CIAD: UN PAESE IN PROFONDA CRISI SOCIALE, ECONOMICA, IDRICO-AMBIENTALE E A RISCHIO TALEBANIZZAZIONE

CIAD: UN PAESE IN PROFONDA CRISI SOCIALE, ECONOMICA, IDRICO-AMBIENTALE E A RISCHIO TALEBANIZZAZIONE

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Ci stupiamo spesso di vedere tanti africani anche subsahariani arrivare sulle nostre coste su barche fatiscenti e gommoni pericolosi ma non ne comprendiamo le ragioni, pensando che nel centro dell’Africa non ci siano guerre o situazione al limite, e forse già oltre, di ‘talebanizzazione’. Ecco un breve articolo che spiega quel che accade nel Ciad.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

In Ciad, un territorio grande quattro volte l’Italia, si rispecchiano tutte le contraddizioni di una lunga, travagliata e ancora non completata fase di decolonizzazione.

Un paese in balia di un conflitto senza fine tra il nord musulmano e il sud cristiano – animista, caratterizzato dalla compresenza di più di duecento etnie, da un’endemica povertà e da un disarmonico sviluppo economico.

A tutto ciò si aggiunge la sempre più minacciosa presenza dei gruppi islamisti militanti, su tutti Boko Haram e l’allargamento del Califfato.

A completamento del quadro, il problema pressante del prosciugamento e della lenta agonia del lago Ciad, perno sui cui ruota l’economia non solo del Ciad, ma anche del Niger, della Nigeria e del Camerun.

In questa regione nel corso dei secoli si sono alternati diversi regni, sino a quando, nei primi anni del ventesimo secolo, il Ciad diventa una colonia francese e in seguito una Repubblica autonoma all’interno della comunità francese.

L’indipendenza raggiunta nel 1960 fa riemergere la rivalità etnica e nel 1966 i musulmani, insieme con altri oppositori al Governo, costituiscono il Fronte di Liberazione Nazionale con a capo Goukouni Ouddei e Hissenè Habrè.

Ouddei, supportato dalla Libia, nel 1979 conquista il potere ma in seguito viene scacciato da Habrè con l’aiuto dei francesi preoccupati per l’ingerenza libica.

Nel 1990 Habrè è deposto con un colpo di stato del Movimento Patriottico di Salvezza e il suo leader, Idriss Déby Itno, diventa Presidente del Ciad, confermato nella sua carica pochi mesi fa per la quinta volta consecutiva.

Quest’ultima rielezione è stata molto travagliata ed il consenso popolare del Presidente è crollato a causa della crescente frustrazione dei ciadiani per la difficile situazione sociale ed economica in cui versa il Paese, uno dei più poveri del mondo, al 184° posto su 187 nell’Indice di Sviluppo Umano.

Il costo della vita nell’ultimo quinquennio è notevolmente aumentato, i salari sono bloccati, la piaga della malnutrizione dilaga, la spesa pubblica ha subito forti tagli, la corruzione dilaga e i piani di sviluppo sono rallentati da un apparato burocratico farraginoso.

Il Presidente Déby, al quale va riconosciuto il merito di aver in questo quarto di secolo di potere, almeno in linea di principio anche se non di fatto, cercato di instradare lo Stato verso la via delle riforme, non ha però nemmeno tentato di riconciliare le mille anime del Ciad.

Il gruppo etnico più forte, di cui il Presidente è l’espressione, è quello degli Zaghawa che, di fatto, controlla il Paese. Il governo di N’Djamena è avversato da numerose fazioni interne tra cui il Mouvement pour la Démocratie et la Justice au Tchad (MDJT), il Front Uni pour la Démocratie et la Paix (FUDP), la Force des Organisations Nationales pour l’Alternances et les Libertès au Tchad (FONALT) e l’Armée Nationale de Resistance (ANR).

