GIORDANIA: BALUARDO CONTRO IL CALIFFATO, in attesa di una nuova stagione riformistica interna

GIORDANIA: BALUARDO CONTRO IL CALIFFATO, in attesa di una nuova stagione riformistica interna

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       Re Abdallah di Giordania

Non si scrive molto di Giordania sulla stampa quotidiana e settimanale ma questo relativamente piccolo territorio ha nell’attuale quadro mediorientale un’importanza strategica notevole e una posizione di tutto rispetto che viene presentata in modo chiaro nell’articolo che segue. Ricordiamo la reazione di Re Abdallah quando un pilota giordano fu barbaramente trucidato dall’IS….

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini 

La Giordania, che per noi occidentali è semplicemente la città nabatea Petra, il deserto del Wadi Rum, il Mar Morto, il mare di Aqaba e poco più, nello scacchiere mediorientale riveste un ruolo importante: paese arabo che ha buoni rapporti con gli altri paesi arabi, legami strettissimi con la Palestina e un’amicizia interessata con Israele.

Un Paese che però non riesce a scrollarsi completamente di dosso il retaggio del periodo coloniale, un Paese consapevole che, pur vivendo in una “isola felice” in un contesto geopolitico disastroso e pur essendo la “Svizzera” del Medio Oriente, è forse destinato a rimanere una sorta di colonia americana o inglese per motivi storici, politici e per i legami economici.

Un Paese che, pur non essendo stato investito se non da un refluo del vento della Primavera Araba, non possiamo considerarlo completamente stabile da un punto di vista politico, tanto meno da quello sociale.

Infatti, le numerose manifestazioni di piazza che si sono succedute negli ultimi tempi nel Regno hascemita (che i cristiani, i musulmani e gli ebrei chiamano Terra Santa), sì legate all’aumento dei prezzi dei carburanti e di alcuni generi alimentari, non devono però essere ricondotte unicamente nell’ambito economico, bensì in quello politico.

Ciò che traspare è la sensazione che la maggioranza della popolazione è sempre più insofferente e sfiduciata della classe politica giordana, Re compreso.

Di certo, lo scioglimento del Parlamento decretato pochi giorni orsono non aiuta al rasserenamento degli animi anche se, per la verità, era nell’aria da tempo, propedeutico per l’indizione nei prossimi mesi di nuove elezioni con una nuova legge elettorale che abroga l’attuale sistema in vigore dal 1993.

Pur scorgendo alcune somiglianze nella realtà giordana con situazioni esistenti in Egitto, in Tunisia e in altri paesi, tenuto conto dell’imprevedibilità delle dinamiche socio – economiche, si dovrebbe poter escludere totalmente l’inquilab, la caduta della dinastia regnante, a patto che essa si dimostri in grado di controllare il malcontento di parte della popolazione.

La protesta popolare non è altro che il risultato dell’accumulo dell’insoddisfazione per una non limpida leadership dei governanti, per l’inefficacia della lotta contro la corruzione, per il clientelismo, per la mancanza di giustizia.

Proteste che potrebbero però anche tramutarsi in un volano positivo per l’avvio di una non più procrastinabile stagione riformista per rilanciare un’economia stagnante, per creare nuovi posti di lavoro, soprattutto per i giovani.

Per ridurre la propria dipendenza economica dalle sovvenzioni americane, la Giordania sta in questi ultimi tempi cercando d’implementare la sua posizione strategica regionale e allargando le partnership commerciali con alcuni paesi dell’area, in particolare con l’Arabia Saudita.

A tal prò, nel corso della recente visita a Riad, Re Abdallah e il Re saudita Sulman bin Abdu el Haziz hanno firmato un memorandum d’intesa per la costituzione di un Consiglio di Coordinamento saudita – giordano per migliorare le relazioni nei settori strategici e della sicurezza, nonché in quelli politici ed economici.

Ha altresì incentivato lo scambio commerciale con molti paesi europei ed extraeuropei sfruttando la sua adesione all’Organizzazione Mondiale del Commercio, al World Intellectual Property Organization, alla BERS – Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo.

