Un articolo lucido e amaro, come ormai molte riflessioni possono essere, in questo mondo che sembra aver perduto il concetto di umanità. Non pensiamo abbastanza all’infanzia dei Paesi in guerra…infanzia ai bambini rubata per sempre. Le organizzazioni mondiali non si stanno muovendo abbastanza e l’Occidente non comprende che al più presto occorre stilare un nuovo Contratto Sociale! Vorrei ricordare che il 12 febbraio si celebra la Giornata Mondiale contro l’impiego dei minori nei conflitti mondiali….
Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini
Giusto un anno fa la foto del piccolo profugo Aylan ci ha commosso tutti ed è divenuta il simbolo dell’infanzia negata a causa di guerre e carestie.
Di Aylan nel mondo, in particolare nel Medio Oriente e in Africa, ce ne sono milioni, (ancora) vivi ma che stanno terribilmente soffrendo per la stupidità dei grandi.
In Iraq metà della popolazione ha poco più di vent’anni; una generazione di ragazzi e ragazze che, all’epoca dell’invasione americana e della destituzione del Rais Saddam Hussein, erano dei bimbi di scuola elementare. Bambini e bambine oggi adolescenti o poco più i cui ricordi infantili sono legati alla violenza, alla distruzione, alle bombe, alla fame, alla morte.
In Siria, il perdurare del conflitto e la grave crisi umanitaria che sta dilaniando il Paese costringe molti ragazzini a disertare la scuola e porsi alla mercé di sfruttatori per lavorare e contribuire al sostentamento della famiglia.
Bambini che, come affermato dal direttore dell’Unicef per il Medio Oriente e il Nord Africa, “…trasportano carichi pesanti, sono esposti a pesticidi e sostanze chimiche tossiche, trascorrono giornate lavorative interminabili…“.
Bambini divenuti, loro malgrado, protagonisti indiretti dell’economia di un Paese in guerra e membri di una generazione siriana già perduta per l’alto tasso d’abbandono scolastico, per la malnutrizione diffusa, per l’incremento delle malattie e dei problemi di salute.
Un Paese in rovina in cui quasi diecimila scuole sono state distrutte o irrimediabilmente compromesse a causa dei bombardamenti.
E’ di pochi giorni fa un commovente articolo apparso su un quotidiano arabo incentrato sulla storia di un piccolo siriano di cinque anni Jazin che vive nella cittadina siriana di Daaria e che, per la prima volta nella sua vita, ha assaporato il gusto di un gelato e mangiato un biscotto.
Così abituati agli standard di vita europei, bombardati dalla pubblicità di mille prodotti per l’infanzia, a noi occidentali viene difficile poter immaginare che dei bambini in Siria possano non conoscere il gusto di un semplice biscotto o di un gelato. Tant’è, questa è la realtà!
Nel triste computo di un’infanzia in sofferenza non bisogna dimenticare i bambini siriani rifugiati nei paesi limitrofi, in Libano, in Giordania e in Turchia diventati bambini di strada o, nella migliore delle ipotesi, impiegati nell’agricoltura e nei lavori domestici.
Com’è possibile recuperare queste nuove generazioni segnate dal lutto e dall’odio interetnico e da una crescente diffidenza verso un occidente sempre più percepito un usurpatore senza scrupoli?
Si fa urgente la necessità di salvare la generazione d’iracheni, siriani e libici che oggi hanno
cinque/dieci anni, costretti a vivere sin dalla nascita nello stesso triste, immutato scenario di guerra in cui il rischio attentato è sempre dietro l’angolo, come del resto il pericolo dei sequestri, degli abusi sessuali, dei reclutamenti forzati nei vari gruppi armati.
Giovani che, molto probabilmente (senza pretesa di verità scientifica), da adulti perpetueranno una violenza difficile da metabolizzare e controllare, con effetti devastanti per i Paesi in cui non c’è un’autorità riconosciuta, non c’è uno Stato, non c’è un Governo, non ci sono leggi e non c’è giustizia, se non quella tribale che si fonda sulla coercizione, sul denaro e sulla violenza.
