IRAQ. LA BATTAGLIA DI FALLUJAH

IRAQ. LA BATTAGLIA DI FALLUJAH

Moqtada Al Sadr (Fonte: Al Arabiya)

Moqtada Al Sadr (Fonte: Al Arabiya)

Di nuovo la cittadina di Falluja alla ribalta come nel 2004…una analisi dello spessore politico di Moqtada Al-Sadr fatta da un esperto.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

La preannunziata battaglia per la riconquista di Fallujah inizia la mattina del 23 maggio con raid aerei americani e russi a copertura dei ventimila uomini fra esercito regolare, polizia e le milizie sciite Badr addestrate dal generale iraniano Qassam Suleimani contro un migliaio di combattenti di Daesh che hanno disseminato mine e preparato trincee.

Città con oltre 200 moschee e centro dell’Islam sunnita a 65 km da Baghdad, Fallujah è da oltre 2 anni controllata dal Califfato di Ibrahim Abu Bakr al-Baghdadi.

La resistenza dei jihadisti è intensa sin dalla periferia della città nella quale si trovano ancora 90 mila civili la cui incolumità è ad alto rischio.

Il premier Haider al-Abadi ha lanciato l’operazione nel tentativo di superare la crisi del governo iniziata da mesi ed esplosa a fine aprile con la prima violenta contestazione nella Zona Verde con migliaia di manifestanti penetrati nel Parlamento urlando slogan contro i politici locali e l’intromissione dell’Iran.

Sin dall’inizio, le proteste sono organizzate e dirette dal religioso sciita Muqtada al-Sadr.

Che sta succedendo in Iraq?

Il Premier è da tempo criticato su tre punti:

  • le promesse riforme contro la corruzione mai implementate che stanno esasperando la maggioranza della popolazione deprivata delle necessità di base: alimentazione, sanità, istruzione, casa, lavoro;
  • mancanza di un adeguato apparato di sicurezza con conseguenti attentati eseguiti dai miliziani jihadisti contro militari e civili;
  • assenza di una strategia regionale fino a consentire senza reazione i quotidiani bombardamenti della Turchia sulle montagne di Qandil, nel Nord iracheno contro il PKK.

Moqtada al-Sadr, figlio del Grande Ayatollah Muhammad Sadiq al-Sadr e genero del Grande Ayatollah Muhammad Baqir al-Sadr, è il carismatico leader che con il suo “Esercito del Mahdi”, nel 2004 guidò le comunità sciite e sunnite a Fallujah contro gli invasori americani, che fecero anche uso di bombe al fosforo.

Con studi a Najaf e a Qom, vicino all’Iran ma non da esso dipendente, ha realizzato anche una rete di Fondazioni e Istituti caritatevoli aperti a tutti i bisognosi. Attività che prevede anche l’istruzione per comprendere la situazione socio-economica areale e, se necessario, criticarne gli aspetti negativi.

Già nel 2013, al-Sadr si rivela anche leader nazionalista sostenendo la ragioni dei manifestanti, in maggioranza arabi sunniti, contro l’allora premier Nuri al-Maliki, sostenuto dagli USA, notoriamente corrotto e persecutore dei sunniti. Nel 2014, abbandona la politica per evitare pressioni iraniane sulla scelta del nuovo premier e del nuovo governo.

Grazie alla sua esperienza e al consenso acquisito anche fra i sunniti, al Sadr percepisce che la frustrazione popolare ha raggiunto la massa critica di sopportazione verso un potere distante dai bisogni generali, circondato da nuclei elitari e con un apparato militare autorizzato a ogni repressione.

Alla fine di aprile, al-Sadr guida all’interno della Zona Verde, al centro di Baghdad, migliaia di persone sadristi e non, scontente e disilluse, fino al Parlamento per protestare contro l’inattività dei politici e urlando slogan contro l’intrusione iraniana nel Paese.

Subito dopo le proteste del 30 aprile, al-Sadr vola in Iran e incontra Alì Shamkhani, segretario del Consiglio Nazionale di Sicurezza per chiarire che gli slogan contrari all’Iran non erano in realtà contro Teheran ma contro il governo iracheno.