Il Ciad è alle prese, oltre che con una situazione economica disastrosa, con un conflitto etnico interno e una politica estera fortemente incentrata sul problema del Darfur per questioni di confine, per non menzionare i pessimi rapporti con il Sudan che potrebbero compromettere i precari equilibri della regione del Sahel. .

La complicata morfologia del Paese con un nord desertico (fa parte del grande deserto del Sahara), con pianure nella parte meridionale e centrale soggette a un clima tropicale, con delle dorsali montuose a nord e a est, consente lo sviluppo di un’agricoltura di sussistenza (cotone, riso e patate), dell’allevamento del bestiame (pecore, capre e cammelli) e della pesca in un sempre più prosciugato lago Ciad, nei fiumi perenni Chari e Logone e nei corsi d’acqua minori che assumono discrete dimensioni solo nella stagione delle piogge.

Il lago Ciad, che gli indigeni locali chiamano mare, oltre ad essere destinato a prosciugarsi in pochi decenni senza dei decisi correttivi secondo degli studi NASA, è divenuto il terreno di conquista delle sanguinose scorribande di Boko Haram, le cui fila sono alimentate da una pletora di giovani frustati e senza prospettiva..

Un lago che funge da spartiacque, da confine tra la parte est dell’Africa messa a soqquadro dagli Shabaab, mentre l’ovest è territorio di Boko Haram.

Boko Haram che, partiti dalla vicina Nigeria, ora cercano di prendere il controllo di tutto il lago Ciad e in prospettiva anche il Ciad, creando turbativa in tutto il territorio con il rischio nuove ondate migratorie.

Tra le principali risorse del Paese c’è il petrolio, presente in notevole quantità e per la maggior parte convogliato nel porto di Kribi in Camerum, attraverso un oleodotto finanziato dagli americani.

Di certo, le continue fluttuazioni in negativo del prezzo dell’oro nero non hanno incrementato di molto le entrate.

Il petrolio ha attirato molte potenze straniere, soprattutto gli Stati Uniti d’America ma anche la Cina, la Francia e la Russia.

Gli Stati Uniti hanno assegnato una discreta valenza strategica al Ciad, che s’inserisce in un progetto di approvvigionamento petrolifero che fa perno sul golfo di Guinea, con l’obiettivo di ridurre la vulnerabilità alle crisi politiche ed energetiche mediorientali.

La Cina ha in questi ultimi due lustri dato un impulso alla propria influenza, del resto già notevole nella regione e nel vicino Sudan. Sono stati firmati vari accordi bilaterali di cooperazione economica e di collaborazione nel settore agricolo, sanitario, scolastico, telecomunicazioni, infrastrutture e risorse energetiche.

Nel sottosuolo del Ciad, soprattutto nella parte nord, è presente l’uranio, il natron, il caolino, una discreta quantità d’oro e materiali da costruzione, ma il loro sfruttamento è ancora scarso.

Non ci sono industrie rilevanti, non c’è ferrovia, gli aeroporti che rispondono ad uno standard internazionale si contano sulle dita di una mano, la rete stradale è ridotta e poco curata.

Alla luce di quanto descritto, la strada verso il miglioramento della situazione per i circa dieci milioni di ciadiani, la cui ètà media è al di sotto dei 20 anni e con una speranza di vita che non arriva ai 50, è tutta in salita.

Una strada in salita per il protrarsi di un conflitto sociale e dei suoi terribili effetti collaterali, per un’ingarbugliata situazione politica senza sbocchi e piani, per i difficili rapporti del Governo centrale con i vari gruppi ribelli.

Come se non bastasse, c’è la criticità del prosciugamento del lago Ciad e il rischio di una possibile crisi socio – ambientale, in combinazione nefasta con la presenza sempre più minacciosa e violenta dei “talibani d”Africa” – Boko Haram– l’avanzata di un islamismo militante, la torva presenza del Califfato e, infine, l’influenza (ingerenza) di Khartoum che, di certo, non aiuta.

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Idriss Déby, Presidente del Ciad

Idriss Déby, Presidente del Ciad

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