Il problema dello sfruttamento minorile però non è localizzato solo in quest’aera ma si espande, con diverse gradazioni, in tutto il Medio Oriente, in Africa, in Asia e finanche in Europa.
Sfruttamento minorile che ha molteplici sfaccettature, compresa quella dei bambini soldato. Nel 2015 si calcola che più di 250 mila ragazzini in età scolare sono stati reclutati da eserciti regolari e irregolari, non solo in Siria e in Iraq, ma anche in Libia, nello Yemen, nel Sud Sudan, nella Repubblica Centroafricana, in Afghanistan, in Nigeria, in Somalia, in Congo, nel Mali.
Il numero dei children soldiers, che oramai scavalca i confini di genere, è in costante aumento e, nonostante una recente Risoluzione delle Nazioni Unite che integra il Protocollo opzionale alla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, otto Stati continuano a reclutare bimbi nei loro eserciti.
Con crudezza Jaky Mamou sulla rivista Le Monde diplomatique spiega che per un bambino fare il soldato “….è una strategia di sopravvivenza a breve termine…a volte rapiti per essere sottoposti a riti iniziatici ove l’assassinio e la tortura sono moneta corrente…e se superano con successo questa prova di crudeltà ricevono un’arma, grazie alla quale possono procurarsi da mangiare e avere accesso al bottino di guerra…“.
Benché i bambini soldato per la maggior parte sono maschi, sempre più bambine sono reclutate e, a oggi, un terzo delle forze armate mondiali che impiegano l’infanzia hanno nelle proprie file delle bambine.
La lista nera comprende l’Afghanistan, il Ciad, il Congo, Myanmar, il Sudan e il Sud Sudan, la Somalia e lo Yemen.
Il Rappresentante speciale dell’Onu per i minori in guerra in un suo recente rapporto parla di unspeakable violences, e di una situazione in costante peggioramento con l’aumento dei reclutamenti forzati e degli attacchi indiscriminati ad asili, scuole e ospedali.
Bimbi soldati tout court come gli adulti in grado di maneggiare un Kalashnikov e bimbi portatori di munizioni e vettovaglie la cui vita, però, non è certo meno dura di coloro che sono in prima linea.
Senza considerare poi i cinquanta e più gruppi armati ribelli che impiegano minori e che agiscono in una ventina di paesi tra cui la Colombia, il Sudamerica, la Thailandia, le Filippine, l’India, il Pakistan, l’ Ucraina, la Cecenia, il Nagorno-Karabakh.
In Siria e in Iraq i bambini, chiamati dagli jihadisti i “cuccioli del Califfato”, sono indottrinati e addestrati a combattere e a compiere atti terroristici. Il loro pane è il Corano, il companatico l’Hadith e le armi automatiche.
Il quadro tracciato è agghiacciante, con bambini, adolescenti e giovani (più del 50% della popolazione mediorientale), che continuano a morire ogni giorno, e seguiteranno a morire stritolati dall’indifferenza di quella parte di mondo al riparo da guerre, miseria e povertà.
Bambini destinati a essere sfruttati se non si riuscirà ad implementare, a livello nazionale, regionale ed internazionale l’accesso all’istruzione, debellare – o quanto meno ridurre – la piaga del lavoro minorile, investire su tutti quei servizi utili a preservare l’infanzia.
Infanzia che ha perduto l’innocenza, testimone com’è di atrocità indicibili che non possono non lasciare tracce.
Urge anche un intervento coordinato tra gli Stati occidentali e le Nazioni Unite per realizzare un piano d’azione di lungo respiro, per consentire alle varie popolazioni di rivendicare un proprio diritto di cittadinanza e di vivere in uno Stato di diritto, per la stesura di un nuovo contratto sociale tra i cittadini e i governanti.
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