LE GUERRE DEL SAHEL

Il Sahel

Il Sahel

Come mai abbiamo un’immigrazione africana sahariana molto consistente…? La situazione è molto difficile nel Sahel e questo sintetico articolo in poche righe spiega come in un film fatto a flash quel che è accaduto in quelle terre desertiche ma popolate di appetiti anche neo-coloniali.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

La devastazione del Sahel ha radice nella “guerra umanitaria” scatenata in Libia nel febbraio 2011 per proteggere i civili minacciati dal regime libico.

In realtà, USA, Gran Bretagna e Francia, dopo avere armato in Cirenaica nuclei selezionati fra i manifestanti contro Gheddafi, nell’arco di due settimane ottengono ben due Risoluzioni dal Consiglio di Sicurezza ONU che autorizzano la “no flight zone” per tutela dei civili.

I Paesi interessati, a guida NATO subentrata agli USA, ne applicano un’interpretazione estensiva e avviano una guerra che si trasforma subito nel caos che perdura ancora oggi.

Non manca il vilipendio e l’assassinio di Gheddafi a ottobre dello stesso anno.

Se la Libia, dopo i numerosi Vertici organizzati dall’ ONU, è guidata da tre Governi con i rispettivi ministri e registra oltre 1.700 milizie in lotta fra loro, non è da meno il Sahel, divenuto terreno di scontro privilegiato.

La caduta del regime gheddafiano provoca l’immediato ritorno dei tuareg reclutati dal Gheddafi, il contrabbando dell’armamento saccheggiato dalle caserme libiche e una serie di conflitti in tutto il Sahel, iniziando dal vicino Mali.

Appena un anno dopo, si riversano in Mali milizie di diverso orientamento: il “Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad” (Mnla), che riunisce i tuareg indipendentisti; milizie vicine ad “Al Qaeda in the Islamic Maghreb” (AQIM); Ansar Ed-Dine, guidate dal tuareg Ag Ghaly, che intende instaurare la “shari’a” (legge islamica); il “Movimento per l’Unicità e il Jihad in Africa Occidentale” (Mujao), di fatto operante con contrabbandieri.

Non manca l’immediato intervento francese che con autorizzazione ONU a dicembre 2012 avvia l’ “Operazione Serval” prevista per 6 mesi e poi prorogata con l’ “Operazione Barkane” tuttora attiva con 3 mila soldati attivi in Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger supportata da soldati africani e della Nazioni Unite.

L’insediamento governativo in Mali non frena le milizie come dimostra il gruppo dei “Murabitun” di Mokhtar Belmokhtar che a novembre 2015 attacca la capitale Bamako e due mesi dopo Ouagadougu.

In passato invece, il Mali con il governo del presidente Amadaou Toumani Tourè (2002 – 2012) era tollerante verso le attività dei jihadisti settentrionali purché localizzati nel Nord del Paese e rimaneva più stabile di adesso.

Il vicino Burkina Faso aveva una policy diversa.

L’ex capo di Stato Blaise Campaorè (1987 – 2014), in contatto con gruppi criminali dediti a contrabbando e a sequestri di persona, si presentava come mediatore per la liberazione degli ostaggi.

Dal 2015, dissolta la sicurezza presidenziale, la ristrutturazione del comparto informativo si rivela inadeguata esponendo il Paese ad attacchi terroristici.

Allargando l’orizzonte in questa “zona grigia” con frontiere porose perché mai legittimate dopo il riconoscimento internazionale al momento della decolonizzazione, la realtà sul terreno narra esplosione demografica, fragilità climatica con erosione delle zone agricole, assenza di prospettive per i giovani, contrabbando di droga armi e persone, corruzione istituzionale diffusa, apparati di sicurezza inadeguati.

In Nigeria i militanti del Boko Haram (L’Occidente è peccato) guidati da Abubakr Shekau, sincresi di criminalità e terrorismo, dalla roccaforte dello Stato di Borno a Est, esegue attentati nel Nord del Camerun e all’Ovest in Ciad, con un bilancio che tra il 2009 e il 2015 supera le 17 mila vittime.

Nel 2015 si allea con Daesh come fanno i gruppi Mujao, Ansar Beit al Maqdis in Sinai, Majilis Chura Chabab al Islam in Libia e frazioni di al-Shabaab in Somalia.

L’osmosi dei militanti del Sahel si verifica, dall’anno successivo alla morte di Gheddafi, anche verso Al Qaeda, da parte di gruppi di al Shabaab somalo, “Fronte di liberazione del Macina” (Flm) fulano del Mali, Ansar ed-Dine, Al Murabitun – nato dalla fusione con il Mujao e i Firmatari del sangue – creato nel 2012 da Belmokhtar.

Nel Nord della Nigeria, l’attuale presidente, Muhammadu Buhari, originario di quella zona ed eletto nel 2015, avvia la lotta contro la corruzione, promuove una cooperazione regionale ma non riesce a fermare Boko Haram per la perdurante collusione di politici e militari con il movimento terrorista.

In realtà, la popolazione dell’intero Sahel, sunnita di scuola malikita e con pratiche sufi-animiste, subisce l’influenza di un Islam rigorista finanziato da Paesi arabi che hanno aperto moschee e scuole coraniche attraverso associazioni del Qatar, fondi sauditi, legami tra il Marocco e l’Flm.

Ricaduta negativa sul Sahel hanno anche avuto le vicine guerre scatenate in Iraq, Libia e Siria.

Nel 2016, altri due paesi, Costa d’Avorio (già in pericolo nel 2011) e Senegal, aderenti alla “lettura evoluzionista” dell’Islam, registrano una forte crescita del salafismo che accusano di avere radicalizzato numerosi giovani inducendoli a recarsi in Siria per riunirsi a Daesh e combattere contro quel regime.

©www.osservatorioanalitico.com – Riproduzione riservata

I paesi del Sahel

I paesi del Sahel

Comments are closed.