Una sintesi chiara e molto articolata dell’attuale complessità della questione curda rapportata agli interventi esterni delle potenze che stanno agendo nel Levante e Medio Oriente; una questione complessa che inizia durante la prima guerra mondiale con il mai abbastanza citato accordo Sykes-Picot, del quale continuiamo a vedere le conseguenze.
Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini
Il 4 settembre al vertice del G-20 di Hanghzou in Cina il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ‘snobba’ il suo omologo statunitense e, forte della rinnovata alleanza con la Russia, svolge colloqui con il presidente Putin focalizzati sugli eventi successivi all’invasione turca nel Nord siriano sin dal 25 agosto.
L’attacco, presentato come guerra a Daesh, mira in realtà ai curdi siriani delle milizie di “Unità di protezione popolare” (YPG) che con il supporto dell’aeronautica americana liberano in pochi giorni le importanti città di Hasakah e Manbij, tagliando le linee di rifornimento dei jihadisti del Califfato.
Le forze terrestri e aeree turche sin dal primo giorno di contrasto ai terroristi del movimento guidato da Abu Bakr Ibrahim al Baghdadi, attaccano i militanti dello YPG pretendendone l’arretramento al confine con l’Eufrate e l’abbandono delle città conquistate. I turchi inoltre limitano al minimo la lotta ai terroristi.
La Siria accusa la Turchia di avere violato la sovranità del Paese, i russi restano silenti e gli americani minacciano i curdi di sospendere il loro supporto se non si fermano.
I curdi invece mettono in stato d’allerta i 4 milioni e mezzo di connazionali a Ovest dell’Eufrate senza ritirarsi di un millimetro e gli ufficiali turchi comprendono che i peshmerga non si ritireranno dalle città liberate dopo averle conquistate nella sanguinosa battaglia contro i jihadisti.
Gli eventi precipitano.
A Irbil si riuniscono tutti i curdi della regione e diffondono un documento politico rivolto al presidente USA lamentandone l’inaspettato abbandono e chiedendo la prosecuzione dell’appoggio per se stessi e per il “Partito dell’Unione Democratica” (PYD).
Nel documento, i combattenti YPG aggiungono che nell’ipotesi di mancato supporto le forze curde si ritireranno dal fronte e comunicano ufficialmente che si dissoceranno dagli attacchi in programma contro Raqqa e Mosul.
I peshmerga comunicano anche che da questo momento la costituzione curda sarà applicata in tutte le aree di etnia curda rendendo evidente la volontà di uscire dalle enclavi di Kobane, Hassaka e Afrin.
La risposta turca è affidata al portavoce presidenziale, Ibrahim Kalin, che ribadisce il punto di vista di Ankara: “Washington deve smettere immediatamente di appoggiare i curdi e le loro rivendicazioni”.
Brevi cenni storici
Alla fine dell’impero ottomano tra i regni nati dopo la grande rivolta araba vi fu anche quello iracheno.
Il sovrano imposto dagli inglesi fu Faysal ibn al-Husayni che, proclamato in precedenza re di Siria, era stato rifiutato dai francesi che ne assunsero ufficialmente il mandato internazionale.
La storia chiarisce che Faysal, già capo della rivolta araba contro i turchi durante la prima guerra mondiale e con il sostegno degli inglesi rappresentati in loco dal loro inviato, T.E. Lawrence, aveva partecipato senza successo alle trattative di Versailles per ottenere la “Grande Siria” inglobante Libano, l’attuale Giordania e parte dell’Iraq.
Faysal era all’oscuro delle trattative segrete svolte da Francia e Inghilterra sulla spartizione del Medio Oriente e, occupato il trono della Siria nell’aprile 1920, venne deposto a luglio dello stesso anno dai francesi.
Il tradimento anglo-francese agli arabi, che avevano combattuto i turchi, è il negoziato segreto tra il francese Francois Georges Picot e il britannico Mark Sykes svolto dal novembre 1915 e firmato a maggio del 1916 a Versailles, che oggi presenta i conti.
A titolo riparatorio, nel marzo 1921 al congresso del Cairo gli inglesi proposero la candidatura di Faysal per l’Iraq, Paese che nella spartizione del Medio Oriente era stato assegnato a loro.
In questo caso, gli inglesi rinunciarono al pieno mandato di governo e costituirono un regno nominalmente indipendente ma soggetto al protettorato britannico.
Solo con il sovrano arabo, discendente dallo sceriffo della Mecca, nel 1924 venne posta la fine all’instabilità irachena che negli anni precedenti aveva organizzato un’ampia rivolta domata soprattutto con la campagna militare dei bombardamenti aerei con oltre 4 mila ore di volo e un migliaio di tonnellate di bombe sganciate anche sugli arabi.
