Un nuovo approccio allo studio delle vicende del ‘Piano Solo’ del 1964.

Un nuovo approccio allo studio delle vicende del ‘Piano Solo’ del 1964.

William Colby

William Colby

Nell’estate del 1964 si stava verificando un cambiamento notevole nella politica italiana di governo. In realtà erano passati solo diciannove anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, un periodo temporale considerato molto breve per un’analisi storica.

L’Italia era uscita distrutta dal conflitto, moralmente e economicamente. Per molto tempo i partiti politici non erano esistiti, salvo uno totalizzante e quindi l’esercizio della democrazia era stato dimenticato nel quotidiano e a lungo termine.

Dopo cento anni di Regno, la popolazione e i partiti sperimentavano una nuova forma, per loro inedita dall’Unità d’Italia, di governo democratico, la Repubblica. Le prime libere elezioni politiche avevano visto la netta vincita di una destra democristiana ma la sinistra comunista, spettro di ogni calamità per l’epoca, avanzava, secondo l’opinione degli analisti italiani e americani. Il ‘maccartismo’ in USA era ancora sentito e continuava a mietere vittime, anche se non come nel periodo 1950-1953. L’Unione Sovietica era il nemico da controllare e contrastare: non aveva rispettato gli accordi presi con gli Alleati durante il conflitto e si era impadronita di gran parte dell’Europa. Non dimentichiamo, poi, che il comunismo era ‘pericolosamente’ presente ai confini con l’Italia, alla cosiddetta ‘Soglia di Gorizia’, anche se il presidente jugoslavo Tito (Josip Broz) si allontanava progressivamente dai dettami e dall’influenza moscovita. E quindi l’Italia era particolarmente seguita e, volendo, ‘orientata’ nella sua politica generale. Nulla di inatteso in una politica già globalizzante. L’Italia era ex nemica, cobelligerante (mai realmente accettata come tale), membro del Patto Atlantico, membro dell’accordo difensivo NATO in funzione antisovietica, soprattutto confinante con il mondo comunista: vi era di che seguire con attenzione la situazione generale e interna del territorio italiano, con fatica liberato dai regimi dittatoriali fascista e nazista. Infatti, le vicende interne italiane era seguite con cura dall’ambasciata americana fin dai primi anni postbellici e soprattutto dal 1950/53, con l’arrivo dell’ambasciatrice Clare Boothe Luce, la CIA iniziò una ‘politica segreta’, peraltro descritta con dettagli da William Colby, nelle sue documentate memorie, ex Capo di quella istituzione con le sue parole:…impedire che l’Italia cadesse nelle mani dei comunisti alle elezioni politiche del 1958. La CIA continuò nel tempo a perseguire tale obiettivo.

L’allargamento del governo democristiano monocolore a uno di centro-sinistra poteva spaventare per eventuali rigurgiti di destra e tentativi di riforme molto spinte in senso comunista. Dopo cinquanta anni (tanti ne sono passati), si può considerare quel periodo storico come un interessante momento di maturazione in senso evolutivo della giovane politica italiana. E’ altrettanto chiaro che in quei mesi la situazione non poteva essere considerata sotto questa luce da chi reggeva le sorti dell’Italia e da chi era incaricato dell’ordine pubblico. La maggior parte dei politici al governo veniva da esperienze belliche di Resistenza e stretta collaborazione con gli anglo-americani, come Paolo Emilio Taviani, per esempio, potente democristiano con responsabilità, alternativamente, della stabilità interna o della Difesa, molto legato agli USA, anche per l’organizzazione dello ‘stay behind’ (in Italia ‘Gladio’).

Il ‘generale con il monocolo’, Giovanni De Lorenzo, che aveva indubbiamente capacità e una forte personalità, concentrò su di sé, in quegli anni, un potere incrociato (intelligence, Esercito, Arma dei Carabinieri) di vaste dimensioni e stabilì un legame notevole con la prima carica dello Stato, il Presidente Antonio Segni. Era l’uomo adatto a mantenere l’ordine pubblico in qualsiasi situazione, avendo il controllo di tutte le leve necessarie allo scopo.

In questo contesto, era nato il ‘Piano Solo’, come fu denominato il Piano predisposto da De Lorenzo, nell’eventualità che le riforme proposte dal centro-sinistra fossero tali da suscitare fermenti e disordini da parte di forze antagoniste al governo.

Volumi sono stati scritti sull’argomento ma un capitolo della tesi sostenuta da un giovane studioso italiano a Princeton (che ho avuto modo di leggere in anteprima, essendo il suo garante italiano nei confronti della Università americana e che spero sia presto stampata), è stata per me interessante perché si concentra su un aspetto finora poco studiato: l’atteggiamento del Governo americano come conseguenza di quelli che l’A. indica correttamente come ‘imprevisti dei rapporti gerarchici tra agenzie d’intelligence’. E indubbiamente in quel periodo i rapporti tra le Agenzie americane e italiane non erano improntati principalmente a collaborazione quanto a subordinazione di queste ultime, più o meno esercitata da parte delle americane.

L’A. analizza con argomenti sostanziali gli errori da parte americana e il vantaggio dell’intelligence italiana, dato dalla circostanza che la CIA e il Presidente USA non privilegiarono una penetrazione informativa indipendente dagli ufficiali di collegamento che avevano a Roma. Non compresero esattamente la portata del Piano, non lo valutarono nella giusta prospettiva perché sfuggiva loro la vera essenza di una realtà politica italiana che si presentava assai complessa e diversa da quella statunitense.

E’ altresì interessante un’analisi della valutazione fatta dall’intelligence americana sul progetto minacciato di rimozione forzata di un governo di centro-sinistra troppo spinto, facendo ben comprendere quale fu il vantaggio inconsapevolmente offerto all’intelligence italiana dall’errore dei colleghi americani.

Il ‘Piano’ ha fatto discutere storici, giornalisti e magistrati per lungo tempo, forse anche troppo, e che deve essere analizzato e contestualizzato nel periodo in cui i fatti si svolsero, con quei documenti americani recentemente resi fruibili agli studiosi, ai quali fa riferimento l’A.

In realtà, anche in base ai nuovi documenti resi noti agli studiosi, si può dire che ancora in quel periodo continuava la sudditanza tra i servizi d’intelligence italiani e quelli anglo-americani, in particolare gli statunitensi verificatasi durante la seconda guerra mondiale dopo l’armistizio dell’8 settembre del quale ricorre fra due giorni il 73° anniversario. ‘Cobelligeranza’ mai accettata in sostanza dagli ex nemici che anche nella ricostruzione dei servizi d’intelligence italiani (peraltro a loro estremamente utili) fecero capire il loro atteggiamento di vincitori…come ampiamente dimostrato nei miei studi sulla storia dell’intelligence……vae victis dicevano i Romani!

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La sede della CIA a Washington

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