La Giordania è un paese semi – redditiere le cui entrate si basano principalmente sulle rimesse degli espatriati, sul terziario e sul turismo. E proprio il turismo lo scorso anno ha subito una forte contrazione con una perdita intorno al 20% del fatturato complessivo.

Un dato preoccupante, ancor più se sarà replicato alla fine di quest’anno, per un’economia che conta molto sul turismo e che costituisce una voce fondamentale del Prodotto Interno Lordo.

Il Re Abdallah ha investito gran parte della sua reputazione nell’attuazione delle riforme, anche se, per la verità, l’adozione dei primi provvedimenti non ha portato gli attesi e sperati risultati.

Al contrario, sono accresciute le preoccupazioni degli osservatori internazionali, in primis le agenzie di rating che hanno declassato il valore della valuta e dei titoli del debito.

Resta comunque il fatto che il Re sembra intenzionato a proseguire sulla strada delle riforme per trasformare la Giordania in una sorta di Benelux mediorientale, una combinazione delle eccellenze da prendere dagli israeliani, dai palestinesi e dai libanesi.

Le manifestazioni di piazza sono state altresì rivolte nei confronti di una classe politica poco reattiva, se non connivente in alcuni casi, nella lotta alla corruzione e nel rivitalizzare un Parlamento che, per la sua composizione ed attività, non sembra più essere il rappresentante del popolo.

Governanti che latitano anche nel controllo del territorio, sempre più terreno fertile per i salafiti, per le infiltrazioni di gruppi estremisti jihadisti e finanche lo Stato Islamico.

Dalla sua comparsa ad oggi, lo Stato Islamico, in origine Isis (Stato Islamico di Iraq e el – Shams) ed poi IS, ha costretto i paesi viciniori all’Iraq a rivedere le proprie alleanze e a rimodulare i delicati equilibri strategici.

In questo marasma, la Giordania ha assunto un ruolo di tutto rispetto non solo dal punto di vista politico, ma anche militare, a seguito degli accadimenti legati al brutale assassinio di un proprio pilota militare da parte dell’IS.

Le numerose incursioni aeree contro il Califfato e l’impegno bellico assunto, hanno in poco tempo trasformato l’immagine di una Giordania da anello debole della Coalizione anti IS a partner più affidabile e più autorevole.

Non si tratta però di un cambio di rotta radicale, anche perché ad oggi sono prevalenti le iniziative diplomatiche e l’attività d’intelligence, rispetto alle azioni militari.

Azioni militari da parte di un apparato difensivo ben equipaggiato ed addestrato, che può contare su un esercito di più di cento mila uomini, di cui quindicimila appartenenti alle forze speciali.

Strano il destino di questo Paese: da Nazione nata con un tratto di penna sulla carta geografica per creare una zona di transito tra la Palestina e l’Iraq, nel tempo ha assunto la funzione di cuscinetto tra Israele e i suoi innumerevoli nemici, sino a divenire una sorta di linea di frontiera invalicabile per l’avanzata del Califfato.

Frontiera non invalicabile, anzi aperta per i rifugiati. Numerosi i campi profughi presenti nel nord della Giordania, a Zaatari, a Mrajeeb, ad al-Fhodd, ad Azraq e finanche nelle desolate terre desertiche, per ospitare i siriani che scappano da un Paese devastato e che si aggiungono agli altri “storici” rifugiati provenienti dalla Palestina e dall’Iraq, oramai stanziali e integrati nel tessuto sociale locale.

Circa due milioni di persone che vivono nei campi gestiti dai giordani, sovvenzionati e supportati economicamente dalle organizzazioni internazionali, dagli Stati Uniti d’America e dall’Unione Europea.

Dal quadro tracciato, emerge come la monarchia hascemita è fortemente impegnata su più fronti, interni e al di fuori dei propri confini nazionali, alla ricerca di una maggiore stabilità sociale ed economica utile per combattere il crescente fanatismo religioso e a salvaguardia della matrice laica della Giordania.

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