E’ il momento in cui si colloca una delle prime rivolte curde del XX secolo, quella guidata da Mahmud Barzanj, nominato, in un primo tempo dagli inglesi, governatore del Kurdistan meridionale, corrispondente più o meno all’attuale Kurdistan iracheno.
Era accaduto che Barzanj, autoproclamatosi sovrano di un nuovo regno, dopo il breve periodo da maggio a giugno 1919, fu catturato dagli inglesi ed esiliato in India, da dove fuggì per tornare nel suo Paese.
I curdi iraniani.
Gli eventi in Iraq e nel “Governo Regionale del Kurdistan iracheno” (KRG), il proseguimento della quinquennale guerra siriana e la ripresa delle ostilità in Turchia tra Ankara e il “Partito dei Lavoratori del Kurdistan” (PKK) rendono la componente curdo-iraniana quasi incapace di opporsi al proprio governo.
Nelle ultime settimane è in atto l’attivismo delle componenti armate curdo-iraniane contrastata dalla attività repressiva di Teheran e si delinea un quadro più organico a partire dagli scontri a Rojhelat, nel Kurdistan dell’Est.
Dopo la devastazione dello Stato iracheno iniziato a causa della guerra anglo-americana del 2003 e l’avanzamento del ruolo curdo nell’area, il “Partito della Libertà del Kurdistan” (PJAK), da sempre attivo contro Teheran ma con un modesto impatto nel contesto nazionale per la forte repressione preventiva dello Stato iraniano, riesce ad ampliare il consenso e a radicarsi nelle aree di confine.
Parallelamente, il “Partito Democratico del Kurdistan Iraniano” (PDKI) tra febbraio e marzo 2016, dopo un lungo periodo di cessate-il-fuoco, afferma la ripresa operativa nel Paese e a giugno inizia le azioni armate, con il sostegno del KRG e in opposizione alle forze del PJAK, considerate totalmente dipendenti dal PKK turco.
La significativa presenza del PKK in Iraq, soprattutto a Suleymania nel Sud e di Shengal nel Nord e il consolidamento del sistema del “Consiglio delle Comunità Curde” (KCK) con funzione di coordinamento delle forze curde nei 4 Paesi della regione (Turchia, Iran, Iraq, Siria) potrebbe aver indotto il PDKI a riprendere le ostilità per arginare la capacità di reclutamento del PJAK. La celerità e il numero delle operazioni armate segnalano un serio pericolo per l’intero confine occidentale iraniano.
Si sono verificati in un breve contesto temporale scontri armati tra milizie curde e forze governative insieme a operazioni più mirate: luoghi di culto curdi come il cimitero Golestan Javeed a Baha’i, distrutti dall’esercito siriano; attentati curdi contro membri del parlamento iraniano, come il tentato omicidio del parlamentare Heshmatollah Falahatpishe in viaggio nel Nord del Paese; tensioni e avvertimenti armati di Teheran nei confronti della dirigenza del KRG.
Il governo iraniano, attraverso il presidente del Consiglio del Discernimento, Mohsen Rezai, pochi giorni addietro avrebbe accusato il KRG di agire in vece dell’Arabia Saudita per destabilizzare il Paese attraverso la rivitalizzazione della guerriglia curda.
Nell’intervista alla televisione iraniana, Rezai minaccia azioni armate contro i gruppi ribelli e le loro basi di addestramento qualora non ci fosse un arretramento delle stesse, imputando la responsabilità di questa eventualità alle scelte del presidente curdo-iracheno Barzanj.
In merito, la leadership curda nega ogni coinvolgimento ribadendo la volontà di migliorare le relazioni diplomatiche con l’Iran.
Affermazione credibile dopo l’accordo preliminare firmato a fine giugno per la costruzione di un oleodotto che consentirebbe la commercializzazione di 250 mila barili di petrolio dal Kurdistan iracheno verso l’Iran per differenziare il mercato di vendita del KRG se emergessero ostacoli al mantenimento delle relazioni con la Turchia e all’utilizzo dell’oleodotto Kirkuk-Ceyhan.
La situazione attuale
Da un lato, al fianco di Assad vi sono le forze iraniane e gli Hezb’Allah libanesi e dall’altro, a supporto dell’azione turca, il debole “Esercito Libero Siriano” (ESL), l’aviazione americana e con un formale sostegno diplomatico Masoud Barzanj e il KRG.