Al-Sadr in altri termini guida un movimento politico in una fase che può consentirne la gestione di un equilibrio interno per superare le divisioni religiose ed etniche, come imposto in passato dagli USA, e mantenere uno Stato unitario.

Al contrario, l’Iraq si troverebbe con le Istituzioni collassate rischiando di finire come la Libia in preda a milizie e formazioni jihadiste.

In merito, il rapporto ONU di aprile presenta cifre avvaloranti il rischio iracheno: in quel mese 741 iracheni, fra cui 410 civili, sono stati uccisi in attacchi terroristici e 1.374 sono i feriti, con la maggior parte delle vittime a Baghdad dove nei trenta giorni del mese sono morti 232 civili; il mese prima i morti erano stati 1.119.

Dai dati emerge come nel Paese manchi una strategia unitaria, soprattutto a danno dei sunniti, e certo non è un caso che Daesh privilegi quartieri e siti del movimento sadrista che costituisce un’alternativa concreta a un governo inefficiente.

In questo quadro, interviene, dopo un lungo silenzio, il Grande Ayatollah al-Sistani, massima carica religiosa sciita in Iraq (quietista, scuola di Najaf, distinzione fra religione e politica), che condanna gli attacchi dei terroristi e ne addebita la responsabilità al governo, colpevole di non sapere ascoltare affidabili consiglieri.

Ancora più grave è il secondo attacco all’ufficio del premier nella Zona Verde, area fortificata e sede delle Istituzioni irachene e delle Ambasciate accreditate, linea di demarcazione tra i ricchi e i poveri.

I manifestanti sono scatenati: in una sola settimana a Baghdad bombe e kamikaze di Daesh uccidono quasi 300 persone, in maggioranza civili, dopo mesi di richieste inascoltate, assenza delle riforme anticorruzione e nessun nuovo governo di tecnici.

La sicurezza interviene facendo uso anche di armi e provoca quattro morti e quasi 100 feriti.

Fra i manifestanti vi sono sadristi, sciiti indipendenti e sunniti in passato baathisti.

Nessuno sa come siano spariti miliardi di dollari arrivati per la ricostruzione e non si sa che fine avranno i 5,4 miliardi di prestito che il Fondo Monetario Internazionale accorderà a giugno.

Contro l’irresponsabile azione della sicurezza interviene esplicitamente al-Sadr dichiarando: “Nessuno ha il diritto di impedire la protesta… altrimenti la rivoluzione assumerà altre forme”.

E’ ormai visibile il riconoscimento di al-Sadr come affidabile punto di riferimento per sciiti e sunniti e leader nazionale in grado di realizzare quell’integrazione scomparsa dall’invasione americana.

In merito, non va sottovalutato che pochi giorni prima dell’assalto al palazzo del premier, le “Brigate della Pace”, già “Esercito del Mahdi” fondato da al-Sadr contro gli USA, si sono presentati armati nei quartieri sciiti di Baghdad per fornire la sicurezza che le forze governative non sono in grado di dare.

I pericoli sono due:

  • diffusione di milizie in seno alle componenti sciite e sunnite, avulse dall’esercito governativo se non in contrasto;
  • possibile scontro fra gli sciiti sadristi e gli sciiti Badr comandati dal generale Hadi al-Amiri, dipendenti dall’Iran.

In merito, tuttavia, non va sottovalutato il realismo di cui hanno già dato prova proprio in questi giorni la Repubblica iraniana e al Sadr, in occasione degli slogan anti-iraniani di aprile:

a fronte della dichiarazione assolutoria di Moqtada al-Sadr, i media iraniani hanno attribuito gli slogan a “ infiltrati” baathisti e sunniti che hanno preso parte alla protesta al fianco degli sciiti.

Del resto, pur non essendo “dipendente” dall’Iran, al-Sadr ne è vicino e ad entrambi è conveniente che l’Iraq non venga a cadere, con il supporto USA, in seno all’”Asse sunnita” a guida saudita.

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