalle tribù dell’Est, nonché da Egitto, Francia ed Emirati Arabi Uniti.

Inoltre, la Tripolitania è divisa fra un gruppo islamista e il Governo di Accordo Internazionale (GNA), molto debole nonostante l’appoggio di ONU e parte della comunità internazionale.

In questo caos, Seif al-Islam potrebbe essere il volto della Cirenaica. A settembre 2015, l’autoproclamato Consiglio Supremo delle tribù ha scelto Seif come legittimo rappresentante del Paese. Il Consiglio di Base riunisce le tribù rimaste fedeli a Gheddafi e non hanno potere politico, ma il loro gesto è molto significativo.

Inoltre, lo scorso agosto le Nazioni Unite hanno invitato alcuni lealisti di Gheddafi per discutere le possibili soluzioni per la crisi economica e politica del Paese.

La popolazione, poi, sta iniziando a paragonare il passato con il presente e preferisce il passato. Di fatto, molti sostengono che il Paese è divenuto caotico e imprevedibile; c’è la guerra civile ovunque, non ci sono soldi e la massima aspirazione professionale è arruolarsi in una milizia.

Ascolteranno queste voci quei Paesi della comunità internazionale che hanno iniziato la guerra in Libia?

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Il generale Khalifa Aftar

Il generale Khalifa Aftar

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