Sorprende e minaccia l’avanzata delle forze YPG in Siria con la capacità di attrarre popolazioni non curde e la concreta possibilità di scatenare un effetto domino sulle popolazioni curde presenti nei quattro Paesi confinanti.
In questa ottica va letto l’inaspettato riavvicinamento fra Turchia e Iran all’inizio di agosto.
L’incontro ad Ankara il 12 agosto fra il ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif, il premier turco Binali Yildirim e il suo ministro degli esteri Meylut Cavusoglu, con l’obiettivo di rivitalizzare la cooperazione si è focalizzato sulla questione siriana.
Pur essendosi trovati in fronti opposti in merito al destino della Siria e del suo presidente, il fattore curdo potrebbe essere il motivo della momentanea riconciliazione fra le parti.
La prova di questa nuova alleanza potrebbe essere la visita di Cavusoglu a Teheran all’indomani dell’attacco ad Hasakah il 18 agosto per discutere con il suo omologo Zarif degli eventi e della necessità di dare seguito all’accordo fra i due Paesi, concedendo ai media una conferenza stampa congiunta sul comune interesse di combattere terrorismo, estremismo e settarismo.
In senso contrario si registra che il supporto alle forze siriane contro i curdi di Rojava provoca l’intervento del portavoce del PJAK, Siyamend Moini, che valutando gli eventi di Rojava dichiarato che quell’ attacco è considerato diretto a tutti i curdi e potrebbe portare a una nuova insurrezione nel Rojhelat.
Prospettive future
I media iraniani riportano la condanna del governo siriano contro la Turchia per l’invasione del Nord del Paese con carri armati, truppe e aerei.
Sul punto il vice ministro degli affari esteri, Hussein Jabari Ansari, era ad Ankara il 23 agosto, poche ore prima che la Turchia inviasse carri armati e aerei in territorio siriano.
Come documentato da Middle Est Eye, la visita di Ansari è focalizzata su due punti: il futuro della Siria e la questione curda. In merito a questo ultimo tema, MEE rivela che l’Iran è divenuto il primo canale dei contatti per Erdogan e il presidente siriano.
Inoltre persone vicine alla leadership iraniana avrebbero rivelato a MEE che “turchi e siriani di stanno coordinando tramite gli iraniani”. Il futuro dei curdi siriani è chiaramente parte di questo accordo.
Gli attacchi compiuti da esercito e aerei siriani contro i combattenti dello YPG nella città di Hasakah potrebbero essere il segnale lanciato da Assad a Erdogan: il presidente siriano condividerebbe le preoccupazioni del suo omologo turco circa le crescenti forze dei curdi siriani in un’ampia area del territorio al confine meridionale della Turchia.
Fino a poco tempo fa, infatti, l’esercito siriano aveva ignorato lo YPG considerandolo quasi un alleato potenziale per la guerra contro Daesh.
L’ulteriore obiettivo di Assad è convincere Erdogan a fermare gli armamenti che dalla Turchia giungono ai gruppi dell’opposizione che non appartengono a Daesh e combattono a Damasco a Idlib e Aleppo.
Una fonte di MEE riferisce che la Turchia non fermerà subito il rifornimento di armi ai ribelli ma entro poco tempo, quando ci sarà uno scambio di favori che prevede attacchi di Assad contro lo YPG e ad Hasakhan.
La stessa fonte rivela che l’Iran, tramite il ministro degli esteri Zarif ha espresso solidarietà a Erdogan con un tweet al leader turco prima ancora che il golpe fallisse.
Questa attenzione dell’Iran avrebbe colpito Erdogan che ne ha valutato l’attenzione rispetto al comportamento di USA ed EU che è stata debole ed è divenuta di condanna solo dopo l’avvenuto fallimento del golpe. Infine, la fonte aggiunge che “i tweet sono stati indotti dall’ufficio della Guida Suprema, l’Ayatollah Khamenei”. Zaif e Rohani “sono stati molto cauti appena appreso la notizia del Golpe e prima che venisse pubbicato il tweet sono stati pressati più volte dalla Guida Suprema”.
La rapida condanna iraniana del tentato golpe si è basata su uno dei princìpi fondamentali della politica estera iraniana sostiene il prof. Foad Izadi professore di fama mondiale all’Università di Teheran: “punto 1: i golpe sono inaccettabili; punto 2: non si mandano forze al di là del confine internazionale senza prima raggiungere un accordo con un governo di un Paese”.
E l’Iran è rimasto silente sull’irruzione turca nel Nord della Siria, con i soli suoi alleati a Damasco a denunziare la penetrazione di Ankara sul territorio sovrano siriano.
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